COMUNICAZIONE LETTA DAL PRESIDENTE PAOLO BOLOGNESI A NOME DELL'ASSOCIAZIONE TRA I FAMILIARI DELLE VITTIME DELLA STRAGE ALLA STAZIONE DI BOLOGNA DEL 2 AGOSTO 1980
Sabato 2 agosto 1980, alle ore 10.25, un ordigno, collocato nella sala d'aspetto di seconda classe, provocava il crollo di un'ala intera della stazione centrale di Bologna. La prima ambulanza era qui, dove ci troviamo adesso, neppure 2 minuti dopo. Ed è stato, da allora, un accorrere incessante di soccorsi, di medici, infermieri, carabinieri, vigili del fuoco, in un frastuono di sirene, in un vortice di gente impazzita che usciva terrorizzata dall'edificio colpito a morte o che cercava di entrarvi alla ricerca di un figlio, di una madre, di un parente, di un amico. Tanti giovani, che attendevano il treno per andare al mare, urlavano il nome dei compagni di viaggio che non trovavano più. Dalle macerie si estraevano gli zaini e i poveri resti dei loro amici, che avevano concluso a Bologna, in una calda mattinata di agosto, la loro breve esistenza. Dal cumulo di calcinacci e detriti continuavano ad emergere, sotto il febbrile lavoro dei soccorritori, corpi straziati di donne, ragazzi, bambini, anziani che stavano partendo per le vacanze o attendevano una coincidenza. L'incubo di un atto terroristico, nell'anniversario della strage del treno Italicus, perpetrata il 4 agosto 1974, all'indomani del deposito della sentenza istruttoria, si era materializzato nel peggiore dei modi.
I morti risultarono 85, i feriti200. Nel progetto degli attentatori, anche quella, sarebbe dovuta rimanere l'ennesima strage impunita. Le stragi che avevano preceduto quella di Bologna avevano insegnato come fosse facile per terroristi, spioni, servizi di sicurezza, personaggi con responsabilità accertate, ottenere l'impunità giudiziaria. Per impedire agli inquirenti di arrivare alla verità, si cominciò a depistare fin dal minuto successivo allo scoppio della bomba e i depistaggi sono continuati nel corso delle indagini e dei processi. Si depistava affannosamente per difendere gli imputati, in modo da complicare le indagini, far dimenticare e rendere più facile l'impunità degli autori e dei mandanti. Si depistava perchè i giudici avevano imboccato la strada giusta, si depistava per timore che coloro che erano stati incarcerati, raccontassero la verità. Ancora oggi si depista, e il modo per depistare è molto spesso il silenzio, il non raccontare quello che è emerso da anni di indagini accurate e di processi, il tacere le responsabilità che sono state acclarate nelle sentenze passate in giudicato. E' per questo che noi, qui, oggi vogliamo gridare a gran voce i nomi di chi si è macchiato di una simile atrocità. Sono i nomi dei terroristi neofascisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, che collocarono materialmente l'ordigno in stazione. Sono i nomi del capo della Loggia Massonica P2 Licio Gelli, del faccendiere Francesco Pazienza, del generale Musumeci e del colonnello Belmonte, entrambi posti ai vertici del SISMI e iscritti alla Loggia Massonica P2, che si adoperarono in ogni modo per inquinare i processi e sviare le indagini dalla pista neofascista italiana. Tutti costoro, pur se condannati, non hanno mai completamente pagato per le atrocità commesse e sono da anni in libertà. La nostra Associazione, in particolare, denuncia da anni lo scandalo del trattamento privilegiato concesso agli esecutori materiali di quel vile attentato, i quali hanno sempre taciuto sui mandanti e per questo sono stati premiati. Luigi Ciavardini, condannato a trent'anni per l'eccidio alla stazione, non è rimasto in carcere neppure due anni. Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, condannati complessivamente a 15 ergastoli e a più di duecento anni di carcere, hanno scontato soltanto due mesi di detenzione per ogni morte causata. Costoro sono inoltre stati premiati anche con il silenzio dei mass media su tutti i feroci reati commessi e, ben pochi, sono i giornalisti coraggiosi che vanno contro corrente e ricordano ai cittadini il loro lunghissimo e sconvolgente curriculum criminale. Uno di loro è il bravo giornalista Mario Adinolfi, che quest'anno, con un articolo sul quotidiano Europa, ha ricordato Alessandro Caravillani, un giovane passante di 17 anni che è stato ucciso da Francesca Mambro durante una rapina. Vogliamo esprimere a Mario Adinolfi, che qualche settimana dopo ha subito un'inquietante e violenta aggressione fisica, tutta la nostra solidarietà. In questo incredibile Paese, Valerio Fioravanti ha avuto la strafottenza di accusare Adinolfi di viltà, proprio per aver ricordato quel turpe omicidio commesso da Francesca Mambro. In un paese normale, chi ha ucciso quasi 100 persone non dovrebbe mai permettersi di dare del vile a chicchessia, tanto meno ad un giornalista onesto e documentato. L'arroganza di Fioravanti si spiega soltanto con il fatto che lui e i suoi sodali si sentono, ancora oggi, protetti e spalleggiati, coccolati da un clima a loro favorevole anche a livello istituzionale. Del resto, questo clima, che alle persone oneste appare sconfortante, è purtroppo sotto gli occhi di tutti. Le cronache degli ultimi mesi si sono occupate della squallida vicenda della parentopoli romana, che ha coinvolto il sindaco Alemanno, dopo che nelle aziende municipalizzate della capitale si sono scoperte numerose assunzioni senza concorso e a chiamata diretta a favore di amici ed ex camerati del primo cittadino di Roma. Uno di questi estremisti raccomandati, si è anche distinto per aver pubblicato su un social network inaccettabili frasi antisemite. Oltre alla pattuglia di estremisti neofascisti raccomandati, piazzati da Alemanno nelle municipalizzate cittadine, colpisce il fatto che lo stesso sindaco, nella ricorrenza del trentesimo anniversario della scomparsa del giudice Mario Amato, non abbia sentito l'esigenza di commemorarlo, e sia stato invece un gruppo di cittadini a realizzare a proprie spese, un monumento nel luogo in cui egli perse la vita. L'anno seguente poi il sindaco Alemanno per oscurare l'opera di questi onesti cittadini, ha risposto insieme al ministro della gioventù Giorgia Meloni, dedicando luoghi abituali di ritrovo dell'estrema destra a militanti della stessa area. Il tutto alla presenza di un picchetto d'onore di militanti di destra che hanno esibito il saluto romano e bandiere con croci celtiche, come apparso sui quotidiani nazionali. Questi preoccupanti episodi fanno tornare alla mente quella sorta di solidarietà criminale istituzionale che si scatenò nel 1994, immediatamente dopo che gli esecutori materiali della strage di Bologna rilasciarono un'intervista al giornalista Gianantonio Stella sul Corriere della Sera, intitolata "Loro al Governo, noi all'ergastolo". In quell'intervista gli esecutori materiali della strage alla stazione sembravano ricordare, ai loro camerati di un tempo, la comune appartenenza, evidentemente mai del tutto recisa, ad un album di famiglia eversivo e violento, in una logica ricattatoria che probabilmente ha sortito gli effetti sperati; a partire da quell'intervista si sono intensificati i tentativi di offuscare le scottanti verità giudiziarie definitivamente acquisite e le porte del carcere per i due pluriomicidi e stragisti si sono aperte definitivamente. E mentre i camerati che hanno mantenuto il patto di omertà vengono beneficiati da incredibili sconti di pena e favoritismi di ogni tipo, chi invece ha cercato di riscattarsi e ha collaborato con la giustizia viene barbaramente ucciso: l'ottobre scorso Sergio Calore, figura di spicco del terrorismo nero ed ex collaboratore di giustizia, che aveva reso dichiarazioni molto importanti sull'eversione di estrema destra e anche nel processo per la strage del 2 agosto, è stato barbaramente trucidato a colpi di piccone. I suoi assassini rimangono ancora ignoti, ma a nostro parere anche questo omicidio è un lugubre segnale su cui sarebbe bene indagare. Nel frattempo, dalle cronache dei quotidiani, è prima stata relegata alle pagine interne, poi del tutto scomparsa, l'inquietante figura di Gennaro Mokbel, estremista di destra accusato del maxiriciclaggio Fastweb e pare legato a doppio filo alla Banda della Magliana, ai servizi segreti e al neofascismo romano. All'indomani dell'arresto di Mokbel, Valerio Fioravanti, temendo di ritrovarsi nei guai dopo le decine di telefonate intercettate, l'ha subito bollato come "mascalzoncello di quartiere". Ma può un "mascalzoncello di quartiere" organizzare il riciclaggio del secolo? Può determinare l'elezione di un senatore? Può esprimere un padrinaggio su un altissimo dirigente nominato da Alemanno (Stefano Andrini, anche lui terrorista nero, condannato per duplice omicidio negli anni 90)? Può finanziare la latitanza del più pericoloso boss ancora in vita della banda della Magliana anche lui ex terrorista dei NAR? Può avere milioni di euro nascosti in diamanti e opere d'arte? No, Mokbel non è un mascalzoncello di quartiere. E questa non è una storia da pagine interne. Questa è la storia del Paese, quella che aveva già intuito, trentuno anni fa, il giudice Mario Amato, lasciato solo ad indagare sui legami tra estremismo neofascista e potere politico, economico e finanziario. Per le sue indagini e per il suo coraggio, Mario Amato ha pagato con la vita. Come lui, sono caduti per proteggere la democrazia e per fare il loro lavoro, molti magistrati e su questo vorremmo aprire una piccola riflessione: nel corso di quest'anno sono giunti ai magistrati pesantissimi attacchi.
La magistratura è stata definita un covo di malati di mente, di eversori, equiparata a terroristi delle brigate rosse e addirittura un cancro da estirpare. Riteniamo che queste siano frasi molto gravi. Ciò che più ci ha ferito è che alcuni di questi duri attacchi sono arrivati da elevatissimi livelli istituzionali, e anche da chi è stato iscritto alla Loggia Massonica P2 come il Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi.
Non intendiamo entrare in alcun tipo di polemica, ma su una cosa non possiamo tacere: siamo profondamente convinti che non vi sia nessun pulpito dal quale una persona che è stata iscritta alla Loggia Massonica P2, per quello che la Loggia Massonica P2 ha rappresentato e ancora rappresenta nella storia del nostro Paese, possa ergersi a giudicare uomini, istituzioni, associazioni che sono stati il perno della democrazia e delle istituzioni nel nostro paese. Vogliamo ricordare che, esponenti di quella Loggia sono stati condannati per depistaggio e per il finanziamento di bande terroristiche.
Il 17 marzo di quest'anno si sono festeggiati i 150 anni dell'Unità d'Italia, ma ricorreva anche un altro anniversario: i trent'anni dalla scoperta, da parte dei giudici Turone e Colombo, degli elenchi della lista degli appartenenti alla Loggia Massonica P2 nella villa di Licio Gelli ad Arezzo.
La Loggia Massonica P2 apparve da subito come un oscuro groviglio di interessi, dietro il quale affioravano business e tangenti, legami con mafia e stragismo, omicidi eccellenti e soprattutto un progetto politico antisistema, una centrale volta al controllo del sistema democratico. Fa impressione, oggi, leggere la profezia di una grande donna delle istituzioni, Tina Anselmi, che fu chiamata a guidare la commissione di inchiesta sulla Loggia Massonica P2. Il 25 novembre del 1982 , scriveva : "Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano per creare la P3, le P4 e così via". Sembra che fra le righe dell'indagine di 29 anni fa, sulla P2 avesse visto in filigrana i complotti di oggi.
Gli attacchi giunti in questi mesi alla magistratura, suonano dunque ancora più sinistri, se si pensa che uno dei principali obiettivi della Loggia Massonica P2 era quello di umiliare la magistratura, toglierle indipendenza, eludere il rischio che anche i potenti debbano rispondere alla giustizia. Tutto ciò per tornare ad un modello vecchio e retrogrado di società, in cui gli status e i diritti non dipendano da leggi uguali per tutti, ma da rapporti di potere: considerare le persone sudditi e non cittadini.
Oggi più che mai Parlamento e Istituzioni dovrebbero vigilare sul rispetto della legalità e dei diritti, anche dei diritti delle vittime e dei cittadini onesti. Invece il vento sembra soffiare proprio nella direzione opposta, per mesi il Parlamento è stato impegnato a discutere leggi per aggirare la giustizia.
L'atteggiamento del Governo sul tema del segreto di Stato è stato volutamente inconcludente: la legge del 2007 ad oggi è inattuata per la mancanza dei decreti attuativi. Sembra quasi che, fatta la legge, il segreto di Stato non debba avere una scadenza, ma debba essere eterno.
Il 9 maggio di quest'anno,il Presidente del Consiglio On. Silvio Berlusconi,per attirare l'attenzione su di sè dichiarava tra l'altro: "è per questo diciamo basta all'umiliazione delle vittime e dei loro parenti. Per questo dichiaro oggi l'impegno del Governo a contribuire ad aprire tutti gli armadi della vergogna,perchè nessuna strage rimanga più avvolta nel mistero. Dobbiamo colmare una grande sete di giustizia e verità,in modo concreto senza retorica!!"
Ad oggi non una sola pagina della ricchissima documentazione esistente è giunta alla Procura di Bologna, anche qui si è dimostrata una leggerezza e un disprezzo enorme verso i familiari e tutti i cittadini italiani.
La cittadinanza concessa dal Brasile a Cesare Battisti, terrorista pluriomicida, è una gravissima offesa a tutte le vittime del terrorismo; questo è il frutto anche del maldestro comportamento dell'esecutivo nella richiesta di estradizione del terrorista che ha rivelato i ritardi, l'inadeguatezza e la mancanza di volontà di rappresentare con forza le istanze degli italiani.
Nei confronti dei parenti delle vittime, non solo della strage di Bologna, il Governo ha avuto un comportamento inqualificabile: quest'anno come l'anno scorso, non ha inviato alcun rappresentante istituzionale a Bologna. Lo stesso si è verificato a gennaio, nella ricorrenza dell'eccidio dei tre carabinieri al Pilastro per mano della banda della Uno Bianca. La strategia sembra quella del silenzio, la volontà quella di far dimenticare. A ciò si aggiungono le inimmaginabili difficoltà burocratiche che sono state poste per l'applicazione della legge 206 " Nuove norme a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi", come se si volessero affogare i parenti delle vittime in un mare di carte e di cavilli, per fare in modo che non si occupino più della ricerca di giustizia e verità. Umiliare le Vittime cercando di farle passare per questuanti, perchè si battono legittimamente affinchè una legge dello Stato, approvata all'unanimità dal Parlamento nel 2004, sia correttamente applicata in ogni sua parte.
Le promesse e le assicurazioni, avute subito dopo l'insediamento di questo Governo dall'On. Silvio Berlusconi e dal Sottosegretario Letta, si sono dimostrate parole al vento, fatte da ricercatori di facile consenso. Nessun atto concreto è stato compiuto, ma anche su questo continueremo la nostra battaglia per fare applicare integralmente la legge.
Vorrebbero dimenticare, e che anche noi dimenticassimo.
Ma noi non dimentichiamo: non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo dimenticare.
Non possiamo dimenticare lo scempio della vita dei nostri cari. Non possiamo dimenticare questo piazzale della stazione trasformato in uno scenario di guerra.
Non possiamo dimenticare la solidarietà ricevuta, oggi come in quei terribili giorni, la dolcezza e l'umanità degli infermieri che ci accompagnavano a riconoscere quel che rimaneva dei nostri cari, il personale tutto degli ospedali che rientravano precipitosamente dalle ferie per soccorrere i feriti, i cittadini comuni che scavavano tra le macerie con le mani Non possiamo dimenticare l'affetto di tutta la città di Bologna, insignita in quell'occasione della medaglia d'oro al valor civile dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini per la democratica fermezza e il civile coraggio dimostrati.
Quella democratica fermezza e quel civile coraggio ci hanno guidato in tutti questi anni, nella consapevolezza che fosse nostro dovere nei confronti non solo dei nostri morti, ma di tutti gli italiani, alzare la voce e continuare a chiedere giustizia e verità.
Nel manifesto di quest'anno abbiamo scritto:
Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980
c/o Comune di Bologna - P.zza Maggiore, 6 - 40124 Bologna (IT) - Tel. +39 (051) 253925 - Fax. +39 (051) 253725 - Cell. +39 (338) 2058295
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