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PARTE QUARTA


La varietà delle tecniche nella condotta della guerra rivoluzionaria

 Relazione del dottore GUIDO GIANNETTINI

 CONCETTI FONDAMENTALI

 Come vi è stato detto, la mia relazione esamina le tecniche della guerra rivoluzionaria. Ovviamente, per far ciò in modo organico, devo accennare anche ai concetti fondamentali su cui la guerra rivoluzionaria si basa.

Vorrei anzitutto precisare, per dovere di obiettività, anche qualche limite della guerra rivoluzionaria.

È mio personale convincimento, ad esempio, che Mao-Tse-tung in particolare, e i comunisti nel loro complesso più in generale, non abbiano teorizzato né codificato compiutamente la guerra rivoluzionaria. Essi ne hanno compreso lo spirito e adattato qualcosa che già esisteva ad uno schema loro, alla loro rivoluzione e alla loro concezione dialettica della storia. Questo qualcosa che già esisteva, Mao-Tse-tung lo ha appreso, più che da Sun Zu, da testi occidentali, e precisamente da Clausewitz, da von Mohke e - perché no? - forse anche da Machiavelli. In effetti, Mao-Tsetung ha imparato da questi testi principalmente a ragionare con fredda logica sulla guerra «tout-court », prima ancora che sulla guerra rivoluzionaria; alla quale ha poi applicato gli stessi metodi.

Vediamo appunto cosa dice Clausewitz e cosa dice Mao-Tsetung sulla guerra, e come da tali concetti si arriva alla guerra rivoluzionaria. Clausewitz afferma: «La guerra è un atto di forza che ha per scopo di costringere l'avversario a sottomettersi alla nostra volontà ». La definizione di Mao-Tse-tung è più particolare di quella di Clausewitz; se vogliamo più dettagliata, ma anche meno limitata; essa consente cioè di adattarsi anche a conflitti di tipo non ortodosso, come è appunto il caso della guerra rivoluzionaria. Scrive Mao-Tse-tung: «L'obiettivo della guerra è senza altro quello di conservare le proprie forze e annientare quelle del nemico. Annientare il nemico significa disarmarlo o comunque privarlo dei suoi mezzi di resistenza) e non distruggerlo in senso fisico... » - ecco qui un concetto sulla guerra in generale, che si attaglia benissimo alla guerra rivoluzionaria - « Va sottolineato che l'annientamento del nemico è l'obiettivo principale della guerra, mentre la conservazione delle proprie forze è solo l'obiettivo secondario... ». La frase finale è soltanto una forma cinese per esprimere il concetto ben più lapidario di von Moltke: «La miglior difesa è l'attacco ». In verità, come abbiamo detto, prima ancora di leggere Sun Zu, Mao-Tse-tung ha studiato a fondo Clausewitz e von Moltke. Gli occidentali, al contrario, li hanno del tutto dimenticati. Tanto è vero che continuano, nella generalità dei casi, a restare sulla difensiva.

Lasciamo ora la guerra in generale e veniamo alla guerra rivoluzionaria, e precisamente agli scopi che essa persegue. La guerra rivoluzionaria, come è stato più volte detto, si prefigge principalmente la conquista delle popolazioni. Cerca cioè la decisione fuori del campo di battaglia, nel cuore del paese nemico, per paralizzarne dal di dentro la volontà e la capacità di resistenza. Potremmo qui citare una frase di von der Goltz, che sembrerebbe quasi formulata di proposito per il caso nostro: «Si tratta non tanto di annientare i combattenti nemici, quanto di annientare il loro coraggio ».

Attraverso la conquista delle popolazioni, la guerra rivoluzionaria trasforma l'uomo stesso in arma, sia che l'interessato ne abbia coscienza, o meno. Nel secondo caso, l'uomo-arma diviene palesemente un « robot »; ma anche nel primo, finisce spesso per divenirlo; perché, se conserva la coscienza del proprio stato, rinuncia tuttavia a una volontà propria, e quindi rinuncia ad essere libero.

Veniamo ora a un altro concetto della guerra rivoluzionaria, quello che potremmo definire «delle tre strategie ».

Cosi come esiste una strategia generale della guerra, esiste anche una strategia generale della guerra rivoluzionaria, nonché una strategia particolare di quella determinata guerra rivoluzionaria che a noi interessa. Insomma, la guerra rivoluzionaria deve

studiarsi come «un tutto unico» e non frazionarsi nelle sue singole operazioni; per cui va diretta e coordinata al vertice, non affidata esclusivamente all'iniziativa di un capo locale. Mao-Tsetung, pedante come al solito, ma chiaro, scrive in proposito:

«( Noi dobbiamo studiare le leggi generali della guerra, dobbiamo studiare le leggi generali della guerra rivoluzionaria in Cina... L'idea secondo la quale la vittoria strategica si raggiunge solo attraverso singole vittorie tattiche è errata... ». Qui può trovarsi la spiegazione degli insuccessi occidentali di fronte alla guerra rivoluzionaria comunista: l'aver dato di volta in volta singole risposte tattiche locali, senza impostare una contro guerra rivoluzionaria totale per combattere (anche con criteri offensivi) l'intero mondo comunista.

Ancora un concetto fondamentale della guerra rivoluzionaria, valido peraltro non solo per questa, ma per qualsiasi tipo di guerra. Le basi del pensiero militare classico dell'occidente si ritrovano ancora una volta nella guerra rivoluzionaria condotta dall'oriente, ripetute in cinese e applicate da Mao-Tse-tung: mantenere l'iniziativa, evitare una difesa passiva, concentrare le forze sullo Schwerpunkt. Fra le ripetizioni di Clausewitz dovute al dittatore cinocomunista, non va dimenticata questa, pregevole nella sua icasticità: «La nostra strategia consiste nell'opporre uno contro dieci, la nostra tattica nel battersi in dieci contro uno ».

Resta ora da considerare il metodo della guerra rivoluzionaria, metodo che lo stesso Mao-Tse-tung può indicarci: «Qual'è questo metodo? Esso consiste nello studiare fino in fondo sotto tutti gli aspetti sia la situazione del nemico che la propria, nell'individuare le leggi che regolano l'azione del nemico e tener conto di queste leggi quando si decidono le proprie azioni ». Si tratta, come è evidente, di concetti molto elementari, ma che spesso in occidente si trascurano. Perciò, è bene ribadirlo.

  

TECNICHE DELLA GUERRA RIVOLUZIONARIA

 

Fin qui ho sistematicamente richiamato alcuni concetti fondamentali della guerra rivoluzionaria. Vengo ora al merito di questa relazione, alla sua fonte essenziale, cioè alle sue tecniche. La guerra rivoluzionaria, nella sua formula più classica, può considerarsi sostanzialmente strutturata su quattro fasi:

1) preparazione: studio degli ambienti e delle situazioni su cui si vuole intervenire, stesura dei piani, predisposizione degli organismi e dei mezzi necessari;

II) propaganda: le sue manifestazioni devono tener conto il più possibile dell'efficacia dei metodi scientifici della moderna psicologia e giovarsi delle esperienze in materia;

III) propaganda e infiltrazione: alla fase di pressione psicologica, che continua, se ne aggiunge una seconda, basata sull'in:filtrazione e sul controllo di determinati ambIenti; propaganda e infiltrazione, in questa fase, devono essere strettamente coordinate;

        IV) propaganda - infiltrazione - azione: alle due manifestazioni precedenti se ne sovrappone una terza (sempre sottoposta ad un coordinamento centralizzato); questa può consistere a seconda dei casi nell'azione violenta o nella conquista «legale» del potere.

Ma attenzione! Sarebbe naturalmente errato irrigidirsi «a priori » su tale schema, che costituisce soltanto l'esempio classico, non sempre rigorosamente rispettato in concreto. Talvolta alcune fasi si saltano, talvolta ne muta l'ordine di progressione. Il nostro schema è stato comunque seguito dai comunisti quasi dovunque:

nel Vietnam, come in Algeria, come nell'America latina. Lo stesso schema-tipo è in corso di applicazione anche in Italia.

PRIMA FASE: PREPARAZIONE

 La strategia della guerra rivoluzionaria - come accennato in precedenza - stabilisce il piano generale della guerra, studiando, conducendo e coordinando le differenti operazioni sui singoli fronti, adeguandole e dosandole per le diverse situazioni, alternando le une alle altre in periodi « caldi » o « freddi », a seconda dell'andamento della situazione strategica generale. Per fare un esempio, cerchiamo di delineare una di queste ipotetiche operazioni, che sia il più possibile di tipo classico, cioè completa di tutte le sue fasi e le sue forme, insomma, una operazione-tipo.

Anzitutto si studia l'ambiente da attaccare: in genere, uno Stato. Mao-Tse-tung dice « metodo », Clausewitz dice «Schwer-punkt»: si tratta dunque di scoprirne i punti deboli, di più facile attacco. Individuati i punti deboli, si studia la struttura generale del piano di attacco, struttura che dev'essere ovviamente la più opportuna per ottenere il successo nella situazione considerata. Delineata la struttura generale, occorre poi preparare gli uomini, gli organismi, i mezzi e le formule particolari. Di solito, per la preparazione di questi elementi, si prendono in considerazione due diversi dominii, relativi alle fasi della guerra rivoluzionaria da noi definite II e III: la propaganda e l'infiltrazione. L'altro dominio, l'azione (fase IV), interviene di solito in un tempo successivo, e difficilmente può stabilirsi in anticipo, perché legato agli sviluppi e al grado di riuscita dei precedenti (ci riferiamo sempre a un caso « classico» di guerra rivoluzionaria, senza salti o anomalie).          

Per quanto in particolare riguarda la preparazione della propaganda, va detto che anzitutto si sceglie il gruppo (o i gruppi) da attaccare. Può essere, in linea di larga massima: politico, culturale, religioso, etnico, di classe. Possono essere presi in esame anche gruppi di tipo diverso come ad esempio: gruppi di lavoro (burocrazia, scienziati nucleari, militari, magistrati, etc.), gruppi di generazione (giovani), gruppi economici, ambienti particolari legati fra loro da interessi familiari, di frequentazione, perfino di svago, e via di questo passo.

La scelta del gruppo va operata soppesando accuratamente le caratteristiche dei diversi gruppi in presenza, il tempo di cui si dispone, gli scopi particolari che si intendono raggiungere, le possibilità di chi deve operare. Vanno individuati uno o più gruppi recettori principali e i gruppi recettori ausiliari; i primi per una azione a fondo, che ne assicuri il completo controllo; i secondi per scopi limitati, essendo sufficiente indurli a fare qualcosa che influisca sui recettori principali.

Individuati i gruppi su cui si intende operare, vanno delineati gli scopi. Mentre nella propaganda commerciale lo scopo si limita all'acquisto (da parte della «vittima») di un dentifricio o di una canna da pesca, nel caso della guerra rivoluzionaria lo scopo non può essere invece che la conquista del gruppo stesso. Conquista totale o parziale, conscia (per il recettore) o inconscia, secondo la situazione, il tempo, gli scopi stessi e le possibilità.

Ad ottenere gli scopi prefissi, occorre servirsi (con la dovuta accortezza) dei metodi scientifici appositamente studiati dai tecnici della propaganda e della psicologia sociale. Fra questi, è oggi particolarmente affermata la tecnica dei riflessi condiziona-ti, di Ivan Pavlov, alla quale si rifanno, più o meno, quasi tutti i teorici (e i pratici) contemporanei della materia.

Riguardo, invece, alla preparazione del piano di infiltrazione, può dirsi che l'inizio sia di solito costituito dall'indottrinamento di elementi fuorusciti, o comunque attirati all'estero - in quello che definiremo il paese attaccante, cioè il paese che intende provocare la guerra rivoluzionaria in territorio altrui - con diversi pretesti, da quello dell'istruzione culturale o tecnica degli elementi stessi, al semplice turismo, al generico interesse politico-ideologico (in questo caso si tratterebbe ovviamente di persone già simpatizzanti).

Gli elementi opportunamente indottrinati e istruiti rientrano nel paese di origine per svolgervi i compiti loro affidati. Può trattal'si in genere di: costituzione di un partito o sua trasformazione, creazione di organismi « camuffati» di fiancheggiamento del suddetto, infiltrazione diretta negli organi dello Stato, infiltrazione in ambienti in ogni modo influenti sulla vita del paese da attaccare.

La propaganda, ovviamente, non è un'invenzione della guerra rivoluzionaria. È sempre stata impiegata in guerra, nella lotta politica, in campo economico. Cercheremo dunque di trattare soltanto gli aspetti della propaganda più inerenti alla guerra rivoluzionaria.

Ci si consenta un breve cenno ad alcuni concetti preliminari.

Dovrebbe dirsi anzitutto a questo punto dei mezzi della propaganda: auditivi, visivi e audio-visivi. Ma si tratta di cose note. Vorrei solo ricordare la crescente importanza dei mezzi audiovisivi, e la tecnica indiretta di propaganda usata soprattutto in Europa (e in Italia): la riunione «culturale» invece del comizio politico, il giornale « indipendente» in luogo del foglio di partito,

la notizia « obiettiva» presentata in un certo modo invece che la frase propagandistica scoperta.

 

Altro concetto cui va accennato è questo: la propaganda non va più lasciata all'improvvisazione, ma affidata a tecniche scientificamente sperimentate. I comunisti hanno soprattutto studiato le tecniche dei riflessi condizionati di Pavlov, basate sulla ripetizione costante di un certo stimolo, fino ad ottenere nel soggetto recettore la reazione voluta, che a lungo andare diviene abituale e « spontanea », quasi una seconda natura.

Ancora, il concetto dell'irrazionalità. La propaganda, cioè non deve basarsi sul ragionamento, ma colpire attraverso elementi irrazionali, inconsci. Da qui la necessità di preferire al ragionamento, lo slogan, il simbolo, qualcosa che evochi concetti ed esigenze elementari strettamente connesse alla natura dell'uomo o del gruppo interessato. Secondo i più noti teorici della materia, la propaganda può essere di due tipi: persuasiva (se riferita alle « élites ») o emotiva (se riferita alle masse). Ma anche la propaganda per le «élites» basata sulla persuasione non risulta generalmente sufficiente - è raro convincere qualcuno con il solo ragionamento - per cui si richiede sempre un intervento che faccia leva su elementi irrazionali, inconsci.

Esposti brevemente questi concetti preliminari, passiamo ora a qualcosa che interessa più ,a fondo la propaganda della guerra rivoluzionaria. La scelta dei temi dipende principalmente dal gruppo che si vuole attaccare e dalla situazione ad esso connessa. In Europa, per lungo tempo, la propaganda comunista si è battuta quasi esclusivamente sul tema classista, mentre negli Stati Uniti essa agita invece quello razziale, sobillando le associazioni degli uomini di colore. In Algeria, poi, i comunisti hanno puntato, nella loro guerra rivoluzionaria, soprattutto sui temi nazionale (gruppi etnici autoctoni) e religioso (musulmani). Lo stesso è avvenuto per l'area indocinese, tanto nella fase francese (1946-1954), quanto soprattutto nella attuale fase americana; e la connivenza tra i « bonzi » buddisti e i comunisti Vietcong lo hanno ampiamente dimostrato. In Angola, invece, la valenza etnica, più che altro, è stata un po' la chiave di volta della guerra rivoluzionaria comunista cioè lo scatenamento dei Bakongo abitanti il nord est del territorio (nonché buona parte del Congo ex-belga) contro i Bailundos che costituiscono la maggior parte della popolazione angolana e collaborano con i portoghesi. Idem a Zanzibar: i negri contro gli arabi. Anche durante la seconda guerra mondiale la carta .etnica è stata giocata, seppure male, ad esempio dai tedeschi: croati contro serbi, ucraini contro russi.

L'uso dei temi nazionali, religioso, etnico, razziale, classista, è però oggi da considerarsi un po' troppo semplicistico per la moderna propaganda di guerra rivoluzionaria; va cioè ancora bene in situazioni semi-coloniali o comunque semplificate, diremo quasi elementari dove vivono popolazioni extra-europee. In Europa, e in parte anche negli Stati Uniti, la propaganda della guerra rivoluzionaria si appoggia su basi « più evolute ». In Europa il comunismo non insiste più tanto sul classismo proletario e neppure su un certo «nazionalismo» anti-americano, almeno come grandi temi per una propaganda di massa. Al posto di questi sono subentrati, ad esempio, fatti di politica estera, come Cuba, l'Algeria, il Guatemala, il Congo, la Spagna, il Portogallo, il Vietnam, e via di seguito. Fino a qualche anno fa, poi, il comunismo italiano (sia il partito, sia le sue organizzazioni parallele) si batteva per « l'attuazione della costituzione », tema a nostro avviso molto fiacco, incompreso nella sua astrusità - un errore gravissimo per un buon propagandista - dalla massa della popolazione. Si rivela invece ancora molto utile ai comunisti, come propaganda di fondo, l'insistenza sul tema delle « atrocità» tedesche, e per tre ordini di motivi: da un lato, funge da freno per il riarmo della Germania occidentale; da un altro, polarizza l'attenzione delle masse su un falso scopo, distogliendole dalla guerra rivoluzionaria di oggi; da un altro ancora conferisce un volto ben preciso a quello che i teorici di psicologia sociale chiamano l'avversario, che le masse devono odiare, avversario che è poi non troppo difficilmente assimilabile al « marine» americano e al «para» francese o belga (sul tema psicologico dell'avversario parleremo meglio più avanti).          .

Ma oggi, forse, i temi propagandistici più efficaci usati dalla guerra rivoluzionaria comunista in ambiente europeo, anzi proprio in Italia, sono quelli limitati ai singoli gruppi, attaccati uno per volta, con pretesti differenti l'uno dall'altro: ad esempio, la cosiddetta libertà della cultura, la propaganda contro il militarismo, i singoli problemi universitari, il «colloquio» con i cattolici, ed altri ancora, tutti a compartimenti stagni, a carattere ristretto per ambienti singoli, non a carattere generale. In questo caso, dunque, la propaganda si interseca con l'infiltrazione, basandosi su quella che molti chiamano tecnica delle «organizzazioni parallele ». Altri, parlano semplicemente di «utili idioti» (i due termini però possono anche non significare necessariamente la stessa cosa).

Perfino in paesi retti da dittature di destra, come la, Spagna e il Portogallo, la guerra rivoluzionaria comunista ha rinunciato ad agire apertamente su temi generali e perfino sul piano classista. Non si è neppure insistito sulla libertà in generale, libertà di tipo politico. Al contrario, hanno funzionato gli « utili idioti »: i gruppi intellettuali, gli universitari, i gruppi cattolici; in nome della libertà di cultura o di altre singole libertà. Anche quando sono stati chiamati in causa i lavoratori, si è trattato di operazioni limitate: ad esempio, le rivendicazioni sindacali dei minatori delle Asturie.

Gli accorgimenti di cui si avvale la propaganda della guerra rivoluzionaria sono innumerevoli. Anzitutto va ricordato quello che i teorici chiamano il tema dell'avversario. Si dice spesso che non va bene insistere soprattutto su miti distruttivi, ma ci vuole anche qualcosa di costruttivo. In un certo senso è forse vero. Ma è anche valido il concetto inverso, tanto valido, appunto, che la propaganda vi indulge cos1 spesso. Come infatti sostengono i maggiori teorici di propaganda e di psicologia sociale, non basta affatto presentare tesi positive, ma è necessario dare in pasto alle masse dei feticci da abbattere. L'avversario va identificato e segnato a dito; se poi non ha un volto ben preciso, tale volto gli va senz'altro attribuito, che sia naturalmente brutto, stupido, ridicolo, mostruoso. La gente deve imparare ad odiarlo. Deve essere tale che non può non odiarlo. È quanto fanno i comunisti con le loro mascherate in cui presentano i fantocci del capitalista, del militarista, dell'americano. Qui ci si avvale di una tecnica fondamentale della propaganda: l'uso del simbolo o dello slogan, in luogo del ragionamento. È insomma una mascherata apparentemente stupida, ma che non sempre si rivela priva di effetto, perché la massa manca di intelligenza ed è comunque influenzabile. L'inferiorità propagandistica degli occidentali risulta anche dal fatto che spesso l'avversario - cioè il comunista - non solo non viene attaccato, ma talvolta non può neppure essere identificato e indicato chiaramente.

Esiste una «semantica» comunista, cioè una scienza, una metodologia del linguaggio, se vogliamo, una terminologia che ha importanza notevolissima per la propaganda, soprattutto nella guerra rivoluzionaria. Una terminologia davvero efficace deve imporsi anche agli avversari; in tal caso, porta fatalmente con sé un determinato punto di vista, un certo modo di ragionare, facendo cosi diventare gli stessi avversari agenti e portatori inconsci di quella propaganda. Qualcosa del genere si verifica appunto ai giorni nostri, e proprio in Italia. Cioè, accanto a una terminologia comunista troppo scoperta e quindi rimasta confinata nell'area politica di sinistra, ne esiste anche un'altra, più sottile, divenuta di dominio comune perfino in campo anticomunista, con tutte le conseguenze psicologiche che ne derivano. Fra la terminologia meno efficace del primo tipo, possiamo ad esempio citare i soliti epiteti attribuiti dalle sinistre a chiunque non sia comunista: fascista, clerico-fascista - un po' in disuso, con i tempi che corrono... - i nazi-fascista, monarco-fascista, eccetera.

Ma la terminologia di sinistra veramente efficace è un'altra, meno politicizzata e quindi accettata da tutti. Per esempio: l'aggettivo «oscurantista» riferito aprioristicamente al Medio Evo, l'aggettivo «deprecabile» che accompagna sempre il sostantivo  «guerra» (anche quando questa è indispensabile a difendere la libertà), il colonialismo che viene senz'altro considerato una cosa ignobile (sebbene abbia portato anche la civiltà in Africa), l'aggressione che è sempre un'infamia (seppure talvolta sia soltanto un modo per prevenire l'aggressione comunista). Un caso clamoroso, ora: proprio in questi tempi, capita spesso di leggere perfino in giornali anticomunisti, corrispondenze dal Congo dove si parla di «mercenari» bianchi, con l'uso cioè di questo termine spregiativo in luogo dell'altro di «volontari» (i quali, ovviamente, vengono pagati come tutti i volontari, anzi come tutti i soldati del mondo); così, noi insultiamo inconsciamente ma stupidamente i combattenti occidentali, mentre i comunisti parlano dei terroristi e dei cannibali ai loro ordini come di «patrioti». Tutto questo non è soltanto stupido, ma indica anche un senso li inferiorità psicologica dell'Occidente, che va assolutamente abbandonato se si vuole vincere.

Riassumendo, va ricordato che lo slogan, il simbolo, la terminologia devono essere intelligenti. Cioè evocare un mito, un'ideaforza. Non è necessario che il mito sia giusto, bello, morale, o vero: basta che colpisca, che sia convincente, che sia verosimile. Convincente, come abbiamo già detto, non sul piano razionale, ma su quello emotivo, inconscio. Deve colpire, e colpire forte, magari allo stomaco. Colpire per la sua incisività. E quando questa venga a mancare, colpire per qualche particolare trovata a effetto.

 

TERZA FASE: PROPAGANDA-INFILTRAZIONE

  

Come abbiamo accennato all'inizio, nella terza fase della guerra rivoluzionaria, alla propaganda, che prosegue, si sovrappone l'infiltrazione.

L'infiltrazione può effettuarsi su ambienti diversi: da associazioni più o meno scopertamente politiche, a gruppi culturali (o di altro genere), ad ambienti strettamente inseriti nella vita del paese, fino ad organi ufficiali dello Stato (tecnici, parlamentari, governativi). L'infiltrazione, e la sua particolare attuazione, dipendono ovviamente dalla situazione generale.

In caso di forte tensione politica - a maggior ragione se puntualizzata da atti di sabotaggio e di terrorismo, o addirittura da vere e proprie operazioni di guerriglia - l'opera di infiltrazione risulta limitata. In Algeria fino al 1962 e nel Vietnam del Sud oggi, ad esempio, i comunisti non possono agevolmente infiltrarsi negli organi statali ufficiali, né creare scopertamente organizzazioni parallele, ma devono limitarsi ad assumere il controllo gli ambienti recettori più lontani, come ad esempio quello dei « bonzi» buddhisti, o di altri «utili idioti », di solito appartenenti all'ambiente universitario e culturale.

Al contrario, in caso di distensione o, come si dice oggi, di colloquio - vedi situazione italiana - l'infiltrazione può operare in profondità, direttamente, giungendo fino ai gangli vitali della nazione. Perché in caso di distensione, di colloquio, o addirittura <li apertura a sinistra, o se vogliamo, di allargamento dell'area democratica, non soltanto l'opinione pubblica non avverte chiaramente la presenza della guerra rivoluzionaria, ma non è neppure sensibilizzata relativamente allo svolgersi delle sue operazioni; anzi, non conosce neppure il nemico, che si evita di denunciare per timore di interrompere appunto distensione e colloquio. Cos1, con le masse opportunamente cloroformizzate, la guerra rivoluzionaria può proseguire impunemente la sua penetrazione fino al cuore dello Stato attaccato; e si guarderà bene dall' arrischiare operazioni troppo brutali, per non svegliare le masse dal loro pesante sonno. È esattamente quanto sta accadendo in Italia.

Qual'è la tecnica iniziale dell'infiltrazione? All'inizio, è il partito, che svolge un'azione diretta e spesso scopertamente rivoluzionaria. Può però anche verificarsi il caso in cui il partito ufficiale viene alla luce dopo altri organismi più camuffati, oppure può non nascere affatto. In ultima analisi, oggi, il partito inteso nel senso classico del termine può non essere necessario alla guerra rivoluzionaria.

Per affrontare operazioni di larga efficacia, il partito politico deve creare al più presto, sotto il proprio tacito controllo, organizzazioni parallele di tipo diverso. Tali organizzazioni devono essere in grado di affrontare con probabilità di successo singole battaglie su temi apparentemente apolitici, combattute caso per caso, quasi a compartimenti stagni (il coordinamento, indispensabile, va tenuto al vertice e dietro le quinte). Si tratta, ad esempio, di associazioni «per la pace », «per l'amicizia con l'URSS» o « con la Cina », «per la libertà algerina », per i diritti di qualcuno, contro l'oppressione o le prepotenze di qualcun altro. Ora, poi, non ha nessuna importanza il fatto che il partito cos1 ferocemente «pacifista» disponga (lui in proprio, o i suoi padroni) di formidabili armamenti, cos1 come non importa affatto che l'ottenimento della libertà per un lontano popolo consista in pratica soltanto nell'imporre a questo una spaventosa oppressione; non importa che i diritti richiesti per qualcuno siano eccessivi o ingiustificati; non importa che il governo cosiddetto «oppressore» (di solito, straniero e molto lontano) contro cui si tuona, in realtà non opprima nessuno. Al limite, non importerebbe neppure se il lontano popolo «oppresso» non esisterebbe per niente: sarebbe sufficiente che la gente potesse credere ciecamente alla sua esistenza, senza il rischio di clamorose e controproducenti smentite.

In verità, per la creazione di efficaci organizzazioni parallele interessa una cosa sola: radunare degli «utili idioti » che si agitino, creando situazioni e stati d'animo senz'altro artificiosi, ma favorevoli alla guerra rivoluzionaria. Stati d'animo che poi, persistendo e divenendo abitudinari, cessano di essere artificiosi e vengono accettati come una seconda natura, appunto per quel processo dei riflessi condizionati reso celebre da Pavlov. Non importa neppure che gli « utili idioti» credano nelle idee a cui giovano, per esempio nel comunismo, come è il caso della guerra rivoluzionaria di oggi. Possono svolgere la loro funzione per fede, oppure per una qualche convenienza, specificatamente per danaro, o per idiozia pura e semplice. In quest'ultimo caso rientrano anche coloro che sono « utili idioti » senza saperlo, divenuti cioè uominiarma inconsci al servizio della guerra rivoluzionaria comunista. Ad essi non si richiede neppure una stretta ortodossia sul piano della propaganda; anzi, al contrario, qualche eresia messa Il come una ciliegina sul gelato dà !'impressione che si tratti di uomini liberi. In effetti, a chi muove i fili della guerra rivoluzionaria basta che costoro si agitino secondo il piano generale (che nella massima parte dei casi non conoscono) e che si battano per affermare determinati miti, con l'ausilio di pochi slogan efficaci. Tutte le altre elucubrazioni più o meno intellettualistiche non hanno importanza, perché la massa le dimentica ancora prima di averle apprese, come tutte le cose troppo logiche o troppo difficili. E, lo si tenga ben presente, la propaganda va rivolta soprattutto alle masse  perché esse hanno ormai assunto nella società di oggi una importanza che sarebbe errato trascurare.

Naturalmente, più gli « utili idioti » sono intelligenti - ci si scusi il bisticcio - più risulta efficace la loro azione sulle masse. In Italia, grazie a Dio, questo caso non è molto frequente, per cui gli « utili idioti » giovano alla causa della guerra rivoluzionaria principalmente con l'apporto del loro nome, più o meno meritatamente celebre. Altrove, invece, si ha il caso di intellettuali o di artisti «impegnati» che impostano coscientemente le loro opere secondo ben precisi criteri di influenzabilità psicologica, con metodi che se non sono rigorosamente scientifici, lo sono almeno più dì quelli impiegati nella propaganda dei partiti politici; quindi, a nostro avviso più efficaci.

La guerra rivoluzionaria deve estendersi a macchia d'olio, portando la propria penetrazione in ambienti più consistenti e più influenti sulla vita reale del paese. In taluni casi, sono le stesse leggi democratiche a fornire alla guerra rivoluzionaria i mezzi e le vie di penetrazione: ad esempio, attraverso le amministrazioni locali e, in particolare, proprio in Italia. In vaste zone del paese i comunisti e i loro alleati di sinistra hanno stabilito aree di monopolio politico e organizzativo, che naturalmente si trasformano il loro volta in leve di potere. Facendosi forti del controllo di tali .zone, i comunisti possono ricattare gli organi politici centrali, costringendoli a sempre nuove concessioni, stabilendo inoltre sul piano locale tutto un rigido sistema di clientele, che comprenderà fatalmente gruppi finanziari ed economici, fonti di lavoro, enti culturali; quindi, tutto, ad eccezione degli organismi militari e di polizia. Ma non è neppure escluso che, avendo avvinta a sé la popolazione delle zone « democraticamente» controllate, questa stessa popolazione, manovrata in un intelligente assedio psicologico, finisca per sommergere con la sua massa anche le ultime isole di resistenza, o almeno per eroderle, conquistando individualmente e giorno per giorno le persone singole. La difesa contro una simile minaccia è tanto più difficile, poiché anzitutto non ci si può rinchiudere in campi trincerati evitando ogni contatto con la popolazione, e poi soprattutto perché è vietato individuare chiaramente il nemico, additarlo, combatterlo decisamente. In Italia si dice che non è possibile, dato che il partito comunista è riconosciuto legalmente e inserito in tutti i gangli della vita nazionale. Che poi questo partito si valga proprio della legalità per scopi illegali, questo sembra non interessare nessuno.

Comunque, allargandosi ancora, l'infiltrazione della guerra rivoluzionaria si impadronisce di organi a carattere nazionale. Di solito si inizia con la stampa: non è difficile collezionare « intellettuali» a tendenza radicale, affidare loro un giornale o una rivista - mantenendone il controllo diretto o indiretto - finanziarIo, diffonderlo, affermarlo. La stampa di questo tipo, cioè non apertamente politica, ma a carattere « culturale impegnato », funge ottimamente da carta moschicida per attirare anche intellettuali non dediti abitualmente al giornalismo: scrittori, poeti, artisti, studiosi, professori, giovani con velleità intellettuali più o meno fondate. Si tratta del resto di un fenomeno inevitabile: chi scrive un libro o una poesia, chi dipinge dei quadri, o recita, o compone melodrammi oppure canzoni, ha bisogno del consenso della critica, e non gli interessa affatto che tale consenso venga da fogli culturali legati dietro le quinte a gruppi di sinistra o di destra. Basta che questi fogli non si scoprano troppo (la misura della decenza dello scoprirsi è data dalla situazione del momento, esattamente come per la moda femminile), e soprattutto che controllino una vasta massa di opinione pubblica, cioè che inducano un congruo numero di persone a comprare il libro, il disco, o il quadro. Ora se poi - per tornare sull'esempio attuale e concreto della guerra rivoluzionaria in Italia - gli ambienti anticomunisti non cercano di organizzare seriamente e metodicamente una campagna culturale «impegnata» nel senso loro, è evidente che gli intellettuali continueranno ad affluire a sinistra. Sul fenomeno incide anche un altro fattore, sebbene in misura secondaria, a nostro avviso: la predisposizione insita nell'intellettuale di essere sempre tendenzialmente a sinistra, per affermare le proprie tesi più o meno nuove contro la cultura e la scienza ufficiali. Ma questo, ripetiamo, incide poco, specialmente poi oggi in Italia, dato che la cultura ufficiale è ormai tutta a sinistra. E a questo proposito, se gli anticomunisti avessero maggiore sensibilità politica, approfitterebbero della situazione per sfruttare in senso anticomunista la naturale tendenza alla ribellione delle nuove generazioni culturali contro il conformismo delle dottrine ufficiali.

Ma andiamo avanti, radunati, in congruo numero, intellettuali di una certa fama, si mettono in opera organizzazioni e comitati culturali, si indicono premi, concorsi, borse di studio. Così, gli «utili idioti» si trasformano in posizioni di forza, cui anche gli intellettuali fino a quel momento non «impegnati» sono costretti a far capo. Ecco il formarsi di un organismo ufficiale «de facto» cui tutti devono ricorrere, un organismo che non è più al servizio del paese, ma a quello del partito che conduce la guerra rivoluzionaria contro il paese stesso. Naturalmente, la cultura rimbalza sulla stampa e sull'opinione pubblica, queste a loro volta ancora sulla cultura, per una sorta di moto perpetuo in progressivo aumento.

Va poi osservato che gli intellettuali non sono tutti liberi professionisti: in parte sono inseriti, come è del resto naturale che avvenga, in organi vitali del paese, come scuole, università, istituti vari, centri scientifici o culturali, tutti a carattere generalmente ufficiale. Così, l'infiltrazione si allarga a questi stessi organi, fagocitandoli gradualmente, uno per uno. Nelle scuole e nelle università, poi, la presenza sempre più numerosa di insegnanti « impegnati» agli ordini diretti o indiretti della guerra rivoluzionaria, influisce non poco sull'educazione, sul carattere, sulle idee dei giovani. Ciò risulta forse meno sensibile nelle scuole medie, dove gli allievi si considerano in stato di perenne ostilità nei riguardi del corpo insegnante, e quindi tendono ad accettarne meno facilmente gli orientamenti politici o ideologici. All'università accade invece il contrario, perché qui gli studenti si apprestano, con la laurea, a divenire « colleghi» dei professori; molti, poi, cercando di trovare lavoro proprio nelle scuole o addirittura negli -ambienti universitari, preferiscono camminare secondo la corrente dominante.

A spingere a sinistra la futura classe dirigente di domani, gli studenti universitari, concorrono anche altri motivi: da un certo «spirito goliardico» inteso in senso anarcoide, fino alla inevitabile infatuazione che coglie molti giovani sprovveduti, venuti per la prima volta a contatto con nozioni superiori. Costoro sono facile preda dell'accorta azione psicologica della guerra rivoluzionaria comunista.

Tra l'altro, i giovani che escono dalle università si introducono in organismi di tutti i generi. Sommando la loro infiltrazione a quella effettuata dagli intellettuali,. e all'altra ancora dovuta ai centri di potere locali, le organizzazioni parallele del partito comunista assumono una diffusione e una, influenza tali da costituire uno Stato nello Stato; uno Stato abusivo che sii avvia sempre più a sostituire quello legittimo, finendo di succhiarne come un parassita le ultime gocce di sangue. Quando il fenomeno giunge al termine, le organizzazioni parallele non hanno altro da fare che prendere il posto di quelle ufficiali, ormai prive

di effettivo potere e di autorità.

Come abbiamo già accennato, la propaganda prosegue anche durante la fase della infiltrazione. Anzi, si accentua.

Si accentua, e risulta anche più facile ed efficace. Più efficace perché condotta da posizioni di forza. Chi è debole, può promettere mari e monti, ma la gente non lo degnerà della ben che minima attenzione, perché sa bene che da un debole o da un isolato non otterrà mai nulla. Chi invece è forte, in atto o in potenza, chi dimostra di sapere conquistare il potere, può anche promettere poco: tutti andranno con lui, perché sanno che almeno quel poco potranno ottenerlo.

Chi promette, insomma, deve almeno apparire in condizioni di poter mantenere la promessa, prima o poi. Per questo, la propaganda della guerra rivoluzionaria diviene molto più efficace quando l'opera di infiltrazione condotta con successo ha imposto, al paese la presenza sempre più affermata e riconosciuta delle organizzazioni parallele comuniste. A questo punto, la gente si aggrega sempre più numerosa al carrozzone favorito dalla fortuna, a colpo sicuro.

La propaganda, in tale fase, ricorre talvolta a colpi bassi particolarmente efficaci per certi strati della popolazione. Un esempio solo, italiano, è sufficiente: dopo l'insurrezione dei portuali genovesi del luglio 1960, che rovesciava il governo Tambroni iniziando l'apertura a sinistra, il governo sovietico affidava ai cantieri di Genova la commessa per la costruzione di alcune petroliere di grosso tonnellaggio (sei, se ben ricordiamo). In questo modo, i lavoratori del locale porto vedevano crescere le loro possibilità di lavoro e quindi di guadagno: era il premio concesso agli uomini-arma consci o inconsci della guerra rivoluzionaria_ Il premio concesso apertamente da una Potenza straniera a operai italiani che avevano rovesciato un governo italiano. Beneficiati non erano poi soltanto i portuali, ma tutta la popolazione, che traeva vantaggio dall'aumento di lavoro nei propri cantieri; e perfino le grosse industrie navali, cioè gli odiati capitalisti, favoriti in questo modo dalla « patria di tutti i lavoratori ».

Nei riguardi dell'alta industria si rivelano molto efficaci iniziative analoghe, come appunto l'apertura dei mercati russi o cinesi, o di quelli afro-asiatici. Gli industriali che stabiliscono giri di affari con l'oriente sono in parte conquistati, e talvolta materialmente costretti a finanziare gruppi di sinistra. Così, anche in campo economico si stabiliscono degli organismi paralleli, che si aggiungono a quelli già esistenti nello stesso campo, a carattere sindacale. E quando la guerra rivoluzionaria si impadronisce delle leve economiche del paese, può provocare crisi, disastri e agitazioni a suo piacimento, ricattando continuamente il potere legittimo. A questo punto le organizzazioni parallele del partito comunista premendo da tutti i lati, appoggiate dagli organi più scoperti del campo politico, ottengono sempre nuove concessioni, inseriscono un numero sempre maggiore di uomini-arma della guerra rivoluzionaria nelle istituzioni ufficiali dello Stato. Una volta inseriti, questi uomini impongono allo Stato stesso una certa politica, che può essere di resa aperta all'attacco della guerra rivoluzionaria, oppure una politica di discredito; ad esempio, una politica economica che metta in crisi le industrie, crisi che finirà per generare dei disoccupati, i quali – sapientemente guidati - scenderanno in piazza e daranno l'assalto ai poteri costituiti.

 

QUARTA FASE: PROPAGANDA"INFILTRAZIONE-AZIONE"

 Riassumendo, abbiamo fin qui sommariamente descritto tre fasi della guerra rivoluzionaria: preparazione, propaganda, infiltrazione. Si tratta di fasi che -ripetiamo - non sempre nelle attuazioni concrete mantengono rigorosamente quest'ordine. Ora viene la « spallata finale », cioè la quarta fase: l'azione. L'azione può essere di due tipi: la conquista «legale» del potere in paesi europei come l'Italia, o l'azione violenta (attentati, atti di sabotaggio, guerriglia) più comune in paesi extra europei. Nel primo caso, l'azione non è altro che il coronamento del successo già conseguito nel corso della terza fase della guerra rivoluzionaria; il caso « violento », poi, interessa meno da vicino l'Italia o i paesi europei, almeno nella attuale situazione.

La nostra trattazione potrebbe dunque qui terminare. Ma per far si che non appaia manchevole, è opportuno parlare egualmente per esteso della quarta fase, l'azione. Per far ciò,ci pare più organico e più efficace cedere la parola a quei relatori, che potranno illustrare nei dettagli e con esempi concreti efficacissimi le due diverse manifestazioni della fase azione.

Sono manifestazioni che il mondo occidentale sta vivendo proprio ai giorni nostri: da una parte in Italia (caso, diciamo cosi, «legale»), dall'altra nel Vietnam (caso «violento»). In entrambi i paesi, rischia di decidersi la sorte di due continenti, già occupati nella loro parte maggiore da Potenze comuniste.

La decisione, dunque, dipende molto da noi. Proprio da noi italiani, che viviamo (talvolta senza rilevarlo pienamente) questa insidiosa battaglia. Se sapremo finalmente aprire gli occhi, aprire gli occhi sulla guerra rivoluzionaria, se sapremo reagire in misura adeguata, allora, e soltanto allora, potremo riprenderei e vincere. Ma attenzione: è tardi. Molto tardi. «Il est moins cinq »,

dice in un suo recente libro Suzanne Labin.

       Siamo arrivati agli ultimi cinque minuti.

 

Dalla guerra d'Indo Cina alla guerra del Vietnam

Comunicazione del dottore

 

GIORGIO TORCHIA

 

Il dr. Giorgio Torchia nel secondo giorno dei lavori ha preso in esame, con l'ausilio di diapositive, l'area della g.r. in Asia ed in Africa, area che egli ha ripetutamente visitato durante questi ultimi anni per ragioni professionali, recandosi nel Congo, nell'Angola, nel Mozambico, nel Vietnam, nell'Irak, in Algeria, eccetera. Inoltre il dr. Giorgio Torchia ha presentato all'attenzione del I convegno un ampio e documentato studio sulla guerriglia nelle sue manifestazioni in Asia, in Africa, nell'America Latina, a Cipro, facendo anche un'utile distinzione tra le guerriglie d'ispirazione nettamente comunista e quelle non comuniste. Egli, in questo studio, fornisce anche preziosi dati sulla consistenza delle forze in campo. Qui appresso viene pubblicata la sua interessante e diretta testimonianza sul fronte indocinese e sugli sviluppi successivi di quel conflitto che dura, con fasi più o meno acute, dal 1945.

 

La globalità della g.r. si manifesta in modo evidente in questa parte del mondo. Il giorno in cui gli americani decidessero di gettare la spugna nel Vietnam, il laos e la Cambogia passerebbero definitivamente in campo comunista; subito dopo subirebbero la stessa sorte della Tailandia, la Malaysia, le Filippine. Tolto un mattone tutta la costruzione, peraltro fragile, crollerebbe.

La decisione d'inviare truppe australiane nel Vietnam dimostra che il pericolo è sentito vivamente anche dal governo di Camberra. Da questa sensibilità australiana si può valutare l'importanza della posta che è in gioco nel Vietnam; come bisogna tener presente che gli Stati Uniti hanno soltanto la scelta tra la difesa ei paesi liberi dell'Asia ed il loro abbandono. Se gli americani decidessero in questo secondo senso, dovrebbero ripiegare sulle Hawaii e la ripercussione si farebbe sentire anche in Giappone che passerebbe nel campo neutralista.

La guerra che si combatte oggi nel Vietnam non è che la prosecuzione di un conflitto che, pur con fasi alterne e periodi di stasi, ebbe inizio nell'ottobre del 1945, quando il generale Leclerc sbarcò ad Hanoi alla testa di due divisioni per ordine di De Gaulle, onde ripristinare la sovranità francese nei possedimenti indocinesi: Laos, Cambogia, Concincina, Annam e Tonkino (questi ultimi tre noti come Vietnam).

Tralasciamo di esaminare i negoziati intercorsi tra Parigi e gli esponenti nazionalisti-comunisti indocinesi, i quali, approfittando del vuoto di autorità determinato dalla resa dei giapponesi, avevano proclamato l'indipendenza del Vietnam impossessandosi di ingenti quantitativi di armi con la complicità degli stessi giapponesi.

Ho Chi Minh aveva saputo manovrare abilmente mimetizzando i suoi uomini fra le organizzazioni nazionaliste sorte durante l'occupazione nipponica. Tuttavia al momento dell'armistizio i comunisti disponevano di soli 6.000 uomini armati, i quali avevano operato agli ordini di Giap in operazione di guerriglia contro i giapponesi. Furono questi 6.000 uomini che per dieci anni hanno impegnato in una guerra di tipo nuovo il fiore dell'esercito francese.

Fu sotto l'equivoco del nazionalismo che Ho Chi Minh, dopo aver trattato in un primo momento con i francesi, diede il via alla lotta armata. Le ostilità tra francesi e il Vietmin crescono progressivamente nel corso del 1946, fino a quando viene scatenata l'insurrezione generale (dicembre 1946). Ho Chi Minh ordina ai suoi di ritirarsi nell'interno e lascia ai francesi le grandi città. Nell'interno del Tonkino, nell'Annam e nella Concincina si forma l'Armata Popolare, la quale trova il suo sostegno nelle «gerarchie parallele ». Le quali, facendo leva sui sentimenti della popolazione, condizionandola con la persuasione e la violenza, la irretiscono in una rete di complicità dalla quale non c'è scampo se non con la condanna a morte.

Nel 1941, le principali strutture delle gerarchie parallele sono ormai perfezionate contemporaneamente al dispositivo militare, che comprende le forze locali, le forze regionali ed il primo nucleo delle formazioni «regolari ».

Nel 1947 le principali città del Tonkino sono strette d'assedio dal Vietmin, ma i francesi riescono a romperlo. Due anni dopo, la vittoria di Mao Tze Tung in Cina consente a « viets » una offensiva su vasta scala contro i francesi, che sono costretti a ritirarsi dai confini can la Cina ed a subire la disastrosa sconfitta di Cao Bang. Tuttavia il maresciallo De Lattre, inviata d'urgenza da Parigi, riorganizza velocemente le difese francesi e quando. il Vietmin attacca convinta di coglierle in crisi, subisce duri rovesci. Il generale Giap non aveva tenuto conto degli insegnamenti di Mao Tze Tung. È un errore che non commetterà più. Durante quegli anni intanto aumenta il controllo della popolazione da parte del Vietmin ed il dispositivo militare si rafforza can bande di guerriglieri e di formazioni regolari equipaggiati dalla Cina. Nel 1925 i francesi ripiegano sul «Delta utile» del Fiume Rosso, lunga l'asse Hanoi-Haiphang. Nel 1953 l'offensiva principale del Vietmin si sposta nel paese Thai, nel cuore dell'Indocina. Crollano i posti fortificati francesi.

I francesi per coprire il Laos si fortificano a Dien Bien Fu nell'aprile del 1953. Nel gennaio. del 1954 Giap che dispone di 50. battaglioni regolari, di 30 battaglioni di forze locali, di numerose bande di guerriglieri e che è riuscita a concentrare una  notevole massa di artiglieria, scatena l'offensiva contro la base che cade nel maggio del 1954.

Già prima della sconfitta di Dien Ben Fu, la Francia aveva decisa di porre fine alla guerra e quella sconfitta non fa che sancire la decisione politica.

 

I francesi soltanto per gradi e can una sanguinosa esperienza presero coscienza della guerra particolare e mostruosa nella quale erano impegnati.

Mentre lo. Stato Maggiore francese cercò invano, dopo i successi iniziali di De Lattre e di Salan, la battaglia in campo aperta, i quadri subalterni, studiando il fenomeno Vietmin, maturavano i primi orientamenti di una contro-strategia della g.r. Tali orientamenti dovevano trovare poi in Algeria il loro terreno sperimentale. Oggi gli americani fanno tesoro di queste esperienze nel compito che si sono assunti di condurre avanti la difficile eredità lasciata dai francesi.

Comunque la prima guerra d'Indocina ha dimostrata la validità dei principi di Mao Tze Tung: «la prima fase è quella dell'offensiva strategica del nemico e della nostra difesa strategica. La seconda fase è quella della difesa strategica nemica e della nostra preparazione alla controffensiva. La terza fase è quella della nostra controffensiva strategica e della ritirata strategica del nemico ».

La seconda guerra d'Indocina che si combatte da circa 20 anni nel Vietnam del Sud si basa sugli stessi principi e sugli stessi uomini. Il Viet Cong è la versione «meridionalista» del Vietmin. Alla fine dello. scarsa anno., la situazione nel Vietnam del Sud poteva essere considerata all'inizia della terza fase. Nei primi sei mesi di quest'anno. la situazione è cambiata in modo sfavorevole al Viet Cong.

Ma per afferrare il quadro della situazione, sarà bene ricordare che gli accordi di Ginevra del 1954 lasciarono negli ex-possedimenti francesi una stata di precarietà e di instabilità. Quasi la metà del Laos era occupata dal Pathet Lao, figliazione del Vietmin; nella Concincina e negli altopiani della Annam molte regioni erano sotto controllo comunista. La Cambogia, dove la guerriglia era circoscritta ai manti Cardamanes, era in una situazione relativamente tranquilla. Il Vietmin, in base agli accordi di Ginevra, fece finta di ritirare le bande che operavano al sud; ma se il grassa degli effettivi ripiegò su Hanoi, le infrastrutture politiche e militari rimasero sul posto.

 

Il presidente Ngo Dinh Diem, che aveva assunta il patere dopo Bao Dai in seguito alla consultazione popolare, conoscendo questa situazione, iniziò l'opera di ripulitura. Ha Chi Minh, che valeva impedire il consolidarsi del Vietnam del Sud, passò allora al contrattacco e lunga! pista - chiamata appunta «Ha Chi Minh» che passa attraversa il Laos, fece ritornare istruttori ed  agitatori ai loro antichi pasti di guerriglia rifornendoli abbondantemente di armi. Contemporaneamente nel Tankina, in scuole speciali, raccoglieva giovani per preparare le nuove leve. Diem, cattolico e nazionalista, affrontò can risolutezza la ribellione, sostenuta dalla minoranza cattolica, cioè circa un milione di persone che costituisce l'élite del Vietnam, ricche di una fede profonda capace di opporsi al fanatismo del Vietcong.

I comunisti si rendevano però conto che non potevano sferrare il colpo decisivo fino a quando non avessero distrutto lo stato di Saigon, impersonato ora da un vietnamita. Così, nel loro disegno comunista, l'eliminazione di Diem aveva un'importanza superiore a qualsiasi successa militare. La campagna che doveva portare Diem ed i suoi ad una tragica fine, rappresenta una tappa impartante e vitale della g.r. nel Vietnam.

         L'azione del Vietcong, indirettamente favorita dall'ingresso alla Casa Bianca dei progressisti che facevano capo a Kennedy, si sviluppava lungo una direttrice che raggiungeva il tallone d'Achille di Diem e dalla sua famiglia, cioè l'ostilità degli ambienti politici non comunisti, i quali erano stati posti ai margini della vita politica dall'autoritarismo di Diem. Tali ambienti s'identificavano specialmente nella popolazione di confessione buddista. Ed ecco apparire sulla scena il «Ven Roa Dao» cioè l'Istituto di studio per la trasformazione della fede, affidato ad un bonzo sanguinario originario del nord, Tric Tri Quang. Nasceva così un fenomeno politico buddista mai prima esistito, teleguidato ed alimentato dal Vietcong. Il gioco era chiaro per chi aveva gli occhi per vedere. L'attacco a Diem si concretava nell'accusa di aver monopolizzato il potere in favore dei cattolici, mentre la maggioranza buddista era perseguitata. Naturalmente la campagna contro Diem, qualche volta ,condotta da taluni esponenti vietnamiti in buona fede, veniva così a congiungersi con gli obbiettivi del Vietcong. I quali erano appunto di eliminare Diem, spazzare via i cattolici, scatenando contro di loro le masse buddiste opportunamente fanatizzate con il suicidio spettacolare di alcuni bonzi drogati. In proposito ha scritto Jean Pouget: «Questo duro nucleo di cattolici vietnamiti innervosisce il Vietcong, abituato a non incontrare resistenza ai suoi metodi. Il Vietcong vi gira attorno senza riuscire a penetrarvi ed i commissari politici si trovano dinanzi a preti simili a loro, i volontari della morte comunisti davanti ai martiri cristiani. Le armi da sole sono impotenti a convincere trattandosi dello scontro di due fedi ». Queste parole spiegano che cosa rappresentano i cattolici nel Vietnam e quale grande battaglia abbiano vinto i comunisti con l'uccisione di Diem e dei suoi fratelli. Nei giorni della crisi diemista, che va dal novembre del 1963, tutto il mondo democratico parteggiò per i bonzi e per i poveri buddisti « oppressi », mentre venivano ignorate sia la collusione esistente fra il Vietcong e il Ven Roa Dao, sia la scoperta _i armi, esplosivi, materiale di propaganda e radiotrasmittenti nelle pagode. Soltanto alla fine dello scorso anno, quando il buddismo militante si agitò in favore della vittoria del Vietcong, l'opinione pubblica occidentale cominciò a pensare che Diem, pur con tutti i suoi errori, non aveva tutti i torti.

Comunque l'eliminazione di Diem non sarebbe stata così tragica se coloro che l'avevano eliminato o non l'avevano difeso fossero stati in grado di sostituirlo con una classe dirigente altrettanto capace e decisa. Ciò non è avvenuto. Per oltre un anno il Vietnam del Sud non ha avuto un governo, l'unica autorità che si sentiva era quella delle « gerarchie parallele» del Vietcong; mentre a Saigon i continui colpi di Stato, alimentati da agenti comunisti inseriti finanche nello Stato Maggiore, si sono susseguiti l'uno dopo l'altro.

Il 1964 si concludeva con questo disastroso bilancio:

1)l'amministrazione civile e militare epurata ed inoperante;

2) l'esercito scoraggiato ha perduto la non eccessiva volontà combattiva;

3) i Vietcong avevano di fatto guadagnato la partita delle risaie e l'infiltrazione degli altipiani procedeva veloce;

4) le città, già sotto rigido controllo della polizia diemista. sono invase da centinaia di propagandisti e di terroristi ben forniti di armi;

5) i buddisti, agendo soprattutto sugli studenti, determinano il caos con una campagna pacifista;

6) l'immobilismo degli Stati Uniti, impegnati nelle elezioni presidenziali, favorisce il deterioramento della popolazione.

Giunge così il momento in cui il Vietcong passa all'attacco. L'audace colpo di mano contro la base aerea di Bien Roa, vicino a Saigon, e l'occupazione di Bin Nghia - dove ebbe luogo la prima grande battaglia campale di questa seconda guerra d'Indocina

indicavano che la g.r. vietnamita stava per entrare nella terza fase militare prevista da Mao Tze Tung. In quei giorni il generale Tay-lor, che ci aveva ricevuto, conveniva che il primo obbiettivo da realizzare era di ricostruire lo Stato sudvietnamita. Poi si poteva contrattaccare avendo presente che il regime di Ranoi costituiva 1'« ostaggio» (la parola è del generale Taylor da colpire per far allentare la stretta del Vietcong.

Con l'insediamento, non privo di difficoltà, del governo Quat, gli americani, che di fatto hanno la direzione delle operazioni militari, sono passati al contrattacco estendendo ...gradualmente e progressivamente la risposta all'aggressione adottano la dottrina dell'« escalation ». Il Vietnam del Nord è sottoposto quotidianamente alla guerriglia aerea, la quale produce più effetto psicologico che danni rilevanti. Parallelamente vengono intensificate le operazioni militari al Sud. Ciò significa che la pressione si accentua ed indica la volontà degli Stati Uniti di non cedere dinanzi all'aggressione. Si tratta in altre parole di un'« operazione fiducia» che ha dato dei risultati, puntellando una situazione che stava per precipitare.

 

L'« escalation », sopratutto per quanto riguarda l'impiego dell'arma aerea nel Vietnam del Sud, crea numerosi e complessi problemi. I bombardamenti non contribuiscono certo alla «pacificazione» condotta a terra dalle unità vietnamite ed americane; ma è anche vero che se uno dei fattori principali del condizionamento comunista sulla popolazione è il terrore, lo stesso effetto lo si può ottenere con gli aerei. Questa valutazione può apparire cinica, ma nella g.r. la morale purtroppo non ha cittadinanza, e comunque risponde alla realtà delle cose. La tesi americana è che è possibile realizzare la pacificazione attraverso la « psychological warfare », ma nelle zone controllate dal Vietcong la popolazione deve trasferirsi altrove perché la località viene arata con il napalm, le bombe ed i razzi. La lezione serve anche per il Vietcong che crede di avere la .vittoria in pugno.   .

Tuttavia il generale Taylor è un convinto sostenitore di una strategia di pace per conquistare la popolazione con metodi pacifici, con la persuasione e con un ventaglio d'iniziative sociali e sarebbe un errore ritenere che l'azione psicologica sia affidata al terrorismo aereo. Come sarebbe un errore credere che l'arma aerea sia risolutiva in questo tipo di guerra. Recenti bombardamenti massicci non hanno provocato nemmeno un morto nel Vietcong, anche quando sono state impiegate mille tonnellate di bombe su un perimetro di sei chilometri quadrati. Ciò significa che l'azione aerea deve essere parallela ad un'azione costante di controguerriglia.

 

Nel Vietnam meridionale dobbiamo distinguere due fronti geografici: le risaie del delta del Mekong a sud, gli altipiani dell'Annam centrale a nord. Nelle risaie i Vietcong si sono saldamente impiantati e si trovano nelle condizioni ambientali più favorevoli. Negli altipiani la situazione era diversa (ora è cambiata). Le zone montuose sono abitate dai «montagnards» appartenenti a gruppi etnici non vietnamiti e da questi disprezzati e considerati primitivi. Essi hanno fornito alla Francia il nerbo delle truppe indocinesi e le bande per la controguerriglia. Oggi i montagnards sono affidati alle cure,

delle « Special Forces» americane e presentano un notevole ostacolo all'infiltrazione del Vietcong. Ma anche qui, con la pazienza, i comunisti sono riusciti a scardinare le resistenze psicologiche e campali di numerosi villaggi ed in qualche caso sono ricorsi alle infiltrazioni matrimoniali. Il ruolo dei montagnards è decisivo sia per il Vietcong che ha nella loro zona il grosso delle sue forze e del suo equipaggiamento pesante, sia per Saigon.

Comunque la battaglia per gli americani è molto difficile anche se hanno fatto affluire mezzi imponenti ed abbiano impiegato a massa gli elicotteri. Il quale impiego indubbiamente, è un fatto nuovo ma ha anche un lato negativo nel senso che gli americani hanno trascurato di controllare le strade, che sono invece rimaste sotto controllo del nemico.

Gli aspetti che presenta la guerra rivoluzionaria nel Vietnam i per le sue implicazioni politiche e per le sue manifestazioni cruente, potrebbero prestarsi ad un più lungo discorso. Vorrei tuttavia fare ancora un'osservazione che riguarda il terrorismo nelle grandi città effettuato dal Vietcong. Il quale lo usa con moderazione se si fa il confronto con l'esercizio del terrore indiscriminato praticato dal F.L.N. in Algeria. I Vietcong nelle città (nei villaggi la situazione è diversa) attaccano soltanto in determinate occasioni obbiettivi scelti accuratamente, quasi sempre installazioni civili e militari americane. E' mia opinione che questa relativa moderazione dipenda soltanto dal fatto che il condizionamento del Vietcong sulla popolazione di Saigon o di Hué è maggiore a quello che esercitava a suo tempo il F.L.N. ad Algeri o ad Orano.

Nelle campagne da parte dei governativi il controllo delle popolazioni avviene secondo un nuovo metodo. All'epoca di Diem si è

tentato di prosciugare 1'« acqua del pesce» portando via la popolazione concentrandola nei villaggi strategici appositamente attrezzati e studiati in base ad analoghe esperienze fatte dagli inglesi in Malesia e dai francesi in Algeria. Con ciò si voleva impedire che i Vietcong potessero trovare rifugio ed aiuto specialmente durante la notte. Questo esperimento, pur con qualche inconveniente, aveva aspetti positivi, ma ora è stato sostituito con una nuova formula chiamata la «New Rural Life », la quale consiste nella creazione di un campo-base centrale fortificato e in un presidio mobile incaricato della protezione dei villaggi viciniori. Questo sistema, se nei confronti dei villaggi strategici ha il vantaggio di rispettare il tradizionale attaccamento dei contadini alla propria casa, 6resenta altri aspetti negativi. Spesso i soldati del campo base sono costretti a stare esclusivamente sulla difensiva, oppure, quando fanno delle sortite per correre in aiuto a qualche villaggio attaccato, sovente cadono in una imboscata.

 

Comunque la lotta continua in difesa della libertà del popolo vietnamita. I bombardamenti aerei vanno a colpire i loro obbiettivi sempre più a nord del 17° parallelo, mentre mezzi imponenti e nuovi reparti americani continuano ad affluire nel Vietnam del Sud. La g.r. nel Vietnam ha raggiunto un livello che oltrepassa i confini del terreno della 10ttll; infatti, mentre si manifesta sul piano locale come un episodio di guerra sovversiva, in realtà rappresenta una sfida a braccio di ferro fra gli U.S.A. da una parte e la Cina e l'URSS dall'altra parte ed apre prospettive inquietanti.

 

Tre esperienze : la lezione di Berlino, Congo, Vietnam

 Intervento del 3 maggio del dottore GIUSEPPE DALL'ONGARO

 

Vorrei fare alcune osservazioni senza alcuna pretesa di formulare esposizioni dottrinarie o teoriche su larga scala, ma con l'unico intento di registrare testimonianze dirette. Per ragioni professionali ho avuto modo di visitare tre punti nevralgici dello scacchiere internazionale, dove la nuova tattica della g. r. si manifesta in forme concrete, precise. Questi tre settori sono: Berlino, il Congo ed il Vietnam. Diversa è l'attuazione pratica, adattata alle circostanze singole, in cui si manifesta la guerra rivoluzionaria; ma identico, mi pare, il principio ispiratore di questa stessa guerra rivoluzionaria.

Cerchiamo dunque di cogliere il significato di un'esperienza attraverso esempi diretti. Berlino: a Berlino, tutti sappiamo, esiste una situazione particolare, esiste una città tagliata in due. Quando ci si reca al passaggio della Friedrichstrasse, da Berlino Ovest a Berlino Est, e si ritorna poi verso il settore occidentale, si è letteralmente riempiti di opuscoli di propaganda, di manifestini, di volantini stampati a cura del Governo di Pankow, nei quali si dice pressappoco questo: «Cittadini, voi avete visitato la capitale della Repubblica democratica tedesca; avete visto che questa è una città tedesca,. niente, affatto diversa, nella sua popolazione, da quella che abita dall'altra parte della città. Quindi, perché dobbiamo continuare a vivere così? Non siamo noi che lo vogliamo. Facciamo insieme opera di convincimento presso tutti i tedeschi, perché ci sia una intesa fra i due Stati tedeschi ».

Questa forma di propaganda viene attuata anche sui grandi cartelloni che si possono trovare lungo il muro. Persino il famigerato muro, che è l'esempio palese, l'esempio impressionante, tragico di quello che significa il comunismo, nel cuore dell'Europa, viene sfruttato dalla propaganda comunista che rovescia i termini della questione, che li utilizza al proprio scopo. Questi grandi cartelloni dicono:

«Tedeschi, incontriamoci più spesso, stringiamoci la mano, basta con le divisioni, avviciniamo i due Stati tedeschi ». È la famosa « tesi» del governo comunista sulla spartizione della Germania in due parti. Prendiamo atto di questo stato di fatto. E prendiamo atto anche che, nel settore occidentale di Berlino il partito comunista non 'è messo fuori legge, come invece si verifica nella Repubblica federale tedesca. Esiste, sia pure in maniera ridotta, ma abbastanza efficace, una attività ufficiale, legale, apertamente riconosciuta, del partito comunista nel settore occidentale di Berlino. Naturalmente, bastano queste poche cellule, formate da esigui gruppi di individui, per svolgere una attiva opera di propaganda, basandosi su questi elementi sentimentali, su questo fattore morale, su questo desiderio logico, comprensibile, umano, dei tedeschi di riavvicinarsi gli uni con gli altri.

Vediamo ora un altro esempio: Congo. Un piccolo episodio dal Congo. Mi sono incontrato, a Leopoldiville con una vecchietta, alta un metro e sessanta circa, la famosa «Mama Onema ». Mama Onema è stata per diversi mesi la grande strega della rivoluzione, la grande maga di tutto l'apparato di sovversione che agiva nella provincia orientale del Congo. Mama Onema è stata presa da un villaggio del Congo centrale e portata dai ribelli congolesi nella zona in cui la ribellione, vicino a Stanleyville, infuriava con maggior asprezza. Questa Mama Onema è diventata un mito, è diventata la profetessa che vaticinava la vittoria della rivoluzione, che svolgeva le pratiche iniziatiche per avviare i Simba al combattimento. Intorno a lei si radunavano durante le cerimonie serali i giovani che il giorno dopo sarebbero _andati a compiere quelle stragi da tutti conosciute, contro i missionari o la popolazione dei villaggi vicini. Mama Onema era il centro, il fulcro della propaganda, della ribellione nel Congo. Una donna dall'apparenza insignificante, che aveva i suoi ciondoli intorno, i suoi piccoli amuleti e che fu, durante una notte, catturata dalle forze regolari e trasportata a Leopoldville. Veramente, la parola «catturata »non è esatta, perché Mama Onema, per prestare i suoi servizi al comando rivoluzionario, aveva chiesto 100.000 franchi congolesi. I 100.000 franchi congolesi non le furono dati, incominciò a capire che le cose non andavano troppo bene e una bella sera, con tutta là sua baracca di amuleti dietro; pensò, bene di squagliarse1a e di consegnarsi '. alle forze regolari.      

Terzo esempio: Vietnam. Come si svolge qui la propaganda comunista? Trascuriamo in, questo momento l'aspetto militare, più o meno conosciuto, della guerra del Vietnam, per accentrare la, nostra attenzione su un fatto particolare: sulla propaganda del Vietcong, cioè dell'apparato comunista che opera nel Vietnam del Sud; tra la popolazione civile. Non è infrequente, girando tra i mercati di Saigon, parlare con delle persone delle più disparate condizioni sociali, che indubbiamente non hanno alcuna affinità ideologica con il Vietcong, le quali ripetono però un falso slogan dagli stessi gruppi dei Viet Cong sparso per tutto il Vietnam: (mandate via gli americani e sarà la pace ». Ora, una popolazione da circa venti anni in stato di guerra; una popolazione stanca, psicologicamente depressa, evidentemente nutre in sé un desiderio ardente di pace. Ed è evidente anche che uno slogan simile, per quanto falso sia nelle sue premesse e nelle sue conclusioni - perché il giorno in cui gli americani se ne andassero dal Vietnam non ci sarebbe la pace, ma ci sarebbe una forma peggiore di guerra; ci sarebbe per esempio lo sterminio totale dei cattolici che si trovano nel Vietnam del sud e .non solo dei cattolici; i cattolici sarebbero solo il primo passo - trova nella popolazione; in vasti strati della popolazione, un terreno psicologicamente adatto;

Deduzioni; quali deduzioni possiamo trarre dall'esame di questi tre elementi? Che cos'hanno di comune, e cosa di diverso questi tre aspetti della guerra rivoluzionaria? Ecco: la piattaforma politica sulla quale si svolge la propaganda, si basa di volta in volta su elementi che in sé e per sé non hanno nulla a che vedere con l'ideologia marxista. A Berlino, è il desiderio dell'unità familiare che viene sfruttato, il desiderio di riunire una popolazione divisa; nel Congo si fa appello a un retaggio tribale, alla magia, alla tradizione, a fatti che sono ,connaturati a tradizioni antichissime di quel Paese; nel Vietnam al desiderio di pace, o ancora al nazionalismo di tipo xenofobo.. Elementi tutti che in sé non hanno alcun rapporto con i principi della dottrina marxista, anzi, spesso sono in contrasto con essa. A volte, come nel caso di Berlino e del Vietnam, si sfruttano addirittura delle situazioni create dalle potenze aggressive, dalle potenze comuniste. Cioè, quegli stessi elementi che dovrebbero servire a rivolgere la psicologia della popolazione contro chi è stata la causa prima di questa situazione (a Berlino il muro, nel Vietnam l'aggressione de1nord contro il sud) vengono trasfigurati, trasformati e utilizzati per svolgere un certo tipo di propaganda.

Queste situazioni sono usate dalla propaganda comunista senza alcuna riserva, senza alcuna pregiudiziale ideologia. Non c'è la minima preoccupazione di andare alla ricerca di elementi ideologicamente affini. Gli uffici che lavorano nella Unter den Linden a Berlino Est, nell'Ambasciata cinese di Brazzaville (contro il Congo), nell'ex convento domenicano di Hanoi dove si trova attualmente il centro della propaganda cino-comunista, dove ci sono tremila agenti cinesi questi uffici seguono un medesimo schema, che è il frutto della tecnica elaborata a Mosca e a Pechino. Si può tracciare cosi una specie di schema di lavoro, almeno approssimativo, del modo con il quale si svolge l'attività, la penetrazione nelle masse della concezione rivoluzionaria.

Si stabilisce da prima con precisione quali ragioni di contrasto esistano in una determinata parte del mondo. Queste ragioni, come abbiamo visto, possono essere molteplici: razzismo, nazionalismo, rivalità tribali, lotte religiose, oppure altri fenomeni, derivati da stanchezza collettiva, dal desiderio di pace, tutte cose che avvengono al di fuori della dottrina marxista. Si fa agire sul posto uno stretto gruppo di uomini preparati di assoluta fedeltà politica, con obiettivi precisi. Questi uomini hanno il compito di costituire dei comitati di agitazione che promettano la soluzione di questo problema specifico, largamente sentito nel paese. Non svolgono una propaganda ideologica in senso stretto, non parlano di lotta di classe o di marxismo, o di avvento del comunismo, ma semplicemente dicono: Noi proponiamo, attraverso dei sistemi pratici, la soluzione di questi problemi, con questi e questi mezzi; chiunque senta la necessità di superare il punto morto in cui ci troviamo deve aderire alle nostre iniziative, chiunque, a qualsiasi partito politico appartenga, a qualsiasi fede religiosa egli sia legato.

Questo metodo spiega uno dei punti chiave, a mio giudizio, della guerra rivoluzionaria: la conquista cioè della simpatia delle popolazioni; o almeno di una parte di esse, alla causa immediata e contingente proposta. E' un'operazione psicologica senza la quale non sarebbe possibile creare il clima adatto per la guerra rivoluzionaria. Che larghe masse non indottrinate, non preparate politicamente, si inseriscano nel movimento che viene proposto da questi gruppi organizzati, non preoccupa i dirigenti della guerra rivoluzionaria.

Perché sono appunto questi gruppi dirigenti che una volta attuata la guerra rivoluzionaria avranno in mano il potere, Essi sanno benissimo che, conquistato ,il potere, sarà il gruppetto organizzativo dominante a tenere in mano le redini della situazione. I delusi; quelli che credevano di battersi per uno scopo diverso, non avranno modo di reagire. Lo stato moderno ha strumenti atti a far naufragare qualunque tentativo insurrezionale interno. La guerra rivoluzionaria comincia dunque dalla esistenza di situazioni reali che vengono sfruttate, per finalità precise.

In quale situazione si trova l'Occidente di fronte a questi fenomeni? A mio avviso a Berlino, nel Congo e nel Vietnam, le difficoltà dell'Occidente sono sostanzialmente di una identica natura:

1) l'Occidente è un mondo aperto alla penetrazione della propaganda avversaria. È un mondo formato sulla libertà, ed è quindi chiaro che chi questa libertà vuole distruggere può manovrare e agire con relativa facilità;              ,

2) l'Occidente non ha pensato; di strumentalizzare, psicologicamente, quelle stesse condizioni di fatto che esistono e che vengono usate invece dalla parte avversaria, L'Occidente non ha pensato, non ha cercato, attraverso un sistema di analisi psicologica di trasformare in armi di attacco le situazioni esistenti.

3) il mondo dell'avversario, il mondo che propone la guerra rivoluzionaria, è invece un mondo chiuso, nel quale è difficile controbilanciare con mezzi analoghi a quelli comunisti l'azione sovversiva compiuta nel territorio occidentale. Un 'mondo sbarrato, nel quale non esiste una possibilità dialettica, una possibilità di discussione. La sola presenza di agitatori che svolgessero propaganda di tipo filooccidentale sarebbe immediatamente repressa con la forza e il loro compito si esaurirebbe in brevissimo tempo.

 

 

C'è da parte di chi organizza la guerra rivoluzionaria un'altra possibilità: la possibilità di usare quelli che io chiamo gli uominirobot. Una inflessibile educazione politica ha consentito ai regimi che praticano la guerra rivoluzionaria la creazione di uomini fanatizzati, veri e propri uomini-robot, sui quali possono contare sino alle estreme conseguenze. Abbiamo gli esempi dei guerriglieri nel Vietnam del sud. Abbiamo gli esempi dell'agguato praticato su vasta scala nel Vietnam del sud da parte di gruppetti specializzati che sanno di andare incontro a rischi gravi e li affrontano, perché nelle loro scuole, ove sono stati educati sin dall'infanzia, è stato loro insegnato che quella sarà la maniera migliore per assicurare il benessere proprio e della famiglia; non hanno la minima idea di quello che avviene nel resto del mondo, di come si vive nel resto del mondo. E' capitato infatti che molti di questi, fatti prigionieri,rieducati, in campo occidentale, abbiano appreso cose delle quali non avevano il minimo sentore; abbiamo appreso per esempio come si vive nelle città occidentali, nella 'stessa Saigon. Essi credevano che veramente imperasse un dominio americano. imposto con la forza, con la brutalità, che avvenissero deportazioni in massa, che ci fosse la fame, la miseria. Non sapevano nulla: non conoscevano né la verità né la Libertà. Il loro cervello era reso ottuso dalla propaganda. Andavano a combattere, fanatizzati, dopo essere stati educati nelle scuole di partito. Questi uomini-robot, noi siamo abituati a considerarli come un prodotto tipico di certa mentalità asiatica, ma a mio avviso bisogna. fare attenzione, perché cominciano a comparire anche in Europa, anche a Berlino est. A mio avviso, la manifestazione più tragica del dominio comunista nell'Europa orientale non è data dalla presenza del muro, non è data tanto dalla mancanza di un benessere economico, quanto dalla distorsione che avviene nelle, nuove generazioni, educate nel regime comunista.

E' un fenomeno gravissimo, perché porta qui, nel centro della Europa, una mentalità che noi eravamo abituati a considerare, lontana, remota da noi, impossibile ad essere importata in Occidente.

La mia conversazione con alcuni giovani comunisti a Berlino est mi ha veramente preoccupato in questo senso; si tratta ancora di un

fènomeno limitato; -ma che sarà di questi giovani comunisti fra quindici, vent'anni,. cosa sarà delle prossime generazioni, nella Germania orientale? E' un' problema che deve preoccuparci. Ricordo, scendendo dalla «sopraelevata» e cercando l'ingresso per entrare nel settore orientale, di avere avvicinato un ragazzo, pochi mesi fa, e avergli chiesto in che direzione fosse Berlino est. Mi ha risposto sdegnatamene: «Non esiste Berlino est: esiste la capitale della Repubblica demoCratica tedesca ». Quel tono, quell'accento, quella voce, quella 'maniera di parlare, vi assicuro, mi hanno messo paura; più dei « Vopo ». E, ancora, nella Germania est, esiste un richiamo, da parte della propaganda ufficiale, a sentimenti nazionalistici e tradizionali, propri del popolo tedesco che invece, pèr ragioni perfettamente comprensibili sono stati abbandonati nella Repubblica federale germanica. Lo stesso aspetto esteriore delle truppe dell'esercito della Germania est, vi può dare un'idea di quello che sta avvenendo: sono truppe che hanno l'elmo tradizionale, che fanno il passo dell'oca sono educate secondo un rigido stile prussiano, e tutto questo esercita un richiamo  costituisce un aggancio con una tradizione che il popolo tedesco non può sentire come del tutto negativa.

Conclusione: preoccupazioni e perplessità dopo questi viaggi, dopo questo rapido panorama di tre situazioni cruciali esistenti nel mondo. Il viaggiatore che ritorna in Italia ha anche qui, nel nostro Paese motivi di preoccupazioni e di perplessità per talune analogie che troviamo, anche se soltanto in embrione con altri paesi. L'azione dei comitati per la pace, le associazioni culturali... Ecco; anche qui si sta cominciando a sfruttare, a incanalare i più diversi problemi realmente esistenti, secondo un determinato schema preciso, secondo una finalità precisa. Sta cioè avvenendo anche qui l'operazione di «cattura» di forze che in realtà con il comunismo non avrebbero, di per sé, nulla a che fare.

 

L'azione comunista nel campo dell'informazione

 Intervento del 4 maggio di VANNI ANGELI

 

Questo mio intervento vuole essere, modestamente, una testimonianza di studio, di osservazione. Si vuole suggerire un metodo - il più semplice possibile che si presti a chiarire, anche a persone non ideologicamente preparate, attraverso quali vie si sviluppa l'azione comunista nel campo dell'informazione (e quindi anche della propaganda).

Come si vedrà tale metodo non solo consente di farci uno schema dell'efficace azione propagandistica comunista, ma ci permette anche di formulare uno schema di « risposta» a quella che, anche sul piano dell'informazione, abbiamo voluto chiamare «guerra rivoluzionaria ».

 Dirò innanzi tutto che è necessario dare per accettate alcune verità:

I) esiste un mondo comunista animato da una volontà unitaria di piegare al suo potere tutta l'umanità;

2) esiste un mondo occidentale, che ha la volontà di difendersi;

3) questa volontà esiste anche in Italia.

Soltanto dando come accettate queste tre affermazioni si può ridurre ad una questione tecnica il problema della lotta al co-munismo con i suoi relativi strumenti.

Enunciamo ora il metodo teorico, il quale, come tutte le teorie, ha il difetto del semplicismo. Ma è valido in quanto non è un'enunciazione ideologica, bensì un tentativo di formulare una metodologia capace di guidarci in quella intriCatissima foresta che è oggi il mondo comunista lanciato all'offensiva. Chiameremo questo metodo il «metodo delle contraddizioni ».

In ogni società - come in ogni individuo - esistono contraddizioni e vi è chi crede che la vita stessa consista in queste contraddizioni. Contraddizioni economiche, politiche, sociali, di costume, morali, spirituali, religiose. Ogni società tende naturalmente a superarle o ad equilibrarle, attraverso le vie della logica del diritto o della forza.

La strategia del comunismo ispirata alla filosofia marxista sta appunto nell'individuare, esasperare e sfruttare tali contraddizioni, per giungere alla distruzione della società in cui opera e quindi edificare, sulle rovine, la «sua» società. In base alla sua filosofia, il comunismo cerca d'impadronirsi di uno dei due termini della contraddizione che ha scelto come strumento della sua azione, ad identificarsi con esso e ad eliminare l'altro. Questa è la sua forza, perché riesce di volta in volta ad identificarsi con forze naturali. Ma è anche la sua condanna. Da ciò nasce infatti la sua incapacità di raggiungere come accade per tutti i grandi fenomeni umani - una sua età dell'oro, una fase storiCa di concreta stabilità, di vera pace. Tali periodi infatti sono sempre frutto di un equilibrio tra le contraddizioni naturali della società, mai il frutto della sopraffazione di uno dei due termini del contrasto.

Citeremo un esempio classico. Il comunismo, nella naturale contraddizione fra lavoro e profitto, fa il suo lavoro e tenta di uccidere il profitto, sconfinando in quella che è la sua malattia classica: l'utopia. È superfluo ricordare le conseguenze di questa utopia: da essa nascono quasi tutti i deviazionismi del mondo comunista, le sue crisi economiche, i tentativi spesso ridicoli di trovare un surrogato allo stimolo del profitto dallo stacanovismo a certe forme di esaltazione addirittura religiosa del lavoro (che di frequente sconfinano in un vero e proprio feticismo). sino agli attuali esperimenti di neocapitalismo.

Ecco adesso un esempio «limite ». Trovatosi di fronte alla piccola proprietà contadina, il comunismo sovietico finì per individuare i termini della contraddizione nella terra. da una parte e nella categoria dei piCcoli proprietari dall'altra. Non potendo evidentemente eliminare la terra, eliminò i piccoli proprietari. Non è una battuta di spirito, ma è una realtà tragica, risoltasi come tutti sanno in un pauroso bagno di sangue.

Nella scelta delle contraddizioni da utilizzare per i suoi disegni, il comunismo è estremamente spregiudicato e lo diventa sempre più, via via che si completa una radicale metamorfosi come quella che si sta compiendo. sotto i nostri occhi. Infatti il comunismo sta progressivamente perdendo il carattere di un'ideologia, per trasformarsi in una, strategia. Fatalmente, nello sviluppare la sua azione, il comunismo finisce per fare scelte contraddittorie; cioè per tentare di sfruttare aspirazioni tra loro diverse e contrastanti. Gli esempi in materia basterebbero per riempire un volume. È sufficiente citare il nazionalismo, che è ,alimentato e sfruttato in Russia, nel mondo arabo, nei paesi asiatici ed africani, mentre è combattuto nei paesi occidentali (con qualche eccezione, quando fa comodo, come il caso, del nazionalismo di De GauIle).

Anche in settori, che pure sembrano non prestarsi a simili acrobazie, il comunismo ha modo di dimostrare la sua elasticità: per esempio il caso della Persia, dove si è schierato apertamente con gli agrari per contrastare le rivendicazioni dei contadini.

 

Parliamo ora del costume. Il comunismo è rigoroso nella difesa della moralità e della famiglia nei paesi controllati, mentre è favorevole ad una tolleranza illimitata, sino all'esaltazione dell'immoralità, nei paesi dove si trova l'opposizione. Nell'Unione Sovietica la lotta alla «gioventù bruciata» viene condotta con una ferocia inaudita ed abbiamo visto giovani tifosi condannati per aver dimostrato con eccessivo slancio l'amore per la loro squadra di calcio. In contrasto la stampa comunista in Italia ha difeso senza esitazione uno sventurato, il quale, per dar sapore allo spettacolo teatrale, si è presentato completamente nudo sulla scena. Ciò nel momento stesso in cui comunisti, sfruttando un elementare senso di pudore, creano artificialmente il seguente problema: se i giovani debbano passare la visita di leva completamente nudi o in « slip ».

 

 

Venendo al vastissimo campo «culturale », il discorso diventa più ampio e difficile; ma seguendo la via della sempli-ficazione, come ci siamo proposti, ci rendiamo immediatamente conto che l'opera di intossicazione comunista ha raggiunto in questo settore un'ampiezza ed mia capacità di «azione svincolata» allarmante. Anche qui scorgiamo il solito contrasto.

Da una parte si dà un pieno ed ufficiale appoggio al più vieto accademismo, dall'altra si tenta di strumentare e di rendere complementare: all'azione comunista ogni forma di modernismo e di avanguardismo. Ma in questo campo, proprio perché può sembrare « marginale », l'elasticità marxista raggiunge “la bizzarria" Vediamo il mondo comunista far suo il neorealismo come il surrealismo, l'astrattismo e l'informalismo come la pop-art (che altro non è che una forma, esasperata, infantile e polemica del realismo). Vediamo addirittura uomini e « clan » legati al mondo comunista far proprie le posizioni e le aspirazioni accademiche tradizionaliste e conservatrici.

Forse non è mai successo per una questione di mancata coincidenza, ma non sarebbe impossibile leggere sullo stesso foglio comunista un'accorata difesa di antichi ambienti architettonici, accanto ad una esaltazione di gruppi di architetti che quegli ambienti vogliono distruggere per esercitare la loro esperienza di avanguardia:

Nasce perciò spontanea l'osservazione che il comunismo nello stesso momento in cui fa leva sulle contraddizioni delle società che intende distruggere, crea ed alimenta in se stesso una grande serie di nuove contraddizioni. 

Teniamo presenti queste considerazioni e passiamo al problema della « risposta» e di ciò che in merito si è fatto sinora, mantenendoci tuttavia su un piano schematico.                                                              '

Le società non comuniste tendono a reagire all'aggressione comunista in due diverse direzioni.

I) Le società aggredite si sentono impegnate ad equilibrate rapidamente e efficacemente le proprie contraddizioni, per ren-

dersi meno vulnerabili. Questo orientamento ha i suoi. limiti sia nel fatto, che non sono concepibili dalle società real-mente prive di contraddizioni, sia nella sfrontata elasticità del comunismo che, pur non mutando la propria strategia, muta immediata-mente la propria tattica.

2) Le società non comuniste tentano di fronteggiare direttamente l'aggressione, combattendo gli uomini e le organizzazioni comuniste. Ma anche questo atteggiamento ha i suoi limiti nel, fatto che la società «liberata» dal comunismo presenta inevitabilmente. Ci una lunga serie di contraddIzioni, che sono altrettanti varchi attraverso i quali l'azione comunista riesce sia pure lentamente e cautamente - a svilupparsi in attesa di tempi migliori.

Però il pericolo maggiore è nel sorgere di una nuova contraddizione, come conseguenza del delinearsi dei due diversi orien-tamenti. Da una parte coloro che vogliono opporsi al comunismo su un piano - chiamiamolo così "concorrenziale" tentando,di risolvere i problemi che si prestano ad essere sfruttati dai comunisti; dall'altra coloro che 'ritengono la lotta" diretta, l'unico modo valido per respingere il comunismo. Il comunismo spesso riesce ad inserirsi anche in questa contraddizione, sino ad allearsi, se non addirittura ad identificarsi, con la parte che appare «più moderata»,-contro la parte «estremista».   .

Appare evidente che .le due strade, separatamente od armonizzate tra di loro - il che non è impossibile - possono portare a

qualche successo, ma non sono e non possono essere risolutive.

L'unica vera soluzione sta nello sfruttare le contraddizioni del comunismo. Infatti il comunismo ha creato una società o me-glio, un sistema sociale che, a smentita dei suoi stessi principi, è teatro di contraddizioni vaste e gravi, quanto è forse di più di quelle delle società libere. Ciò è vero sia per l'intero mondo comunista, sia per i paesi sotto l'influenza del comunismo, sia per i partiti di obbedienza comunista.

Una risposta alla g.r. è possibile se si adotta un'analoga e contraria impostazione strategica, cioè di non tralasciare di denunciare e di sfruttare le contraddizioni proprie del comunismo.

 

L'importanza dell'informazione nella g.r.

 

 Veniamo ora al nocciolo del nostro discorso, circa la condotta della g.r. nel campo dell'informazione. Questo campo può essere di viso, per comodità di studio, nel campo della stampa ed in quello della propaganda, ma in realtà esso costituisce un fatto unico ed, inscindibile.                .               .

La guerra convenzionale si prefigge l'occupazione del territorio e la distruzione delle forze 'nemiche. La guerra totale o nucleare mira a paralizzare l'avversario, neutralizzandone i centri vitali. La g.r. si propone scopi più vicini a quelli della guerra nucleare che non della guerra convenzionale. Infatti la g.r. punta egualmente a paralizzare l'avversario conquistando le popolazioni.

Perciò si può capire quale importanza abbia per la.g.r. il settore dell'informazione. Non soltanto è possibile, come ampiamente di mostra la pratica, utilizzare l'informazione per condurre un'azione di appoggio alla g.r. guerreggiata, ma si può persino ipotizzare una g.r. condotta prevalentemente nel campo dell'informazione, escludendo in parte o in tutto un qualsiasi atto formale di guerra.' In proposito è necessario aggiungere che la conquista delle popolazioni, anche se si presenta come « liberazione» (nel caso di g.r. guerreggiata) o come «convinzione delle, masse» (nel caso di g.r. condotta prevalentemente nel campo dell'informazione) è 'in effetti una violazione della libertà delle stesse popolazioni.

L'individuo conquistato dalla g.r. diventa un robot- in mano ai comunisti, una semplice arma; se ne renda conto o meno. Nel-la, realtà. la g.r. è capace di creare uomini-arma coscienti della loro azione, ma, anche - e qui sta la maggiore. sua insidia uomini-arma non co-scienti di esserlo.

Indubbiamente è in corso in Italia una g.r. nel campo dell'informazione. Ci limiteremo a citare alcuni casi, che servano da esempio.

L'aggressione al moderato. Un esponente politico, per esempio un socialista od un socialdemocratico o un appartenente ad un'area politicamente vicina, di fronte ad un determinato problema di attualità, assume una posizione nettamente anticomunista. Si ha dunque il caso di una persona influenzata dal marxismo, ma che per autonoma capacità di giudizio, assume su un problema di ordine contingente un atteggiamento favorevole alla causa dell'anti-comunismo. Sarebbe logico che tale atteggiamento venisse esaltato ed impiegato come arma efficace contro. i comunisti.                                                                    .

Invece si verifica molto spesso che la stampa comunista o non comunista, ironizzi sull'episodio in base al facile gioco del « noi l'avevamo detto prima» o del «ritorno a Canossa »,oppure si coglie l'occasione per criticare violentemente il personaggio in questione magari per fatti non connessi all'episodio..                                                                       .

II risultato è ovvio: il malcapitato viene a trovarsi in una, .difficile posizione psicologica ed in avvenire si comporterà diversamente.

Da che cosa nasce un errore del genere? Da un ordine preciso giunto dal campo avverso, da un suggerimento incosciamente accettato, da una reazione automatica dettata dall'abitudine a reagire in un solo modo a determinate sollecitazioni? Certo è che errori siffatti non vengono commessi dai comunisti. Ben difficilmente vedremo i Vietcong intavolare discussioni. sull'ateismo con i bonzi che sono caduti nella loro rete; ben difficilmente vedremo i comunisti italiani rinfacciare a Nasser di essere un dittatore e un nazionalista o vedremo gli emissari cinesi nel Congo tentare di riscattare dal paganesimo gli uomini di Mulele. E tanto meno ciò può avvenire proprio nel. momento in cui queste forze sono impegnate a fiancheggiare il comunismo. Forse in passato o i comunisti hanno fatto simili errori (la Spagna ne è un esempio), ma ormai o non li ripetono, perché inseguendo proprio i dettami della g.r., essi considerano gli uomini come « cose ».

Esaminiamo ora un altro fenomeno analogo che si potrebbe chiamare «il tiro sbagliato ». Quante volte abbiamo letto scritti anti-comunisti che ci hanno irritato, che ci hanno fatto sorridere per l'uso di parole grosse o roboanti o di argomentazioni sproporzionate all'argomento del contendere; quante volte abbiamo assistito a furiose campagne anti-comuniste risoltesi in bolle di sapone! Il numero di tali occasioni è senza dubbio paragonabile a quello delle volte in cui la reazione del campo anti-comunista ci è parsa debole e inadeguata alla necessità. Consentitemi un paragone bellico osservando che gli addetti a questi mortai sparano o troppo corto o troppo lungo; raggiungendo il medesimo risultato e cioè che il fronte dell'avversario resta indenne.

 

Il fenomeno della precinformazione

  

Scoppia, la crisi nel Vietnam e quasi per magia ci troviamo assediati da una serie di convinzioni e di interpretazioni che soltanto col passar del tempo si dimostreranno errate od inesatte. Per esempio: i Diem sono una famiglia di feroci dittatori cattolici, che perseguitano un popolo pacifico e buddista, essi hanno preso la mano agli americani col pretesto di una minaccia comunista del nord.

Altro esempio. Scoppia la crisi nel Congo: Ciombé è un tirannello asservito ai capitalisti belghi ed odiato dalla quasi totalità del popolo congolese, il quale è alla ricerca dell'indipendenza e della libertà; la presenza di agitatori cinesi è una favola. In seguito si scoprirà che Ciombé è l'unico uomo abbastanza popolare da ristabilire l'equilibrio nel Congo e capace di far passare dalla sua parte persino alti esponenti della ribellione filocomunista; capace di trattare da pari a pari con Bruxelles sì da ottenere una vantaggiosa modifica degli impegni finanziari che legavano l'antica colonia alla capitale belga. E si saprà anche che a Kar-tun e a Brazzaville esistono centrali cino-comuniste, che dirigono ed alimentano la guerriglia.

Ancora un esempio. Lo scandalo Beltramini: tutti veniamo a sapere che nel Venezuela vige un regime autoritario, che leoni è un feroce anti-comunista che semina il terrore nel suo paese, che inventa complotti a ripetizione per rinsaldare il suo bieco regime. Invece, si chiarirà che Leoni è un socialdemocratico e Che non esiste paese al mondo ove la libertà del cittadino sia..più rispettata;' fino all'assurdo, come stanno a testimoniare centinaia di fotografie e d'interviste. Ma il gioco si complica ancora. Qualcuno si lancia a testa bassa sperando di poter finalmente individuare una responsabilità diretta,del, ignorando che 1'« azione svincolata» è una. delle" caratteristiche "della g.r. Allora il caso Beltramini rischia di trasformarsi in una buffonata, nella solita trovata propagandistica che finisce in una bolla di sapone!

È evidente che in tutti questi casi qualche cosa non ha"funzionato oppure ha funzionato troppo bene. È questo il fenomeno della pre-informazione. Cioè esiste un mondo che opera a cavallo tra gli avvenimenti e la confezione necessariamente affrettata ed ansiosa della stampa che va nelle mani del pubblico. Tale mondo si manifesta in due momenti ben distinti tecnico e uno che possiamo chiamare culturale.

Il primo momento si può definire con precisione est concreta nelle agenzie di stampa e fotografiche, negli organismi d'informazione, ufficiali e ufficiose. Si tratta di organizzazioni che hanno una funzione precisa e spesso una caratterizzazione politica. Una loro eventuale strumentazione sia di carattere generale, .,sia di ,carattere particolare in riferimento a singoli episodi è quindi facilmente avvertibile e neutralizzabile.

Ma il discorso si fa ben più difficile quando si deve affrontare l'esame del momento che abbiamo chiamato culturale: pubblicazioni a carattere documentario, centri di studio, organizzazioni che promuovono nel momento opportuno dibattiti e conferenze, case editrici specializzate. L'Italia è continuamente teatro di simili iniziative, le quali - e questo è più grave _ sono quasi tutte a « senso unico »; fino al punto che congiuntamente riescono a creare «parole d'ordine» che finiscono per intossi-

care vasti strati dell'opinione pubblica e dalle quali la stampa ben difficilmente riesce a liberarsi.

Fatto sta che, nel quadro della pre-informazione, le opinioni nascono a cavallo degli avvenimenti e la forza dell'attualità le imprime a lettere di fuoco nella mente dell'uomo della strada. Provate a spiegare al lettore di tanta stampa «illuminata» che Diem, non era un mostro, che Ciombé non era un servo del colonialismo, che Leoni non è un feroce dittatore". tutte i cose che magari quegli stessi giornali hanno :poi pubblicato! In seguito ad un più pacato esame degli avvenimenti; e sarete accolti da; un sor-

riso di compatimento, Ebbene, non sono questi altrettanti« capisaldi» piantati ;"nella «terra di nessuno» dell'opinione pubblica italiana? E non sono questi stessi capisaldi le basi da cui si; parte per mobilitare gli animi contro le cosiddette aggressioni nel Vietnam nel Congo a Santo Domingo?

Insomma, è evidente che siamo di fronte ad un:aggressione. Le prove di essa sono ogni giorno sotto i nostri occhi, ma troppo spesso non le vogliamo vedere. Invece dobbiamo avere la profonda ed intima convinzione che siamo di fronte ad una aggressione. La quale si svolge seguendo il filo logico della teoria delle contraddizioni, seguendo le regole della strategia della g.r. Ci troviamo di fronte ad un avversario che ,al limite, è capace di strumentare la nostra antipatia per la suocera o il ,nostro risentimento per il superiore che ci ha rimproverato. Ci troviamo di fronte ad un avversario al quale preme « tenere i problemi per la coda» non a risolverli in un modo o nell'altro.  .

Soltanto da questa coscienza dell'aggressione può nascere la coscienza della difesa. 'Questa coscienza esiste diffusa tra di noi, sia pure in embrione. Ma essa si sveglia soltanto in presenza di manifestazioni schiettamente politiche, mentre deve esSere sviluppata ed affinata in tutte le direzioni. Dobbiamo porci in condizione di non cadere nel gioco dell'avversario ed aiutare gli altri a non cadere.

Dobbiamo insistere nel diffondere la coscienza dell'aggressione e con essa la coscienza di doverci difendere, fino a dar vita ad un mondo che abbia la! consistenza di quello strumento dai comunisti e che si è' sviluppato come un cancro nel nostro paese. Dob-biamo sbarrare la strada alle suggestioni, alle .deformazioni ed alle intolleranze e studiare i metodi attraverso i quali le suggestioni avversarie ci vengono portate ,sin sui nostri tavoli per raggiungere sovente le nostre menti.            .

Soprattutto dobbiamo trovare la risposta all'aggressione permanente. Esiste la possibilità di 'portare la lotta in campo avversario ed in particolare 'di suscitare sbandamenti negli ambienti stessi della stampa comunista o controllata dai comunisti. Questa nostra affermazione può forse apparire presuntuosa di fronte al mito della potenza e della perfezione della macchina propagandistica comunista.

Ma assumiamo per un momento, Il titolo strumentale, la mentalità marxista. Abbiamo detto che ogni società ed ogni organizzazione umana è necessariamente un campo di contraddizioni. A questa regola non può sfuggire neppure la macchina comunista. Di fatti, se noi guardiamo con attenzione, vediamo che in tutta la stampa direttamente o indirettamente controllata dai comunisti, esiste la categoria dei col1aboratori «fedelissimi »sacrificati nella loro carriera e nel loro trattamento economico ai «fiancheggiatori» o ai «mezzi comunisti », i quali debbono essere pagati a prezzo di mercato. È una contraddizione classica, da manuale. ,Ma quale forza anti-comunista si è mai preoccupata di sfruttarla?

Il disprezzo, per l'arte moderna figurativa ,fatta di sacchi stracciati o di tavolette bucate è uno dei sentimenti più ,diffusi nei ceti popolari italiani, i quali molte volte s'identificano con gli elettori comunisti. La stampa comunista però, per uno suo calcolato disegno, appoggia ogni forma di, avanguardismo artistico e si guarda ben dal sollecitare o affrontare questo disprezzo. È una contraddizione di gusto e di costume, la quale, se fosse sollecitata, creerebbe gravI. problemi nel mondo comunista. Ma chi ha mai messo il dito su questa piaga?

Il comunismo italiano si fa paladino tenace dello sfortunato popolo ebraico, ma è nel tempo stesso il patrono del nasserismo che prepara la strage degli ebrei. Perché ciò non diventa motivo di scandalo, di deplorazione, di denuncia?

Al1orché vi fu la polemica sul « Vicario» la macchina comunista si trovò di fronte ad una grave contraddizione. Da un lato  si tentava di aprire il dialogo con i cattolici che vedevano nell'episodio un intralcio alla loro operazione, essendo impensabile un dialogo cattolico nello stesso momento in cui si oltraggiava pubblicamente un Pontefice; dall'altro lato vi era l'anti-clericalismo, cui non pareva vero gettare fango a pieni mani sulla Chiesa. chi si è mai accorto di questa contraddizione? Eppure esistono in Italia organizzazioni che avrebbero il dovere di strumentare tale contrasto.

Tutti sanno che nell'ambito del P.C.I. esiste una sorda ma violenta polemica tra chi è stato fascista e chi non lo è stato. Una contraddizione che fa acqua da tutte le parti e di cui nessuno ha dimostrato di accorgersene

Vi siete mai chiesti che cosa realmente pensi il comunista di base dei suoi dirigenti e credete voi che non esistano malcontenti, risentimenti, accuse specifiche su cui si potrebbe far leva? 

Sono queste osservazioni superficiali, annotazioni affrettate ma che ci dimostrano l'esistenza di un vasto campo d'azione e che soprattutto ci fanno comprendere che la macchina comunista non è quel mito che si crede, ma che è invece un mito di cui si serve il comunismo stesso.

Naturalmente non dobbiamo attenderci risultati miracolosi ai primi colpi da noi assestati. Tanto meno dobbiamo attenderei secessioni o passaggi da un fronte al1'altro. Ma il disagio, i dubbi, le incertezze che riusciamo a creare, rappresentano già un notevole successo; perché dobbiamo anche tener conto che ci troviamo di fronte ad un ambiente, come quello comunista, il qua-le è all'offensiva da venti anni e da venti anni non viene fatto segno ad «aggressioni ».

Una serie d'iniziative che raggiungano all'improvviso chi non è più abituato a stare sulla difensiva, ma soltanto a cogliere indisturbato vittorie facili e gratuite, possono creare uno chock psicologico molto grave. Certamente ben più grave di quello che subisce chi invece si difende da anni e tuttavia non si è ancora arreso.

 

L'arma della cultura nella guerra rivoluzionaria

Comunicazione di FAUSTO GIANFRANCESCHI

 

Si è insistito molto in questo convegno, e giustamente, sulla guerra rivoluzionaria come guerra totale, soprattutto psicologica, perché mira preventivamente alla cattura e al condizionamento delle coscienze. L'arma principale di questo tipo di azione è ovviamente la cultura che riesce a insinuare nelle menti degli uomini, con l'alibi di una validità estetica sfuggente a ogni giudizio morale, le idee più utili a chi sa tenere in mano con lucidità tutti i fili del giuoco.

La cultura precede anche la semplice politica comiziesca e parlamentare. La propaganda è il battistrada della politica: tutto sta a sublimare la propaganda in una decente dimensione culturale, per renderla certamente più efficace, meno scoperta e più penetrante.

Facili sono gli esempi sulla priorità dell'azione culturale nei tempi dello sviluppo politico. Basta osservare che in Italia il P.C.I. non è ancora al Governo, mentre in campo culturale già esistono e operano intese fra certi gruppi cattolici e i comunisti (vedi il volume Dialogo alla prova edito da ValIecchi).                                         .

Un altro esempio, forse più sconcertante, ci viene dagli Stati Uniti, dove il marxismo smentisce addirittura se stesso ma non per questo è meno pericoloso. Come forza proletaria e popolare il comunismo nell'America del Nord non esiste,ma come massa d'urto intellettuale, fra gli intellettuali, è potentissimo. Naturalmente si basa su correnti e pretesti locali di insofferenza a un sistema di vita troppo anonimo e teso quasi esclusivamente al traguardo della produttività, con inevitabili mortificazioni per le esigenze spirituali dell'individuo. Per attrarre a sé queste riserve, il comunismo si maschera addirittura con la veste del liberalismo. Liberale e comunista è oggi negli Stati Uniti quasi un sinonimo. L'incredibile operazione di trasformismo è facilitata dal complesso dell'antifascismo: quando un grande scrittore come Dos Passos non è disposto a confondere la sua protesta  ideale con le tesi di politica interna e di politica estera gradite ai comunisti, diventa un fascista.

Per molti anni l'intellettualismo Iiberal-radicale, di segreta ispirazione marxista, ha influenzato tutta la politica americana, con ripercussioni di enorme rilievo.

 

Come nella guerra guerriglia vera e propria l'azione in campo culturale è varia e articolata. I suoi diversi elementi sono casi sintetizzabili:

a) eccellente impostazione strategica;

b) esca del minimo comune denominatore;

c) terrorismo psicologico;

d) spregiudicatezza ideologica.

 

Impostazione strategica. - Approfittando del disinteresse e della insensibilità altrui, è stata organizzata la conquista semiclandestina, perfettamente mimetizzata, dei centri di potere nelle Università, nella editoria, nella critica ufficiale, nella televisione, nel cinema, nel teatro. I comunisti hanno il merito e il vantaggio di aver capito che le battaglie si combattono e si vincono nelle anime degli uomini.

 

Minimo comune denominatore. - Si è riunita recentemente a Praga la Società Europea di Cultura, che ha deciso di costituire una società mondiale di cultura destinata a « creare un'atmosfera di fiducia reciproca che possa serVire alla causa della pace, lottando per la messa al bando della guerra ». Con uno scopo cosi nobile molti saranno gli aderenti, a cominciare, per l'Italia, dallo scrittore cattolico

Carlo Arturo Jemolo che era presente a Praga e che al momento opportuno sarà costretto a firmare qualche manifesto con-

tro la presenza degli americani nel Vietnam, forse senza rendersi conto che lo slogan della messa al bando della guerra (quella classica) serve soltanto a favorire l'incontrastato sviluppo della guerra rivoluzionaria.

 

Il terrorismo"non è soltanto quello che si esercita con gli attentati e con le bombe; ne esiste un altro analogo, con leggi e principi analoghi, rivolto non alla carne ma alla coscienza. Questo terrorismo psicologico -si serve di tre leve fondamentali:       ,

 a) il dogma che la cultura di sinistra è la più forte, e la più moderna, avendo dalla sua parte il futuro e il, senso della storia; come un dogma, è indimostrabile, ma si avvale di ridondanti ripetizioni;  

             b) la minaccia di un completo isolamento intellettuale, simile, sul piano culturale, alla morte civile, se non, ci si allinea.

             c) i ricatti materiali attraverso i centri di potere.

 Spregiudicatezza ideologica. - Nessuna rigidità nelle tesi culturali, al contrario la massima elasticità per non rimanere scoperti o arretrati, per porre tempestivamente un'ipoteca politica su ogni nuova forma d'espressione. Fino a qualche tempo fai! «realismo socialista », o semplicemente il realismo" rappresentava estetica dei madisti italiani; ora è stato completamente abbandonato perché si sono poste spontaneamente certe esigenze d'avanguardia, e gli intellettuali comunisti hanno messo subito gli occhi sul nuovo movimento è vi si sono inseriti, anche se esso è sostanzialmente estraneo alla loro tematica tradizionale.   '

, Addirittura l'attuale boom dei fumetti, che ha provocato la pubblicazione di una rivista apparentemente molto seria ma dedicata s6lo alle storielle a strisce, viene politicizzato dai comunisti che sono pronti a distinguere tra fumetti progressisti e fumetti reazionari, i primi culturalmente validi, da leggere per imparare, e gli altri scadenti!'

Inoltre la cultura marxista si è sempre adattata alle alleanze con tutti i peggiori rappresentanti del decadentismo borghese, cori. Gli anarchici e i ribelli, i cui prodotti artistici sarebbero inconcepibili nell'URSS o in Cina, mentre in Occidente servono egregiamente alla strategia rivoluzionaria per la loro carica eversiva.

 Questa estrema adattabilità tradisce indubbiamente la tara dello strumentalismo che è la negazione della vera cultura; ma il procedimento è ugualmente pericoloso perché ai comunisti importa poco della bellezza, della verità e della coerenza: sono interessati soltanto Ai grandi mezzi di suggestione psicologica.

Certo, la strumentalizzazione della cultura ripugna a chi conserva un senso tradizionale dei limiti e dei livelli, ma anche questa ripugnanza può trasformarsi in uh ulteriore vantaggio per chi la provoca. Cito il caso di un noto scrittore, romanziere e saggista, di cui per discrezione taccio il nome, che, da qualche tempo ha abbandonato coraggiosamente il campo del conformismo direttamente o indirettamente manovrato dai, marxisti, ma ha preferito ritirarsi in una ,;specie

di torre d'avorio , piuttosto che .ingaggiare battaglia. Quando fu pubblicato il suo libro più recente, di critica filosofico/lettera-

ria, io scrissi un articolo sottolineando l'implicito significato ideologico e polemico, contro tutto il monda di sinistra, di quella sua opera, ma egli se ne dolse rimproverandomi di aver caricato le tinte, di essermi messo allo stesso livello dei nostri avversari puntando anch'io a fare una politica della cultura che deve rimanere invece una caratteristica deteriore degli altri.

 

Quali le contro misure da adottare? In un'immediata fase difensiva bisogna innanzi tutto coltivare e approfondire la consapevolezza del carattere calcolato e aggressivo della politica culturale dei comunisti in . Italia. E occorre precisare subito che ci troviamo a una svolta importante. Dopo il periodo di disorientamento post-stalinista, il PCI ha deciso adesso - con la caduta di Kruscev, con il riavvicinamento tra Mosca e Pekino, con l'inasprimento dei contatti in molte parti del mondo - di riprendere più energicamente in mano le file dell'azione culturale. Su, uno degli ultimi numeri di Rinascita è stato riproposto il tema dell'« ilnpegno » degli intellettuali, con un ortodosso e rigido intervento del pittore Renato Guttuso, mentre tornano d'attualità la  raccolta ,delle firme e le marce della pace.

" La consapevolezza di tutte le sfumature della guerra rivoluzionaria in campo culturale deve essere propagandata a fondo, fino a conséguire concreti risultati.

 Ottenere che l'opinione pubblica, almeno nelle sue componenti qualificate, riconosca subito, automaticamente, la frode politica sotto ogni presa di posizione culturale indotta da vicino o da lontano dai comunisti, senza rimanerne suggestionata e annullando così praticamente l'effetto dell'operazione stessa.                                                                       '

Essere più facilmente e puntualmente in grado di smascherare tt1tte le ipocrisie denunciando con clamore i casi di contraddittoria insensibilità, come per la recente condanna dello scrittore jugoslavo che aveva commesso soltanto un «delitto

di memoria» ricordando i campi di sterminio inventati da Stalin prima di Rider, condanna che non è stata riprovata da alcun intellettuale di sinistra.

Promuovere infine una logica reazione destinata a portare alla eliminazione dai centri di potere, sotto il peso della vergogna, di ciascuna pedina di quel giuoco che tutti dovranno ormai essere capaci di scoprire e respingere.

Ci si mette così contro la libertà della cultura? Il fatto è che in nome di questa libertà sono state commesse fin troppe frodi, per cui sono gli avversari stessi ad insegnarci implicitamente come tenerne conto.

Tutti sanno cosa accadde nel 1960 allo scrittore rumeno Vintila Horia, rifugiato in Francia: quando vinse il Premio Goncourt con il romanzo Dio è nato in esilio (una protesta contro tutte le dittature e le oppressioni), i comunisti ottennero che il premio

gli venisse ritirato rivelando che a vent'anni, in piena guerra del suo Paese contro la Russia accanto all' Asse, egli aveva scritto degli articoli filotedeschi. C'è ,una parte della storia, però, che è poco nota: prima che si giungesse alle «rivelazioni », l'Ambasciata rumena (comunista) fece sapere a Horia che nessuno avrebbe messo in discussione il premio assegnatogli ricordando i suoi trascorsi, se egli si fosse dichiarato disposto a un gesto di lealismo verso il nuovo regime rumeno e quindi a tornare in patria. Uno scrittore diventato famoso era dunque graditissimo ai comunisti, anche se in precedenza aveva militato in un'altra parte (anche il partito comunista italiano si vale delle intelligenze di molti ex fascisti), purché si piegasse a diventare uno

strumento politico. Horia respinse il ricatto, e diventò automaticamente un fascista. La cosa è ancora più grave se si considera che in seguito allo scandalo artificiosamente montato dai comunisti la firma di Boria fu eliminata anche da un noto settimanale letterario italiano, non comunista né marxista.

 Si deve essere pronti a ripagare i comunisti di ugual moneta, opponendo appena possibile e agendo finché sia possibile il terrorismo psicologico al terrorismo psicologico, per i casi la cui gravità non può non risultare evidente. Tra mille esempi, un docente universitario come Natalino Sapegno e uno scrittore pieno di sussiego come Guido Piovene hanno pubblicamente aderito a una proposta di Sartre per un incontro di tutti gli uomini di cultura che dovrebbero studiare i problemi della pace nel Viet-Nam; fin qui la blanda enunciazione, ma a cosa servirebbe in realtà un tale incontro lo ha spiegato Sartre stesso in un messaggio ai giovani comunisti e socialisti italiani: obbligare i governi europei, con una pressione costante, a togliere pubblicamente la loro solidarietà alla politica americana di intervento. La ,pace, insomma, è sinonimo per questi signori di cedimento alle aggressioni comuniste, nel Vietnam e ovunque. Qui non è più questione di cultura, ma della politica più grossolana e sovversiva: essi vogliono distruggere questa società e quindi da questa società vanno messi al bando.

 "Non ci si può nascondere che la strada da intraprendere è difficile perché si parte con uno svantaggio di anni, mentre la cosiddetta cultura marxista si è assicurata un'infinità di munitissime basi e di omertà altrettanto utili; ma non si può continuare a tacere che molte di queste basi, di questi centri di potere, prosperano con il sostégno e con le sovvenzioni dello Stato (basta accennare che alla TV lavorano molti intellettuali del PCI). Già traendo le pratiche conseguenze da una constatazione cosi elementare si otterrebbero buoni risultati. Nessuno può essere coerentemente incaricato di difendere esternamente la  nazione dal nemico, se il nemico ha le sue fonti di rifornimento all'interno dello Stato.

Vanno infine perseguite altre due direttrici d'azione, più sottili e specializzate, che qui sfiorerò soltanto perché richiedereb-bero un più ampio studio.       

Dimostrare, oltre al loro strumentalismo politico-sovversivo, la inconsistenza propriamente culturale di tante posizioni e di tante teorie (che del resto muoiono da sole, come per esempio il neorealismo), contrapponendo alla cultura di facciata (quella che si serve dell'attivismo organizzato dei critici e dei mezzi di informazione) la cultura vera, quella che non ha bisogno di uno sfrenato propagandismo per esistere e maturare nel silenzio.

Incoraggiare validamente, nel con tempo, tutte quelle iniziative culturali che si riallacciano a espressioni spirituali incontaminate e incontaminabili dal marxismo, iniziative che purtroppo fino ad oggi non hanno trovato un adeguato spazio vita-le e spesso sono state  stroncate sul nascere da una specie di complesso di inferiorità, che scaturiva proprio dalla generale indif-ferenza e dalla mancanza di efficienti strutture organizzative.

Se questi problemi non verranno affrontati e risolti in tutta la loro urgenza, la cultura marxista riuscirà prima o poi a realizzare in Italia, forse nell'unica Nazione del mondo, la suprema arte della guerra che consiste nel soggiogare il nemico senza combattere.

 

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