PARTE PRIMA
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Il mondo è oggi teatro d'una lotta
spietata tra l'Occidente e il mondo comunista. Questa lotta rappresenta il
fenomeno politico essenziale del XX secolo. Tutte le nazioni vi partecipano
perché con il comunismo non esiste alcuna possibilità di negoziati o di
neutralità: o si è con lui o contro di lui...
Per conseguire i loro scopi Mosca e
Pekino dispongono a lato di quell' arma classica che è costituita dalla
guerra convenzionale, di due armi nuove: la guerra atomica e la guerra
rivoluzionaria.
La guerra atomica è nata dal
progresso scientifico. Essa possiede tuttavia la stessa natura fondamentale
della guerra convenzionale: si tratta infatti di una guerra di distruzione
materiale, di cui l'inizio e la fine ricevono una consacrazione ufficiale.
L'unica differenza risiede nella vastità delle distruzioni ottenute. Queste
distruzioni in effetti si trovano per la prima volta nella storia al livello
planetario. È questa vastità stessa che rende la guerra atomica sempre meno
probabile (visto e considerato che sempre più appare diffondersi il generale
convincimento che essa equivarrebbe ad un suicidio collettivo), Lo stesso
può dirsi ormai a proposito della guerra convenzionale, posto che il
passaggio dall'una all'altra di queste forme di guerra sarebbe presso a poco
inevitabile nel caso d'un conflitto armato fra grandi potenze.
Di tutt'altra natura è la
guerra rivoluzionaria.
Quest'ultima forma di guerra è il
prodotto più raffinato della dottrina marx-leninista. Essa consiste in una
disgregazione generalizzata della società provocata grazie ad una tecnica
incomparabilmente perfezionata di sovversione appoggiata dal terrore.
La guerra rivoluzionaria utilizza
tecniche a lungo sperimentate e collaudate dalle organizzazioni clandestine,
d'agitazione e di propaganda: la guerra rivoluzionaria non rispetta alcuna
legge.
Questa guerra, per definizione è
totale. Essa viene perciò condotta ormai su tutti i fronti: sul fronte
politico, sul fronte militare, sul fronte economico, sul fronte sociale e
anche sul fronte dell' arte e della cultura. È una guerra che si combatte
nelle officine ma anche all'Università.
Per quanto ciò possa apparire
straordinario l'esistenza di questa guerra rivoluzionaria alla quale
l'Occidente è sottoposto senza interruzione, è alle volte messo in dubbio.
Eppure contrariamente a quanto può apparire, la guerra rivoluzionaria
costituisce per l'Occidente una terribile minaccia. Se infatti la guerra
atomica colpisce le persone fisiche ed i beni materiali, la guerra
rivoluzionaria ha come bersaglio le anime stesse degli uomini, la struttura
stessa della società.
.. Inoltre, mentre la guerra
atomica e la guerra convenzionale non possono essere condotte che
apertamente ed ognuno può prevederne le conseguenze, la guerra
rivoluzionaria matura nella clandestinità e si sviluppa nel modo più
insidioso; soltanto gli specialisti riescono a riconoscerne il vero volto.
Ma c'è di più. Lo spettro delta
guerra atomica abilmente evocato dal mondo comunista cristallizza
l'angoscia dell'Occidente, 'costringe quest'ultimo a lanciarsi in una corsa
agli armamenti le cui ripercussioni economiche e sociali sono molto gravi e
soprattutto distrae l'attenzione dell'Occidente dall'autentico' pericolo
che lo minaccia. L'utilizzazione di ciò che potremmo definire «l'arma
rivoluzionaria» presenta quindi per Mosca e per Pekino dei vantaggi
enormi.
I comunisti sono inflitti i soli
che sanno e possono servirsi di questa arma ed i loro avversari non sanno
come difendersi. Possono anzi, i comunisti, per un supremo inganno, ed
invocando questi stessi principi che sono cari ai loro avversari, condannare
-!'impiego di altre armi. Diventa allora per i comunisti un gioco da
bambini, trovandosi di fronte ad avversari. presso. a poco disarmati, di
attuare i loro piani.
Questa strategia della guerra
rivoluzionaria comunista è squisitamente offensiva. Mosca ha stabilito una
volta per sempre, in modo irrevocabile, il suo obiettivo strategico: la
conquista del .mondo. E per raggiungere questo obiettivo Mosca dispone, in
seno stesso ai paesi stranieri come alleati, dei partiti comunisti, questi
veri e propri cavalli di Troia dell'era moderna. Al contrario la tattica dei
comunisti è di una estrema flessibilità. È una tattica che sa piegarsi e
adattarsi a tutte le condizioni del momento.
Abbiamo voluto come introduzione a
questo nostro discorso che, diciamolo subito, per forza di cose non potrà
purtroppo essere breve, premettere un lungo estratto che ci siamo sforzati
di tradurre interpretandone più lo spirito che la lettera e che ci siamo
permessi in alcuni punti di aggiornare di un rarissimo opuscolo, pubblicato
qualche anno fa clandestinamente, nel pieno della guerra d'Algeria.
Questo opuscolo è estremamente
importante perché, a chiare lettere, reca il nome del suo estensore, il
colonnello Antoine Argoud, una delle più serie, competenti e brillanti
intelligenze, non soltanto militari, del nostro tempo.
Non sta a noi, e soprattutto in
questa sede, di entrare in merito alle vicende interne di un grande Paese
vicino. Solo possiamo e dobbiamo dire per testimonianza diretta, poiché i
casi della nostra professione giornalistica ci hanno concesso l'onore di
avvicinarlo più volte e di avere con lui diversi scambi di idee sui grandi
problemi di fondo di questa torbida seconda metà del secolo, che il
colonnello Argoud scelse una certa strada per un autentico assolutamente
sincero amore del suo paese, cui si univa un amore altrettanto vero e
profondo per quell'Occidente europeo e cristiano di cui tutti facciamo
parte.
Per questo noi riteniamo che la
definizione e la valutazione della «guerra rivoluzionaria» condotta dai
marxisti in tutto il mondo non potevano essere meglio sintetizzate che in
queste frasi scritte meditatamente da un uomo che piuttosto che rinunciare
ai suoi convincimenti ha preferito barattare con una casacca da galeotto le
stelle che stavano per giungergli di generale dell'esercito del suo
paese.
In realtà, pensiamo che sarebbe
difficile fornire una descrizione iniziale di quell'aspetto del « fenomeno
guerra» che ci accingiamo ad intraprendere in forma più immediata e precisa
di come ha fatto per l'appunto il colonnello Argoud in quel rarissimo
opuscolo pubblicato alla macchia, proprio mentre il comunismo
internazionale, con il pretesto di appoggiare un ambiguo movimento locale
di «liberazione» nei dipartimenti francesi d'Algeria, stava conquistando, a
pochi anni di distanza dalla sua prima grande vittoria riportata in
Indocina, un'altra vittoria sull'Occidente. Una vittoria, se è possibile,
ancora più pericolosa della precedente perché con essa gli strateghi della
guerra rivoluzionaria riuscivano a disporre di una nuova, formidabile, testa
di ponte per la loro azione sovvertitrice nel seno stesso del Mediterraneo;
e cioè praticamente, per quanto ci riguarda, alle frontiere stesse
dell'Italia,
Si è soliti, diremmo è di rigore,
trattando di problemi connessi al «fenomeno guerra» citare, se non altro
per conferire bene o male, alle proprie vedute una certa autorevolezza sia
Machiavelli che soprattutto Clausewitz. Noi non intendiamo sottrarci a
questa regola e non mancheremo, sia pure a ragion veduta, di farlo a tempo
debito. Vorremmo ci fosse però consentito citare inizialmente poche righe
dovute ad un altro autore, a no_tro avviso ingiustamente posto in secondo
piano, se non nel dimenticatoio.
E ci riferiamo allo svizzero
generale barone de Jomini, che fu come noto, un talento militare
paragonabile a quello dello stes-so Napoleone. Scriveva dunque Jomini in una
« avvertenza » premessa all'edizione belga del I838 del suo magistrale «
Précis d'art de la guerre
»:
.
V'è forse una certa temerarietà
nel pubblicare un'opera sulla guerra quando i-soli ad essere ascoltati sono
gli apostoli della pace perpetua. Ma la guerra sarà sempre un male
necessario, non soltanto per far grandi o salvare gli Stati, ma ancora per
garantire il corpo sociale dalla dissoluzione.
Quante parole di Jomini rivestono
tuttora un aspetto di straordinaria attualità, visto e considerato che una
ondata di indiscriminato pacifismo sta investendo tutte le nazioni
occidentali e segnatamente l'Italia. Dove, non senza turbamento, si assiste
quotidianamente all'azione, con la parola e con lo scritto, anche di
'sacerdoti i quali, in nome di un ambiguo quanto opinabile « neoirenismo»
vanno sostenendo la legittimazione dell'obiezione di coscienza e così
facendo implicitamente tendono a distogliere i giovani dall'osservanza del
primo precetto che obbliga i cittadini verso lo Stato e cioè quello di
difenderlo in armi.
Non è nostro compito, in questa
sede almeno, spingere più avanti l'indagine su questo deplorevole fenomeno.
Ma non possiamo non ricordare e
quanti sembrano averlo dimenticato che è stato proprio Mao-Tze-tung, tanto
vale cominciare a farne il nome, il quale, con piena competenza ed una
sincerità di cui non c'è motivo di dubitare, ha scritto che: «La guerra è
la formula suprema della lotta tra le nazioni, gli Stati, le classi, i
blocchi politici: le nazioni, gli Stati, le classi e i blocchi politici
utilizzano tutte le leggi della guerra per conseguire la vittoria ».
GUERRA IN COREA O TERZA GUERRA
MONDIALE?
Abbiamo
insistito su questa visione della guerra come fatto tuttora ineluttabile
perché si tratta di una realtà che è criminoso cercare di eludere, così come
è puerile coltivare illusioni umanitaristiche al riguardo.
Era l'alba piovosa d'una domenica
di I5 anni fa, quando il 25 giugno I950 i soldati sud-coreani dislocati alla
meglio lungo la provvisoria frontiera segnata dal 38° parallelo scambiarono
inizialmente per rumore del temporale che andava infuriando, lo improvviso e
massiccio tuonare dei cannoni dell'« esercito popolare » della Corea del
Nord.
Non appena, tramite il drammatico
dispaccio inviato a Washington da John Muccio, ambasciatore degli Stati
Uniti presso la R.O.K., la notizia di quanto stava avvenendo in Corea si
diffuse attraverso la stampa e la radio di tutti i paesi, furono in molti a
pensare che la terza guerra mondiale era esplosa su quel 38° parallelo, su
cui del resto molta gente ignorava tutto. Al punto che in Italia ben pochi
si ricordavano che il 38° parallelo passa anche per la Sicilia.
In realtà si potrebbe spostare la
data della nascita della terza guerra mondiale in atto e farla risalire al 6
agosto del I945.
Fu in quel giorno, infatti, che
venne per la prima volta impiegata - contro la città giapponese di Iroshima
e provocando in
una volta sola circa I50 mila
vittime tra la popolazione civile una nuova arma, quella atomica, destinata
a modificare radicalmente la fisionomia di ciò che si è convenuto chiamare
le leggi del «fenomeno guerra».
Insistiamo sull'aspetto prima di
tutto psicologico, sui popoli e sui governi, della scoperta e
dell'impiego delle armi atomiche. Il lancio della prima bomba atomica su
Iroshima è riportato, infatti, essenzialmente per _'azione di choc
da esso provocato sulla coscienza media dell'umanità. Così come comprova
l'elevazione di questo tipo di armi ad ingrediente essenziale di una
modernissima mitologia sui generis elaborata in sede letteraria e
specialmente cinematografica.
Ora è vero che la bomba (all'uranio
235) sganciata sulla città cavia giapponese dalla superfortezza volante al
comando del colonnello Tibbets distrusse una superficie di I.8 Kmq., uccise
80000 persone, ne ferì 70000 e rese inutilizzabili 65000 case d'abitazione
sulle 9000 circa di cui si componeva l'agglomerato urbano di Iroshima. Ma è
altrettanto vero che, per ottenere un con simile risultato con bombe di tipo
convenzionale, sarebbe stato sufficiente sempre su Iroshima l'impiego di 210
apparecchi B29 ognuno provvisto di 10 tonnellate di bombe TNT.
Nel precedente mese di marzo I945,
così, una forza aerea alleata di 279 apparecchi aveva compiuto una
incursione su Tokio, impiegando I667 tonno di bombe convenzionali,
conseguendo la distruzione di 6,I Kmq. della capitale giappol1ese e causando
tra la popolazione 83000 morti (o dispersi) e 102000 feriti. Non risulta,
tuttavia che gli effetti indubbiamente impressionanti
di questo o d'altri bombardamenti
analoghi esercitino retrospettivamente una influenza di terrore in misura
paragonabile a quella prodotta invece dall'esplosione dei due soli
ordigni nucleari lanciati sul Giappone. .
Senza voler ovviamente nemmeno in
minima parte negare le straordinarie, terribili e reali possibilità
operative al livello strategico ed al livello tattico delle armi
termonucleari, ma volutamente prescindendo a questo punto dal loro aspetto
squisitamente tecnico, ci preme però porre in rilievo come la
pre-citata «paura atomica» delle masse sia essenzialmente determinata sul
piano psicologico (o accettando per comodità un linguaggio di derivazione
freudiana, su quello del « inconscio collettivo») dal carattere
apocalittico e, di conseguenza, «magico» attribuito alle armi
termo-nucleari dalle masse in questione. Per le quali, naturalmente,
l'energia atomica è qualcosa perfino nelle sue grandi linee di totalmente
incomprensibile. Ma alla quale vengono irrazionalmente e fideisticamente
attribuiti a torto o a ragione tutti i più straordinari poteri.
In realtà una corretta dottrina
della guerra termo-nucleare presuppone una formulazione logica del tutto
differente, fondata per l'appunto in ciò che si conviene definire «logica
nucleare ». Non è nostro compito, in questa sede, addentrarci in una analisi
delle dottrine di guerra termo-nucleari, analisi oltre tutto resa
estremamente difficile dalla rapidissima evoluzione delle dottrine tesse e
dell'evoluzione della tecnica. Ci limiteremo a osservare che una efficiente
dottrina di guerra non può assolutamente prescindere dalla esistenza e dalla
possibilità di impiego delle armi termo-nucleari.
Lo sviluppo delle dottrine di
guerre connesse all'impiego delle armi termonucleari fornisce comunque
alcune interessanti concetti che possiamo considerare polivalenti nello
studio del «fenomeno guerra» della nostra epoca. E' noto, ad es., che una
delle espres-sioni più diffuse del linguaggio connesso ad una corretta
logica della guerra termo-nucleare è quella cosiddetta del «gioco del
chicken ».
La terminologia « gioco del chicken
» è stata introdotta nella semantica termo-nucleare da Bertrand Russe!. Essa
deriva da un gioco, estremamente pericoloso, praticato dai teddy-boys e dai
giovani bruciati dei paesi anglosassoni. Questo gioco consiste nel scegliere
un lunghissimo rettilineo stradale su cui spicchi ben visibile la riga
bianca di mezzeria. I due giocatori prendono posto, a conveniente distanza,
su due automobili situate in senso inverso e disposte in modo che ognuna
abbia due ruote esattamente disposte sulla linea di mezzeria. Al segnale di
partenza i due concorrenti mettono in moto le macchine e accelerano al
massimo l'uno in direzione dell'altro, avendo sempre cura di conservare due
ruote sulla linea bianca. Ad un certo momento ove uno dei due concorrenti
non sterzasse bruscamente la collisione diventerebbe inevitabile. Vince,
naturalmente, quello fra i due concorrenti che non sterza, dimostrando così
la propria impassibilità di fronte alla eventualità della catastrofe. In
quanto all'altro concorrente, quello cioè che si è tirato da parte per
evitare lo scontro, esso, oltre al perdere ovviamente la gara, perde anche
la faccia di fronte agli amici che lo fanno oggetto di dileggio, gridandogli
per l'appunto « chicken »!
Si comprende agevolmente la
analogia tra questo gioco e il conflitto in atto fra due grandi potenze,
tutte e due fornite di armi termo-nucleari. È chiaro infatti che se una di
queste due potenze desidera realmente di vincere, la migliore strategia
consiste nel far capire che essa, in questo gioco del chicken al livello
mondiale, non si tirerà indietro.
Date queste premesse può essere
interessante osservare ...per inciso come si presenti davvero strano
l'atteggiamento dei pacifisti di professione nei riguardi delle armi
termo-nucleari. Contro le quali, come noto, si scatenano periodicamente
campagne,
. petizioni, manifesti. In realtà
codesti pacifisti, ove fossero ovviamente in buona fede, dovrebbero
rallegrarsi dell'esistenza di armi che - con la loro sol presenza nei
magazzini - contribuiscono senza alcun dubbio in modo determinante ad
impedire l'insorgere di un conflitto mondiale generalizzato, secondo lo
schema per esempio della la O della 2a guerra mondiale.
Vero è che le previsioni più volte
avanzate, per cui la scoperta di armi di potenza sempre maggiore e sempre
più terrificanti avrebbe finito con l'impedire praticamente la guerra, si
sono dimostrate, alla stregua dei fatti, fallaci. Basti ricordare al
proposito il caso avutosi nel secolo scorso di Jean Bloch, un israelita
polacco, banchiere di professione e di vocazione pacifista. Il punto di
vista di Bloch era non di sopprimere o limitare le guerre ma piuttosto di
convincere le nazioni che la potenza sempre maggiore delle armi da fuoco
aveva già di fatto eliminato la guerra come strumento giovevole dell'azione
politica. Nel 1897 il Bloch raccolse il frutto dei suoi studi e delle sue
delucidazioni in una ponderosa quanto caotica opera in ben sei volumi
intitolata La guerra futura e le sue cooperazioni tecniche economiche e
politiche. Sostanzialmente il pensiero del Bloch, quello cioè secondo
il quale la guerra era ormai impossibile si fondava sul fatto che il
progresso scientifico realizzato in tutti i campi avrebbe trasformato LI
guerra stessa in un suicidio reciproco. In proposito il Bloch nel 1897
scriveva testualmente: «Il segno visibile che la guerra è finita è stata
l'adozione generalizzata del fucile a ripetizione...
. Il soldato ha ormai perfezionato
a tal punto la parte tecnica del massacro che si è ormai praticamente messo
al sicuro dal massacro stesso ». Come è noto, infatti, dal 1897 a oggi non
c'è stata più guerra nel mondo!
Fuori dagli scherzi, se è pure
lecito scherzare in materia, occorre rilevare che le forme di guerra e le
forme di condotta della guerra sia pure attraverso errori spesso tremendi si
sono andate sempre adeguando ai tempi e alle possibilità di tutti i generi
che i tempi stessi offrivano.
. E se ci è concesso di ritornare
ancora una volta sulla esistenza, eh fatto insopprimibile, del « fenomeno
guerra », ci permettere-mo di ricordare che la storia annota sino adesso
l'esistenza fra i popoli di ben 8.000 trattati di pace. Ognuno dei quali
naturalmen-te avrebbe dovuto, almeno in teoria, durare per l'eternità.
Una conseguenza, questa sì reale e
non utopistica, di quel progresso scientifico e tecnico che era stato
giustamente posto in luce dal Bloch, è stata invece la possibilità non già
di ridurre i modi di manifestarsi del fenomeno guerra ma invece di
moltiplicarli. Ci sono così, sotto il profilo operativo, diversi modi di
condurre una guerra, anche prescindendo dall'impiego di arri nel senso
classico di questo termine. E citeremo ad esempio le cosiddette « armi
psicologiche» la cui gamma oggi è davvero impressionante. E di cui la radio
e soprattutto la televisione sono le più efficaci e in certi casi
decisive.
UNA GUERRA TOTALMENTE
RIVOLUZIONARIA
Questa
guerra, ideata dai comunisti e la cui dottrina scaturisce naturalmente dalla
ideologia marx-leninista costituisce, va detto obiettivamente, una delle
svolte più suggestive ed interessanti del pensiero militare di tutti i
tempi. Essa è una guerra rivoluzionaria davvero in tutti i sensi e non solo
per il fatto di presentarsi come lo strumento più adatto, flessibile,
spaventosamente efficace per conseguire l'attuazione pratica a livello
planetario della rivoluzione predicata dai marxisti. Ma è ancora di più
rivoluzionaria per le radicali trasformazioni che essa ha apportato e
continuamente apporta alla concezione stessa del « fenomeno guerra» ed alle
tecniche di combattimento in tutti i campi.
Soprattutto occorre tenere presente che la g.r. è una guerra totale, che
si esercita cioè non soltanto sui corpi ma anche sulle anime. In riassunto
il termine rivoluzionario applicato a questa guerra, davanti alla quale i
paesi non comunisti appaiono spaventosamente impreparati significa:
a)
condotta
rivoluzionaria della guerra;
b)
armi
rivoluzionarie per la guerra;
c)
obiettivo
rivoluzionario della guerra.
Il principio base della guerra
rivoluzionaria deriva da un ulteriore approfondimento della precitata
massima di Clausewitz. Se infatti egli diceva: «La guerra 'non è altro che
la continuazione della politica con altri mezzi », Lenin ha scritto: «la
politica non
è altro che la continuazione della
guerra con altri mezzi».
Ne consegue un nuovissimo obiettivo
per il fenomeno guerra. Se prima lo scopo principale di un conflitto armato
era la conquista materiale del territorio del nemico, l'annientamento
parziale o totale del suo potenziale bellico (non soltanto militare ma anche
industriale ed economico), e l'imposizione di una pace vantaggiosa, la g.r.
ragiona in termini totalmente diversi. Per i teorici della g.r. ciò che
conta infatti prima d'ogni altra cosa .non è più la conquista del terreno
del nemico ma la conquista dell' animo delle popolazioni che ivi risiedono.
Lo scopo finale della g.r. non è dunque quello di concludere una pace
vantaggiosa con l'avversario vinto. E non è nemmeno quello di imporgli un
governo più malleabile. Lo scopo finale della guerra rivoluzionaria consiste
infatti non soltanto nel totale annientamento del regime politico e delle
istituzioni politiche dell'avversario ma nella trasformazione in senso
comunista della forma di società in cui è organizzato I l'avversario stesso.
Ci sia concesso di anticipare qui,
riallacciandoci a quanto detto poc'anzi e sempre allo scopo di fugare un
equivoco in cui molti facilmente cadono, che la g.r. non va confusa con la
guerriglia di tipo classico. Ma la guerriglia è soltanto una delle infinite
possibilità tattiche della g.r. Conseguentemente non è possibile
comBattere, da un punto di vista difensivo, una guerra condotta con i
principi della g.r. ricorrendo, quando ci si trova di fronte anche ad una
attività di guerriglia, semplicemente ai metodi classici della
contro-guerriglia; si sarebbe battuti in partenza.
È infatti per non aver chiaramente
compreso sin dall'inizio questo concetto che la Francia ha rovinosamente
perduto la guerra di Indocina, che possiamo considerare come la prima
manifestazione ad alto livello della g.r. nel quadro del terzo conflitto
mondiale in atto. È per questa ragione che gli Stati Uniti si trovano
tuttora impegnati nelle crescenti difficoltà derivanti dalla
. g.r. nel Vietnam. Analogamente
quella sconfitta e queste difficoltà, così come altre passate o future
sconfitte, si debbono attribuire ad una imperfetta conoscenza del carattere
totale della g.r. Perché, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la g.r. è una
guerra totale. Più totale ancora di una eventuale guerra termo-nucleare:
poiché quest'ultima distruggerebbe
soltanto la materia, mentre la g.r. distrugge o peggio ancora trasforma
la coscienza dell'uomo.
IL COSIDDETTO «SENSO DELLA
STORIA»
Fu dunque in Indocina che per prima
la Francia ebbe a scontrarsi con il cosiddetto «senso della storia ». VaIe
a dire con la g.r. . Non si può comprendere l'essenza stessa della g.r. se
non si ,ripone l'attenzione su questo pseudo concetto marxista del «senso
della storia », che in mano agli agenti della g.r. è una delle armi più
efficaci e più frequentemente adoperate. Evidentemente non possiamo in
questa sede addentrarci nella questione, per altro di estremo interesse,
concernente la domanda: «Ha o
meno un senso la storia? ».
Brevissimamente e ai fini che ci interessano ci limiteremo dunque a dire
che, se di un senso della storia, in senso squisitamente spirituale, si può
parlare sono caso mai i cattolici (e noi siamo fra quelli) a poterlo fare,
che per senso della storia intendono il cammino dell'umanità verso Dio.
Ed analogamente un senso della
storia tutto suo particolare, che è nel contempo spirituale e temporale,
possiede il popolo ebraico nella sua perdurante attesa del Messia
liberatore della razza eletta. Fuori di queste escatologie non si comprende
come possa seriamente intendersi l'esistenza mistica e pertanto irrazionale
di un senso della storia così come sostengono i comunisti con l'appoggio
costante di tutti i « progressisti » di varia sfumatura; e si comprende
ancor meno come a questo senso della storia inteso in questi termini e cioè
a una colossale panzana abbiano finito con il prestar fede coloro che non
soltanto marxisti non sono ma che spesso fanno dichiarazioni, se non
professione, di combattere il marxismo.
IL MITO DEL SUPREMO ALVEARE
Non è nostro compito entrare in
merito all'assenza del comunismo, né pronunciare nei suoi confronti un
ennesimo, severissimo giudizio negativo di principio. Giungiamo più in là:
non intendiamo nemmeno discutere se il comunismo in tutte le sue gradazioni,
segnatamente in quella sovietica ed in quella cinese, sia in effetti un
abominio. Vogliamo per amor di ipotesi giungere perfino a dire che il
comunismo sia o possa essere il migliore dei sistemi politici nel migliore
dei mondi possibili. Vogliamo però sostenere contemporaneamente e con
estrema, irriducibile fermezza che la libertà dell'uomo consiste proprio nel
respingere anche ciò che può apparire vantaggioso per lui, e con molta
semplicità diremo perciò che rifugiamo dal comunismo, che non accettiamo il
comunismo, che combattiamo il marxismo ed esprimiamo pubblicamente la nostra
volontà di combatterlo e soprattutto sul suo stesso terreno, restituendogli
– tanto che siamo sulla difensiva – colpo per colpo e ben decisi, quando ciò
sarà finalmente concesso dal maturarsi di situazioni, dall'intesa di uomini
e soprattutto dalla chiara, realistica visione di una situazione che
minaccia ogni giorno di più di diventare catastrofica, di passare
risolutamente e con estrema spregiudicatezza all'offensiva. Restituendo,
se necessario, abbondantemente ai comunisti il terrore che essi hanno
imposto al mondo.
Perché ciò che soprattutto
fondamentalmente ci ripugna nel marxismo è la sua pretesa di imporre al
mondo, servendosi per l'appunto della g.r., quella che si deve ormai nel
modo più esatto considerare come una pseudo religione,. tendente alla
trasformazione dell'intero pianeta terra in un Grande Formicaio, in un
Supremo Alveare. Dove è anche possibile che nei secoli futuri gli uomini
siano, come lo sono le formiche, le api, o altri insetti, in grado di
condurre una esistenza perfettamente regolata ed in cui ad ogni individuo,
in funzione di ciò che produce o del lavoro che fa, verrà assegnata una
razione di cibo amorfo ma contenente il numero esatto di calorie necessarie,
non una di più non una di meno ed una cella nel pieno senso di questo
termine dove dormire un sonno senza sogni. Perché di sogni e cioè delle
speranze, delle aspirazioni connaturate alla fantasia costruttrice
dell'individuo non si parlerà più nel Grande formicaio o nel grande Alveare.
Retto come oggi avviene nei paesi comunisti o come
avviene per l'appunto in queste
società perfette di insetti da un'Unica immutabile Intelligenza che è nel
tempo stesso, Suprema, inesorabile Volontà.
Si, noi sappiamo perfettamente
quanto vanno sostenendo alcuni alti autorevoli commentatori ed esegeti del
cosiddetto «nuovo corso» del marxismo. Quello che, per esempio nel nostro
paese si intende oggi come la «via italiana al socialismo ».
Non soltanto lo sappiamo, ma anche
questa volta vogliamo largheggiare e prendere per buone le dichiarazioni di
coloro che asseriscono essere oggi, con l'eliminazione interna dello
stalinismo, il comunismo diventato un'altra cosa. Fra l'altra, gran
concessione, ci si dice anche che questo nuovo comunismo, il còm\1nismo
buono per intenderci (cioè quello che si richiama assai più alla società
anonima oggi installata al Cremlino che non a quello di Mao, cui i marxisti
da salotto osano ancora muovere qualche critica), non elimina più
fisicamente i suoi- avversari, non riduce alla fame materialmente i suoi
oppositori ma anzi consente loro, concessione sempre più grande, di poter
lavorare e produrre nel nuovo stato creato all'insegna del Grande Formicaio.
Ne prendiamo atto, cosi come prendiamo atto per riferirci al paragone
precedente che da tempo i naturalisti hanno minutamente descritto la
presenza nei formicai, prigionieri delle formiche che tuttavia pensano a
dar loro un adeguato nutrimento, di certi insetti detti afìdi o gorgoglioni.
O più pittorescamente, «mucche delle formiche ». Perché queste ultime, cosi
come noi facciamo con le vacche mungane, provvedono ingegnosamente (perché
anche le formiche come i marxisti sono molto ingegnose) a mungerli,
ricavandone una specie di latte di cui sono ghiottissime. Ebbene, signori,
io penso che a nessuno sorrida l'idea di essere trasformato in un
gorgoglione della repubblica democratica popolare italiana; nemmeno se ciò
comportasse la soddisfazione d'avere come mandriano l'on. Giancarlo Pajetta
o come mungitrice la «Grande Vedova» Leonilde Jotti.
L'ARMA MARXISTA DELLA
NEO-SEMATICA
Questi mutamenti, ammessi che ci
siano, del marxismo non sono del resto altro che semplici misure di
aggiornamento « liturgico », paragonabili a quelle che un Concilio ansioso
di novità ha voluto imporre nelle cerimonie destinate al popolo cristiano.
Perché, occorre ripeterlo, l'ideologia marx-leninista (cui corrispondono
come «braccia secolari» le potenze comuniste) ha, tranne la fede in una vita
ultra terrena, le caratteristiche di una pseudo-religione. È questa proprio
una delle componenti più aberranti ed intollerabili del marxismo: quella
cioè di presentarsi appunto, pur pretendendo di fondarsi su basi razionali e
dichiaratamente anti-metafìsiche, come una nuova vera e propria religione
dotata di pseudo dogmi e di pseudo santi ed alla quale non manca nemmeno,
come abbiamo visto, un escatologia. In funzione della quale è stato creato
per l'appunto lo pseudo concetto del senso della storia. Non pensiamo, si
capisce, di avere, dicendo questo, scoperto il cavallo o l'ombrello. Poiché
tutto ciò, prima di noi, più autorevolmente di noi e più esauriente di noi è
stato detto da altri. Come, per esempio, da Benedetto Croce o più
recentemente da Mircea Eliade in un suo magistrale scritto dedicato agli «
Aspetti del mito ». Purtroppo ciò che è stato detto è stato anche spesso,
troppo spesso, dimenticato. E proprio da chi ha avuto in sorte la
responsabilità di difendere l'occidente dalla minaccia marxista.
Pseudo religione, il marx-leninismo
ha creato anche come aveva per l'appunto fatto la Chiesa Cattolica fino alle
recenti decisioni conciliari - un suo unico linguaggio. Elaborando una
nuova semantica che costituisce, insieme al fideismo totale ed
incondizionato del militante di base nella pseudo religione che lo guida,
una delle armi fondamentali della g.r. Su questo punto della nuova semantica
creata dai marxisti in tutti i paesi ed in tutte le lingue, manipolando con
estrema abilità il linguaggio come premessa necessaria ed indispensabile
alla successiva manipolazione ed alterazione in senso finalisticamente
irreversibile delle coscienze, altri fra i presenti a questo convegno, che
hanno voluto onorare con il loro intervento, potranno e dovranno parlare
con maggiore e più approfondita cognizione di causa. Ci limiteremo, per
ora, a dire che questa nuova semantica agisce su due direzioni. Mentre cioè
da un lato essa si impadronisce di vocaboli propri alla società che vuole
distruggere, sino a snaturarne completamente il significato (e si veda,
come esempio banale.fin che si vuole ma quanto preciso, il destino assunto
in questi ultimi anni dal vocabolo «pace» che è giunto oggi come oggi
praticamente a significare il suo opposto nella bocca dei marxisti che se
ne servono come gli antichi pirati si servivano di bandiere legittime,
scoprendo il loro vessillo con la testa di morte solo al momento decisivo
dell'abbordaggio), dall'altra essa impone invece alla società che i marxisti
vogliono distruggere la propria terminologia. E forniamo un altro esempio
banale ma immediato: si veda l'uso e l'abuso attualmente in corso del
termine «alienazione », espressione questa tipica del gergo marxista che,
come mille altre è stata adottata, soprattutto per snobismo, dalle società
borghesi. Ora è chiaro che l'assuefazione a delle parole genera
l'assuefazione a delle frasi; l'assuefazione alle frasi favorisce
l'assimilazione di un gergo; l'assimilazione di un gergo porta
conseguentemente alla assimilazione delle idee. In altri termini la
parola, snaturata. od imposta dalla neo-semantica del comunismo, serve -
nel quadro operativo della g.r. - a condizionare psicologicamente
l'avversario, provocando in lui una sorta di anestesia che lo, induce ad
accettare passivamente ed anche, perché no, senza soffrire il successivo
intervento chirurgico rivoluzionario.
LA G.R.: UNA PARTITA A SCACCHI
Abbiamo detto la parola «
condizionare » perché questa è, per l'appunto, la prima fase delle
operazioni di una g.r. Il cui obiettivo principale è, ricordiamo, la
conquista dell'animo della popolazione. Conquista che si svolge attraverso
due metodi paralleli, ma non necessariamente simultanei:
a)
l'azione psicologica
b)
il
terrorismo
Occorre, tuttavia, sempre e
soprattutto in materia di g.r. - guardarsi dal legarsi troppo strettamente a
schemi prefissati. Se riprendiamo, infatti, in esame il paragone del « Gioco
del Chicken » di cui abbiamo parlato accennando all'ipotesi di guerra
termonucleare, possiamo completarlo ora, servendoci di altri
esemplificazioni, forse primarie ma che posseggono comunque il merito, mai
troppo lodato, della chiarezza. E possiamo così stabilire le seguenti
analogie:
a)
tra la guerra termonucleare totale
(cioè «non convenzionale ») ed il predetto « gioco del Chicken » (e cioè lo
scontro diretto e catastrofico);
b)
tra la guerra convenzionale
classica ed il non meno classico gioco delle bocce Ce cioè lo scontro
diretto, ma più o meno brutale e manovrato);
c)
tra la g.r. ed il gioco degli
scacchi. La g.r. può essere infatti a pieno titolo assimilata ad una partita
a scacchi, purché si abbia l'avvertenza di tener presente che, nella g.r.,
tutti i pezzi in gioco hanno la possibilità di muoversi in tutte le
direzioni come, su di una scacchiera autentica, un pezzo immaginario che
combinasse in sé tutti i movimenti di cui dispone la Regina più quelli del
cavallo) e che la scacchiera ha un numero « n » di caselle, essendo « n » un
numero che s'avvicina sensibilmente all'infinito.
Nella g.r., infatti, l'eliminazione
fisica del nemico non è, di norma, indiscriminata come negli altri
tipi di conflitto. Così, mentre la guerra convenzionale e quella
termonucleare fanno poco caso, in linea di massima, d'un risparmio di vite
umane ivi comprese quelle della élite, cioè dei quadri, che le
conducono
la g.r., sempre in una certa misura
ben s'intende, tende ad economizzare le perdite tra i soldati ed i capi
della parte che l'ha decisa, l'ha impostata e la combatte. Questa «
economia» è tanto più osservata in quanto la g.r. è una guerra ricca
soltanto di vite umane da spendere. Ma è, per il resto, una guerra in linea
di massima avara - non soltanto per necessità ma anche per principio di
denaro e di mezzi.
Abbiamo citato questi dati tratti
da fonti francesi perché, come abbiamo detto, è stata la Françia, fra i
Paesi occidentali, la prima a dover affrontare in pieno una guerra
rivoluzionaria, quella d'lndocina. Questa guerra si concluse come è noto
per la Francia stessa con la
clamorosa sconfitta militare di DienBien-Phu, cui fece seguito un'altra
sconfitta, sul piano diplomatico questa volta, a Ginevra; Dove vennero
sottoscritti quei negoziati di pace che abbandonavano metà dell'Indocina ai
comunisti, tra il plauso di tutti i « progressisti », i pacifisti e - come
si diceva una volta - panciafichisti non soltanto d'Europa ma anche
degli Stati Uniti. Ove, del resto, ancora una volta il mito di un «
anticolonialismo» di principio (che costituisce, molto spesso, la bandiera
di comodo con cui vengono coperti interessi economici che ben poco hanno a
che vedere con motivi ideali) impediva di scorgere cosa si celasse in realtà
dietro certe guerre e certi movimenti presentati agli occhi dell'opinione
pubblica mondiale come di «liberazione ».
A Dien-Bien-Phu, in realtà, a
perdere una battaglia e nel tempo stesso una guerra non fu soltanto la
Francia. Fu l'Occidente nel suo complesso anche se molti, ancora oggi, non
se ne sono resi conto. La g.r., non ci stancheremo mai dal ripeterlo, è una
guerra globale in cui nessun fronte può essere considerato a sé stante: per
questo esiste uno strettissimo rapporto d'interdipendenza, per esempio, tra
l'operazione «Vicario» condotta in Italia, e particolarmente a Roma, dal PCI
per il tramite delle proprie organizzazioni fìancheggiatrici ed il movimento
di protesta suscitato dagli agenti del Viet Cong tra i bonzi buddisti nel
Viet-Nam o tra le operazioni dei guerriglieri nel Venezuela e l'improvvisa
decisione, per ora soltanto simbolica, adottata dal PCI di organizzare
l'afflusso di volontari italiani ad Hanoi, tra le manifestazioni inscenate
contro Ciombé e quelle inscenate a favore dei negri americani.
Non staremo, perché l'argomento
verrà adeguatamente, trattato da altri più competenti oratori (fra cui
alcuni colleghi che vi ci sono recati più volte) non staremo qui a fare la
storia della guerra d'Indocina, guerra iniziatasi nel 1945 e tra alterne
fasi, come si sa, ancor oggi in atto, con un bilancio sempre più passivo -
in complesso - per l'Occidente. Diremo soltanto che fu proprio
dall'esperienza altamente drammatica della guerra d'Indocina che molti fra
i migliori ufficiali del corpo di spedizione francese furono indotti a
chiedersi, in forma spesso angosciosa, come mai un esercito dotato di unità
d'assalto di primo ordine (come, per esempio, i reparti della Legione
Straniera ed i paracadutisti) e di vaste riserve di materiale relativamente
moderno e comunque sotto il profilo tecnico largamente superiore a quello
dell' avversario - subisse, malgrado il valore e lo spirito di sacrificio
da esso in complesso dimostrato, continui e sempre più gravi scacchi ad
opera di guerriglieri male armati, male equipaggiati e peggio nutriti.
È ad opera di questi ufficiali
francesi che fu così possibile rilevare i primi lineamenti dottrinali della
g.r. L'esercito ViethMinh è un esercito totale, dove ogni soldato è
contemporaneamente un maestro di scuola, un poliziotto, ogni ufficiale un
amministratore, un sacerdote e un ingegnere, fa dire ad uno dei suoi
personaggi un ufficiale per l'appunto del corpo di spedizione in Indocina,
il giornalista e scrittore Jean Larteguy. Quell'immaginario ufficiale
prosegue: Per lottare contro un consimile esercito ci sarebbe voluto un
esercito dello stesso tipo, una sorta di ordine militare, altrimenti la
sconfitta era certa. Mi 'dispiace, certo, dt essere stato sconfitto, mi
dispiace di essere agli ordini di capi incapaci, ma mi dispiacerebbe ancor
più di diventare un
monaco-soldato o di tras/ormarmi in predicatore di non so bene quale nuova
dottrina... Eppure non
passerà molto tempo e quell'ufficiale, come vedremo, diventerà a sua volta
un monaco-soldato ed un predicatore sino ad accettare con orgoglio (e si
pensi che significa questo per un militare di carriera) la qualifica che
altri vorrebbe infamante di « soldat perdu », soldato cioè perso nel senso
che a questo aggettivo la lingua francese dà accoppiandolo alle ragazze di
facili costumi. Ciò accadrà al tempo del sangue, del terrore, del
sacrificio, della gloria cui viene negato il nome, dell'ultima, convulsa e
disperata, difesa dell'Occidente armato in Africa, prima che venisse
solennemente abbattuta la croce sulla Cattedrale destinata ad essere
trasformata in moschea di Algeri la bianca. Anche se filtrata attraverso
l'esperienza e l'indagine degli studiosi francesi (fra i quali citiamo in
particolare il colonnello Roger Trinquier, autore del volume La guerre
moderne che per quanto leggermente superato contiene tuttora preziose
indicazioni specie per determinati aspetti tattici della g.r.) la dottrina
di questa nuova forma rivoluzionaria di conflitto reca sempre,
inconfondibile, la firma di colui che applicando con indubbia capacità ed al
livello d'un intero continente i principi a suo tempo enunciati da Lenin e
rielaborandoli con l'ausilio d'antichi frutti della cultura del suo paese -
della g.r. stessa ha oggi fama di essere contemporaneamente il massimo
teorico ed il maggior condottiero, il Napoleone cioè ed il Clausewitz.
Vogliamo dire Mao-Tse-tung. Tra le molte doti di Mao-Tse-tung c'è anche,
dicono, quella di essere non soltanto un condottiero politico e militare
ma anche un raffinato poeta. Non possiamo pronunciarci al riguardo purtroppo
non abbiamo finora avuto il modo di leggere le liriche che recano la firma
di Mao-Tse-tung. Ma abbiamo in compenso letto i suoi scritti di carattere
politico militare. Si è trattato, per la verità, di una fatica non
indifferente. Sotto un profilo di pura critica letteraria non si può infatti
non essere colpiti ed anche alquanto irritati dalla lettura dello stile
adoperato da Mao-Tse-tung in questi suoi scritti, uno stile contraddistinto
soprattutto dalla lentezza del ragionamento, in cui abbondano frequentissime
le iterazioni. Bisogna tuttavia aver ben presente che questi scritti di Mao
erano in origine destinati ad essere perfettamente intesi dagli uomini delle
più diverse provenienze culturali, che lo seguivano e dovevano inoltre
rappresentare una specie di riassunto delle frequentissime dispute
ideologiche.
È vero, d'altra parte, che al
nostro senso occidentale dello umorismo determinate affermazioni di
Mao-Tse-tung possono apparire non soltanto ovvie ma anche curiosamente
pittoresche. Si veda, ad esempio, quell'ormai classico concetto, inerente
alla tattica della g.r., secondo il quale come è noto «i combattenti
della g.r. debbono potersi muovere tra la popolazione del
territorio in cui operano con la stessa facilità con cui un pesce
si muove nell'acqua ». È perfino inutile aggiungere che su questa
faccenda del pesce che si muove nell'acqua si è esercitata più volte, ed in
tutte le forme possibili, l'ironia di diversi commentatori e critici
militari occidentali, poco inclini per natura a prendere sul serio una
esposizione che si vorrebbe tecnica ed in cui si parla di pesci anziché di
parametri. Naturalmente è facile, ed a volte può del resto esser anche utile
fare dell'ironia.
Perché, sia detto incidentalmente,
anche l'ironia è un'arma e non indifferente.
Si, ripetiamo, può essere facile
ironizzare sul modo di esprimersi di Mao-Tse-tung così come può ingenerare
in noi qualche sorriso la lettura dell'antico e famosissimo (famosissimo nel
senso che si tratta di una di quelle opere che in genere tutti citano sènza
averle mai lette) trattato sull'« Arte della guerra» del venerando saggio
cinese Sun Zu, una sorta di ClauseWlitz ante litteram, cui lo stesso
Mao ama frequentemente richiamarsi. Trattato in cui, per altro, è
icasticamente esposto un concetto che soltanto a prima vista può indurre un
esperto militare occidentale a considerazioni umoristiche: «La suprema
arte della guerra, sta nel soggiogare il nemico senza
combattere ». Eppure proprio in questa frase, è racchiuso il concetto
cardinale della g.r. Per esempio: così come essa è attualmente praticata dai
comunisti in Italia.
Concetto che si accompagna a
quest'altro, sempre di Sun Zu e ripreso interamente da Mao-Tse-tung:
«Conosci l'avversario e conosci te stesso: allora tu sarai
invincibile ». Per somme linee il pensiero militare di Mao-Tse-tung (e
conseguentemente l'abc delU g.r.) si concreta in frasi di questo tipo,
indicative anche a proposito dello stile in cui sono state redatte.
. Qualsiasi capo militare è
obbligato a studiare le leggi della guerra e a
conoscerle a fondo. Qualsiasi capo militare che conduce una guerra
rivoluzionaria deve studiare le leggi della guerra
rivoluzionaria e conoscerle a fondo... le guerre
rivoluzionarie, oltre al possedere il carattere proprio della
guerra in genere, posseggono dei loro caratteri specifici
ed è per questo che esse non dipendono soltanto dalle leggi della
guerra in generale, ma da tutta una serie di leggi
particolari. Se non si comprendono le condizioni in
cui si svolgono queste guerre ed il loro carattere
particolare è impossibile di condurre una guerra
rivoluzionaria, è impossibile di conseguire la vittoria in una
guerra rivoluzionaria... Per sopprimere la guerra esiste soltanto
un mezzo: combattere la guerra con la guerra. Tutte le guerre
della storia si suddividono in ultima analisi in due
categorie: le guerre giuste e le guerre ingiuste. Noi siamo
per le guerre giuste e contro le guerre ingiuste.
Tutte le guerre contro-rivoluzionarie sono ingiuste, tutte le
guerre rivoluzionarie sono giuste.
Ci sia concesso sospendere, a
questo punto, l'esposizione del pensiero di Mao-Tse-tung per commentarlo
brevemente. È evidente, dal contesto, la concezione tipicamente manichea
che ispira il condottiero della rivoluzione cinese in queste sue
considerazioni che hanno per lo meno il pregio di esporre senza tanti
fronzoli quella che è la dottrina più elementare, ma nello stesso tempo più
pura, del marxismo. Riferendoci a quanto abbiamo detto precedentemente,
troviamo in queste righe, ove fosse necessario, una ulteriore riprova
dell'impostazione pseudo religiosa del comunismo. Segnatamente quella
distinzione fra guerra giusta e guerra ingiusta è tratta di peso, per
esempio, dalle elaborazioni sul problema di una certa patristica cristiana.
Nello stesso modo che l'affermare, come fa Mao, che è commendevole il
combattere una guerra purché questa guerra debba consentire di giungere alla
abolizione della guerra stessa non è altro che una versione marxista e
cinese del non enim pax quaeritur, ut bellum excitetur, sed
bellum geritur, ut pax acquiratur di Sant'Agostino. È perfino superfluo,
tuttavia, l'osservare che il concetto dello scrittore cristiano
rispecchiava finalità metafisiche, mentre il pensiero di Mao si. pone su un
piano di una utopia materialistica, assolutamente non giustificata. I
marxisti stentano infatti a spiegare, dato e non concesso che si arrivasse a
questa fase estrema del comunismo (e cioè l'abolizione totale delle classi e
dello Stato), come ciò potrebbe conciliarsi con le loro teorie e
segnatamente con quella « anima vivente» della dialettica materialistica
rappresentata dalla contraddizione che determina costantemente la
spinta in avanti. Per riprendere, al riguardo, le parole stesse di un
autorevole esegeta marxista: cosa diventerà dunque la storia quando la
lotta delle classi non ne costituirà più il motore? Evidentemente poco
convincente, al di fuori del suo vago contenuto pseudo messianico è la
risposta dello stesso esegeta: le contraddizioni non saranno abolite ma
non si tratterà più di contraddizioni antagonistiche tra gli uomini. Allora
fioriranno in pieno le dialettiche interminabili della libertà. Ed in primo
luogo la conquista continua della natura da parte dell'uomo, ecc. ecc.,
per giungere a questa sorprendente ed apodittica conclusione, che in realtà
non .conclude niente (come, in ultima analisi, non significa niente) ma .che
dovrebbe pur fare riflettere tutti quei cattolici che si ostinano in un
«dialogo» condannato in partenza al fallimento:
il materialismo marxista, fedele
alla sua iniziale ispirazione faustiana, sarà il creatore di un mondo
popolato da iddii senza noia, le cui creazioni inaugureranno una dialettica
aperta sull'infinito.
Siamo dunque, tornando a Mao, nel
campo della utopia. Ma occorre pure tenere presente che per tendere alla
realizzazione di questa utopia è stata messa a punto una dottrina ed una
tecnica di guerra che utopistica non è. Cos1 come quando al servizio di
questa utopia viene costretta una massa di circa settecento milioni di
uomini, decisi a tutto se non altro perché il promesso l'aggiungimento
dell'utopia stessa porrebbe fine ad una loro in-concepibile condizione
umana, l'umanità si trova allora realmente in pericolo. Si ricordi,
al proposito, che in Cina si procede con metodi che appaiono incredibili
alla nostra attuale civiltà altamente industrializzata, metodi
sostanzialmente identici a quelli che venivano adoperati dai faraoni
egiziani.
Passiamo ora all'analisi del
pensiero di Mao nella elaborazione dei precetti fondamentali della guerra
rivoluzionaria. È questa una guerra, specifica Mao, che non si impara
soltanto nei libri ma che si impara soprattutto facendola. Combattere è
imparare. Questo è un'altro degli slogans fondamentali, slogan che viene
completato da molte altre regole considerate ugualmente di estrema
importanza e che nel complesso costituiscono in modo organico un vero e
proprio manuale teorico-pratico della sovversione. Piuttosto che seguire
pedissequamente l'esposizione di Mao, cerchiamo considerando soprattutto la
realtà della g.r. così come s'è svolta in questi anni di isolarne alcuni
aspetti determinanti:
.
I) nella guerra rivoluzionaria
occorre che chi la combatte abbia ben chiaro in mente che non esiste nessuna
differenza tra 10 sparare in combattimento regolare contro il nemico e
l'uccidere invece in agguato, o come volgarmente si dice « a tradimento» il
nemico stesso;
2) il combattente della guerra
rivoluzionaria deve essere ben cosciente di quelle che sono le regole del
gioco: e cioè che se il combattente regolare, catturato in combattimento, se
la cava con un periodo di prigionia, il combattente della guerra
rivoluzionaria, se catturato in determinate condizioni, rischia la
fucilazione;
3) il combattente della guerra
rivoluzionaria non si deve considerare tale soltanto quando impugna un'arma.
L'arma decisiva di una guerra rivoluzionaria è, infatti, proprio il
combattente in quanto tale;
4) il soldato regolare si sente
guidato. Il combattente della guerra rivoluzionaria, e soprattutto il
terrorista, deve essere in grado di guidare se stesso;
5) l'eliminazione fisica di un
avversario non costituisce un problema morale (l'avversario combatte infatti
una guerra per definizione «ingiusta»): costituisce soltanto un problema
d'opportunità;
6) il terrorismo non deve
essere fine a se stesso: esso deve sorgere e svilupparsi secondo un piano
preciso, di volta in volta concepito in forma autonoma, ricorrendo se
necessario anche al metodo della ricerca operativa;
7) il terrorista di base
non deve soltanto agire, deve anche capire;
8) per essere efficace il
terrorismo non deve essere indiscriminato.
IL TENTATIVO FRANCESE DI UNA
«G.R. OCCIDENTALE»
Freschi
ancora delle loro esperienze di Indocina i militari francesi si trovarono a
dover affrontare in Algeria una nuova fase di guerre rivoluzionarie.
Inizialmente i francesi cercarono di reprimere l'insurrezione algerina
ricorrendo a quegli stessi metodi classici che così poco felicemente avevano
impiegato in Indocina. Fu allora che, nella mente di un gruppo di ufficiali
che costituivano l'élite dell'esercito stesso, scaturì l'idea di combattere
in Algeria il nemico con la sua stessa tecnica, applicando cioè i dettami
della guerra rivoluzionaria. 'Questa applicazione, in effetti, permise
almeno in un primo tempo, di conseguire risultati piuttosto soddisfacenti
anche se non fu sempre facile né agevole. D'altra parte la condotta di una
contro-guerra rivoluzionaria pone agli occidentali dei problemi di fondo
spesso insolubili o che provocano comunque profondi turbamenti nelle
coscienze. Questo graduale passaggio dei militari francesi in Algeria dalla
condotta di una guerra convenzionale, sia pure limitata al campo della
contro-guerriglia, all'attuazione di una contro-guerra rivoluzionaria è
stato efficacemente analizzato oltre che nei romanzi di Jean Larteguy, anche
in un'altra opera, « çette haine qui ressemble à l'amour» del giornalista e
scrittore algerino Jean Brune, ora costretto all'esilio.
Accenniamo di sfuggita al problema,
per esempio, della tortura. Il caso tipico è il seguente: un combattente
della guerra
rivoluzionaria compie un'azione di
terrorismo e depone una
bomba a tempo in una località
sconosciuta, bomba che esplodendo provocherà senza alcun dubbio la morte e
il ferimento di un certo numero di persone inconsapevoli e probabilmente del
tutto estranee alle operazioni militari in corso. Il terrorista viene però
catturato nel corso di una operazione di rastrellamento.
Si sa che egli ha messo una bomba
che scoppierà fra due ore, ma si ignora dove. Il problema è questo: per
evitare la morte e
il ferimento sicuro di un certo
numero di persone estranee, è ammesso o non è ammesso costringere il
terrorista con tutti i mezzi ivi compresa la tortura a rivelare dove
ha celato il micidiale ordigno esplosivo?
Si tratta, naturalmente di un
problema non soltanto scottante, ma di fondo. I marxisti, che pure non sono
soliti preoccuparsi a casa loro di simili quisquiglie, sono così riusciti a
scatenare un vasto movimento di protesta e di indignazione, sfruttando
segnatamente gli intellettuali progressisti ed il mondo della cultura, per
stigmatizzare l'impiego della tortura contro i terroristi da parte delle
forze francesi di repressione in Algeria. Certo la tortura, così come già
disse Cesare Beccaria, è cosa riprovevole. Ma (questo Cesare Beccaria non
poteva dirlo) anche il terrorismo, l'eliminazione fisica degli avversari
con un colpo alla nuca o l'impiego di bombe che provocano vittime innocenti
sono cose riprovevoli. Eppure gli intellettuali ed il mondo della cultura, a
proposito della guerra d'Algeria, condannarono soltanto l'impiego della
tortura contro i terroristi, ma non l'operato dei terroristi medesimi.
Anche questo rientra squisitamente nel campo della guerra rivoluzionaria,
così come nel campo della contro-guerra rivoluzionaria viene ad assumere un
significato particolare il fatto che nella sua precitata opera «La guerre
moderne» il colonnello Trinquier senta il bisogno di dedicare un intero
capitolo ai metodi da adoperare nel condurre l'interrogatorio di un
terrorista, comprendendo tra quei metodi medesimi, anche la tortura... che,
a detta del Trinquier, deve tuttavia essere impiegata a ragion veduta ed
entro determinati limiti.
Da questo fuggevole accenno
scaturisce una decisiva domanda: fin dove è possibile difendere l'Occidente
servendosi di metodi che sono la negazione dei valori stessi che
dell'Occidente costituiscono l'insopprimibile essenza? È sostanzialmente, a
nostro avviso almeno, al non aver potuto o saputo trovare una risposta a
questo quesito, che si deve in gran parte attribuire il fallimento
dell'unico tentativo di guerra rivoluzionaria condotta sinora da
combattenti occidentali: vogliamo dire cioè quella che venne attuata in
Algeria ed in Francia dai francesi (ed anche dai berberi e dagli arabi) che
militavano nei ranghi dell'OAS. Tale tentativo, ha comunque lasciato due
validi insegnamenti:
1)
prima di
tutto il fatto che è possibile, sia pure attraverso molti tentennamenti,
diverse esitazioni ed un innegabile, spesso tragico, travaglio spirituale,
pervenire ad una formulazione occidentale della guerra rivoluzionaria,
ritorcendo contro i marxisti il loro stesso strumento di lotta, uno
strumento di cui essi erano sin 'ora convinti di avere esclusivamente il
monopolio, così come per tanti anni gli americani si cullarono nell'idea di
mantenere il monopolio esclusivo delle armi nucleari.
2) È stata inoltre dimostrata, per
quanto si riferiva alla Francia la possibilità di porre finalmente fine nel
quadro della guerra rivoluzionaria contro il comunismo alla annosa e sterile
polemica anche in Francia come in Italia continuamente ed artificiosamente
mantenuta in vita dal comunismo stesso tra il fascismo e l'anti-fascismo.
Nei ranghi dell'GAS, si trovarono infatti a combattere insieme la medesima
battaglia uomini che provenivano dalle più diverse e contrastanti passate
esperienze.
Si sono visti, infatti, uniti
insieme nelle file dell'GAS ex appartenenti alla resistenza e reduci magari
dai campi tedeschi di Buchenwald o di Mauthausen, ed ex collaborazionisti,
seguaci del maresciallo Petain, membri della milizia di Vichy o combattenti
sul fronte russo nei ranghi delle Waffen SS.
3) Il terzo e conclusivo
insegnamento consiste nel fare chiaramente vedere come una guerra
rivoluzionaria possa essere condotta con qualche possibilità di successo
soltanto quando a dirigerla ed a combatterla si trovano insieme elementi
militari di professione ed elementi civili altamente specializzati. In
precedenza, infatti, il fallimento del « putsch » dei generali di Algeri si
deve attribuire esattamente alle stesse cause che fecero, per esempio,
fallire a suo tempo il putsch di Kapp nella Germania sconvolta del primo
dopo guerra. Ovverosia nel fatto che nel secolo XX, in Europa almeno non è
più possibile effettuare o un colpo di Stato od ancor più una rivoluzione
con il solo impiego delle forze armate in uniforme, così come non è
ugualmente possibile realizzare positivamente una operazione del genere
fondandosi unicamente sul concorso di forze civili che non abbiano
l'appoggio non tanto indiretto quanto diretto ed esplicito delle Forze
armate. Così come dimostra, sempre riferendoci alla guerra d'Algeria, il
successo pieno ed incontrastato dell'operazione rivoluzionaria compiuta
congiuntamente da elementi militari ed elementi civili il 13 maggio 1958
operazione conclusasi, come è noto, con il crollo della Quarta Repubblica e
l'avvento al potere del Generale De Gaulle. .
Da tutto questo emerge anch'e la
considerazione che la condotta e l'attuazione operativa di una guerra
rivoluzionaria è affidata in primo luogo soltanto a ristrette élites
di comandanti e combattenti militari e civili, ai quali l'appoggio delle
masse è giovevole solo in forma indiretta, nel senso cioè che consente loro
- per riprendere a nostra volta la pittoresca immagine di Mao di muoversi
liberamente in tutto il territorio come il pesce nell'acqua.
Sia dalla guerra rivoluzionaria
comunista d'Indocina, sia dalla g.r. fomentata dai comunisti in Algeria, sia
dalla g.r. anti-comunista condotta dall'OAS in Algeria ed in Francia emerge
poi in modo chiarissimo l'importanza decisiva della presenza di quelle che
nella terminologia per l'appunto della guerra rivoluzionaria vengono
definite come « basi logistiche ». Si intende per «base logistica» la
possibilità da parte dell'esercito che conduce la g.r. di trovare appoggio
di ogni genere in tutta una serie di paesi apparentemente estranei al
conflitto in corso. Avremo così delle «basi logistiche ravvicinate »,
situate cioè in paesi finitimi al teatro di operazioni, come per esempio la
Cina comunista all'epoca della prima guerra di Indocina, la Tunisia od il
Marocco durante la guerra d'Algeria, il Vietnam settentrionale durante
l'attuale guerra di Indocina. Queste basi servono innanzi tutto ad
alimentare in armi, munizioni, viveri, medicinali ed uomini le unità
impegnate nella guerra rivoluzionaria. In secondo luogo queste basi servono
ad alloggiare i comandi operativi a più alto livello che possono così
esercitare la loro azione in condizioni di invulnerabilità da parte del
nemico come accadde per le basi del F.L.N. algerino in Tunisia.
È sempre per l'esistenza di queste
basi che la guerra di Corea. condotta inizialmente - come abbiamo visto -
dai comunisti con metodi convenzionali può essere considerata ugualmente una
guerra rivoluzionaria. Si veda in proposito la gigantesca campagna condotta
dai comunisti circa il presunto quanto cervellotico impiego da parte delle
forze delle nazioni unite e cioè praticamente dagli americani, di armi di
guerra batteriologiche.
COME I COMUNISTI ESTORCONO LE
«CONFESSIONI»
Questa campagna circa la presunta
guerra batteriologica condotta dagli americani venne effettuata con un
vigore ancora superiore il quella recentissima svolta dai comunisti a
proposito dell'impiego, questa volta reale, di gas per altro non letali
compiuto dagli americani nel Vietnam. Può essere di un certo interesse nel
quadro della problematica della guerra rivoluzionaria ricordare come i
comunisti ottennero da 38 aviatori americani, sottoponendoli alla tortura o
alla minaccia la « confessione» di avere adoperato armi batteriologiche
contro i comunisti nord-coreani e cinesi. La «confessione» più notevole fu
quella, fitta di ben seimila parole, estorta al colonnello Frank Schwable,
capo di stato maggiore del primo squadrone dell'Aviazione dei Marines.
Accusato dai comunisti di aver partecipato alle operazioni di guerra
batteriologica e sottoposto a pressioni di ogni genere
perché confessasse questo suo «
crimine », lo Schwable venne tenuto segregato per cinque mesi in una cella
non riscaldata delle dimensioni di un metro per due, e continuamente
pungolato dagli stessi interrogatori. «Fu negli ultimi giorni di novembre
che mi sono arreso» spiegò il colonnello, quando finalmente riuscì a far
ritorno negli Stati Uniti «Ero gelato. La mia mano era gelata. Non c'era
alcun dubbio per me. lo sapevo che non m'avrebbero mai permesso di trovarmi
di fronte ad un plotone di esecuzione. Loro mi avrebbero lasciato lì per
tutto l'inverno. Sapevo che non avrei potuto resistere. Credo che una lenta
tortura mentale che si prolunga all'infinito è peggio di brevi torture
fisiche. Si rimane li, giorno dopo giorno, ed un giorno ancora dopo un altro
giorno. Non c'è davvero una grande scelta: o si confessa o si rimane là ».
Un altro ufficiale americano subì,
allo stesso scopo, il seguente trattamento da parte degli specialisti cinesi
della g.r.: «Dopo essere stato schedato come criminale di guerra egli venne
interrogato e tenuto sotto pressione per quattro mesi. Per otto volte gli
venne intimato l'ordine di confessare, promettendogli un migliore
trattamento se lo avesse fatto o la morte se si fosse rifiutato di farlo.
Per otto volte egli si rifiutò. Lo costringevano a stare sull'attenti per
cinque ore di fila; lo rinchiusero per otto giorni in una cella
strettissima; lo fecero stare al suolo tenuto da due guardie mentre una
terza guardia lo percuoteva con pugni e calci; lo costrinsero un'altra volta
a stare sull'attenti per 32 ore consecutive finché non crollò a terra;
percosso mentre era caduto, dovette rialzarsi e restare in piedi altre due
ore. Fu interrogato per 3 ore di fila con un proiettore puntato a 15 cm. dai
suoi occhi. Gli diedero ordine di confessare con una pistola puntata sulla
sua nuca. Lo tennero tutta una notte sotto una grondaia dur_te un temporale.
Lo lasciarono senza cibo per 3 giorni. Lo posero davanti ad un plotone di
esecuzione e gli offrirono la sua ultima possibilità, appeso per le mani e
per i piedi alle travi di una casa. Davanti al suo ennesimo rifiuto, i
comunisti cinesi lo lasciarono in pace. Sembravano aver rinunciato,
trovandosi di fronte ad un caso impossibile. Questo ufficiale è tornato vivo
».
In definitiva da tutto quanto
abbiamo in precedenza detto e da molte altre cose che per brevità di
discorso siamo stati costretti a tacere, una constatazione appare chiara e
precisa: e cioè che con la formulazione come dottrina della guerra
rivoluzionaria il «fenomeno guerra» è uscito da ciò che potremmo definire il
sistema. Un sistema in cui, grosso modo, la mentalità e le reazioni del
nemico erano in una certa misura prevedibili. Ma dallo studio appunto della
g.r. si acquisisce, ove fosse pur necessario, la certezza che i comunisti
intendiamo qui ovviamente riferirci alle élite dirigenti e non certo alle
masse che bovinamente le seguono nulla hanno a che spartire con il restante
dell'umanità, ma costituiscono in seno all'umanità stessa una presenza
estranea, tal quale si trattasse di appartenenti a quelle razze extra
terrene di cui si fa tanto uso ed abuso nei romanzi di fantascienza. È
dunque non soltanto ridicolo e puerile, ma estremamente pericoloso pensare
che si possa comunque trovare un modus vivendi con 'i comunisti che
costituiscono, lo ripetiamo, al livello planetario una umanità nella
umanità, così come in ogni singolo paese occidentale essi hanno dato vita de
facto ad uno stato nello stato, 'uno stato delle catacombe che possiede le
proprie leggi ed una propria etica che nulla, assolutamente nulla hanno a
che spartire con l'altro stato, quello formale in cui sono impiantati e che
vanno giorno per giorno fagocitando sino a quando le ultime apparenze di
quel medesimo stato corroso dal suo interno non cadranno in polvere. O al
primo scossone dato dai comunisti stessi - o addirittura spontaneamente.
Come appunto, minaccia, gravemente minaccia, di accadere in Italia.
LA G.R. COMUNISTA IN ITALIA
Perché anche in Italia la guerra rivoluzionaria comunista è in atto e da
gran tempo, e non ci si deve fare ingannare dal fatto che essa non abbia
assunto in questi ultimi anni una forma " calda ". Noi abbiamo visto
precedentemente come, a detta stessa dei suoi massimi teorici, lo scopo
finale di ogni g.r. è la disgregazione dello stato esistente. Nello stesso
tempo per Mao che riprende il pensiero di Sun Zu l'arte suprema della guerra
in genere e più specificamente della g.r. consiste nel soggiogare il nemico
(un nemico che si deve, lo si ricordi, conoscere perfettamente) senza
combattere. O combattendo, naturalmente, il meno possibile. Va ora rilevato
che, d'altra parte, non è esatto che la g.r. comunista in Italia non
contempli nel suo schema operativo una fase "calda". Soltanto che questa
fase si è già, in larghissima parte, attuata in passato. E' ormai infatti
concorde opinione di tutti gli storici d'una certa obiettività che la
partecipazione del partito comunista italiano alla guerra civile che divampò
tragicamente nel nostro paese dal 1943 al 1945 non si deve considerare come
una parte integrante del movimento di resistenza, ma come una guerra
squisitamente "privata" condotta dallo stesso partito comunista contro la
società tradizionale italiana, guerra facilitata dal pretesto di combattere
contro il fascismo. In realtà in quegli anni e anche per un cospicuo periodo
di tempo che seguì la fine delle ostilità, il partito comunista italiano
attuò proprio una delle norme fondamentali della g.r. Quella cioè che, come
abbiamo visto, consiste nel condizionare una popolazione servendosi sia
dell'azione psicologica che del terrorismo. Ci fu dunque, dal punto di vista
tattico, una semplice e meditata inversione di fasi. Nella condotta della
g.r. in Italia, il partito comunista ritenne opportuno, sfruttando le
contingenze favorevoli, di far precedere la propria azione psicologica del
terrorismo. Il risultato, è inutile disconoscerlo, venne largamente
ottenuto. Tanto che, oggi ancora, a venti anni esatti di distanza da quei
massacri dell'aprile 1945 che dal defunto on. Togliatti vennero non a caso
definiti come "una delle più belle pagine della storia italiana », perdura
in Italia la paura del terrore comunista. E su questo tema potrebbero in
modo molto eloquente ed interessante parlare quanti, per esempio, svolgono
la loro attività professionale od industriale in diverse zone dell'Italia
del nord dove, sul ricordo di quella bella pagina, impera e prospera tuttora
un autentico racket di marca marxista, alle cui esazioni debbono
sottostare, a ,scanso di ,guai, proprietari di stabilimenti ed operatori
economici. Siamo al punto, che in una grande città italiana come Bologna,
diverse persone rifuggono _al manifestare le loro opinioni o dal comunicare
determinate notizie per telefono, tanto è radicata in loro la sensazione -
a torto o a ragione, non importa - che i telefoni siano controllati dagli
specialisti della g.r.
Dopo questa fase di terrore palese
(quello sotterraneo, come abbiamo detto, continua) il partito comunista
italiano ha sviluppato e con risultati ugualmente ottimi la propria azione
psicologica, operando secondo diverse direttrici. Che vanno
dall'accaparramento della intellighent sia nostrana, sempre pronta ad
aderire a chi le dà la sensazione di essere il più forte, al controllo in
,alcuni casi presso che totale
degli strumenti per la manipolazione dell'opinione pubblica. Così, come,
notoriamente, è avvenuto ed avviene alla televisione.
La g.r. marxista è dunque
pienamente in atto anche nel nostro paese e per questo assume, signori, un
sapore quanto mai attuale ed ammonitorio quanto scriveva Nicolò Machiavelli,
nella sua « Arte della guerra »: Credevano i nostri principi italiani}
prima ch'egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre} che a uno
principe bastasse sapere} negli scrittoi pensare una acuta risposta,
scrivere una bella lettera} mostrare ne} gemme e d}oro} dormire e mangiare
con maggiore splendore che gli altri} tenere assai lascivie interne}
governarsi co' sudditi amaramente e superbamente} marcirsi nell'ozio, dare
i gradi della milizia per grazia} disprezzare se alcuno avesse loro
dimostrato alcuna lodevole via} volere che le parole loro fussero responsi
d'oraculi, nè si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda
di qualunque gli assaltava.
L'esistenza di questa nuova guerra
impone a chi deve fronteggiarla di adeguare ld propria mentalità ad una
nuova logica.
Questo adeguamento, anche in
persone di cui non è assolutamente permesso porre in dubbio la fedeltà allo
Stato che lealmente servono, è purtroppo in Italia tuttora piuttosto raro.
E citiamo un solo esempio. Si
tratta di una vicenda che, parafrasando Hemingway, potremmo intitolare: «Il
vecchio giudice e il pilota ». Forse quanto stiamo per dirvi è considerato,
al livello dei «principi italiani» per servirci dell'espressione di
Macchiavelli un «segreto di stato» che essi preferiscono tener ben chiuso
nei loro scrittoi.
Ma anche, e non lo crediamo, se
questo è un «segreto di Stato », pigliamo su di noi, signori, la
responsabilità, l'intera responsabilità di rivelarvelo in questa sede, in
questo Convegno
di uomini qualificati che si
sentono come rioi ci sentiamo mobilitati in permanenza al servizio
dell'Italia, di quell'Italia dantescamente «umile» cui abbiamo, una volta
per tutte, dedicato sin dalla prima giovinezza la nostra esistenza.
Lor signori ricorderanno come,
tempo fa, un pilota bulgaro ebbe a compiere un atterraggio di fortuna
nell'Italia meridionale, a breve distanza da un'importante installazione
militare NATO.
Le intenzioni di quel pilota e le
ragioni del suo singolarissimo volo vennero da lui spiegate adducendo un
banale errore di rotta. Ma sul pilota bulgaro le competenti autorità
italiane rinvennero una pianta topografica d'un genere speciale (cioè ciò
che in linguaggio tecnico si chiama un «memory sketch»), vale a dire la
pianta dettagliata proprio dell'installazione militare, presso la quale era
precipitato. ,
Ebbene, al giudice istruttore cui
l'aviatore comunista era stato deferito sotto l'accusa di spionaggio, il
pilota bulgaro dichiarò che quella mappa non era altro che lo schizzo di una
palestra di Sofia, ove egli era solito andare a far ginnastica.
Tra un « errore di rotta» e
l'altro, supponiamo.
Tanto bastò a quel candido
magistrato che, in fatto di guerra, deve essere rimasto ai cortesi tempi
della cosiddetta « guerre en dentelles » e del celeberrimo: «Messieurs les
Anglais, tirez les premiers» per prendere carta, penna e calamaio, ed
inoltrare, per il prescritto iter diplomatico, una cortese letterina al
Governo Bulgaro, letterina in cui, con la massima serietà, quell'ottimo
giudice richiedeva, allegando copia del «memory sketch » rinvenuta sul
pilota, di confermargli che quella era realmente la pianta d'una palestra
di ginnastica e non d'una installazione militare della NATO.
A stretto giro di posta il Governo
della Repubblica Democratica Popolare Bulgara s'affrettò a rispondere al
richiedente. Non soltanto specificando, ovviamente, che quella pianta era
effettivamente quella d'una palestra ginnastica, ma allegando anche
premurosamente un certo numero di fotografie della palestra stessa (che era
stata, si capisce, rapidamente montata per l'occasione). Cosi quel
gentilissimo giudice concluse la propria istruttoria con un non luogo a
procedere ed il pilota bulgaro poté felicemente far ritorno in Patria.
Dove, ci sia consentito pensare, sarà stato tuttavia ristretto - perché i
comunisti certe missioni fallite non le perdonano - per un certo periodo di
tempo se non in carcere, per lo meno in una palestra ginnastica.
Non è, dunque, con
consimili, superate mentalità che uno Stato non comunista può difendersi
specie se in eSso è in atto 'un processo di g.r.
Analogamente sarebbe oggi per
quanto abbiamo visto inconcepibile che le FF.AA. di un Paese occidentale
considerassero un atto d'aggressione, soltanto il tentativo svolto da
soldati stranieri di varcare in armi una delle sue frontiere.
Oggi l'aggressione e la g.r.,
infatti, possono benissimo fare a meno delle antiche coreografie belliche e
il nemico non ha alcun bisogno di varcare le frontiere di un Paese nel cui
interno già dispone di proprie forze agguerrite e preparate,
Ne consegue che tutta la dottrina
di una difesa occidentale contro la g.r. comunista deve poggiare su basi
interamente nuove ed anch'esse - occorre pur dirlo «rivoluzionarie ». Cosi
come nella esauriente e straordinariamente acuta relazione che ascolterete
oggi, verrà in modo magistrale chiarito dall'amico professor Eggardo
Beltrametti.
Noi ci limiteremo a dire, a
conclusione di questo nostro davvero troppo lungo discorso, che per la
formulazione di questa nuova dottrina, che potremmo definire della
«controguerra rivoluzionaria », è non solo possibile, ma conveniente
rifarsi, anche
in questo caso, al linguaggio
polivalente in cui si esprime la logica della guerra termonucleare. ,
Come lor signori certo non
ignorano, dalle prevalenti dottrine in materia per l'appunto di guerra
termonucleare, emergono – fra gli altri - due concetti fondamentali. Quello,
cioè di « santuario» e l'altro, legato al precedente, di «teatro
d'operazioni ».
Si indica, in breve, come
«santuario» lo spazio geografico protetto da una forza di dissuasione
totale, vale a dire, lo spazio, in ogni senso vitale, d'uno Stato. Ove,
infatti, questo spazio venisse colpito dalle armi termonucleari del nemico
ciò provocherebbe automaticamente lo scatenarsi contro il nemico
stesso della guerra atomica totale.
Per «teatro d'operazioni» si
intende, invece, quello spazio geografico per la difesa del quale non è
previsto - in caso di aggressione il. ricorso alle armi termonucleari, ma di
cui verrebbe tentata la difesa avvalendosi, caso per caso, delle armi
convenzionali più opportune.
Come lor signori hanno già
perfettamente intuito questi due concetti sono perfettamente validi anche
nel quadro logico della g.r.
Basta, infatti, sostituire
all'espressione «spazio geografico» quella di « spazio politico ».
E attualmente, - come ha precisato,
tra gli altri, in un suo autorevole studio un ufficiale spagnolo, il
capitano Fernando Sanz Esteban, sulla rivista «Ejercito», corrispondente
alla nostra ottima «Rivista Militare» - le FF.AA. di un Paese Occidentale
non possono più - come per il passato - preoccuparsi di assicurare,
unicamente ed esclusivamente la difesa dello « spazio geografico». « Està
superado » scrive il Sanz Esteban « el concepto de oficial
apolitico. Hoy en dia està planteada una lucha ideologica de la) que no
podemos desentendernos y en la que tenemos obligacion de manejar armas tan
eficaces almeno como las del adversario... .».
L'autore spagnolo si ricollega qui
a quanto ha scritto il colonnello Argoud cosi come abbiamo detto
all'inizio. Ne risulta che gli atti della guerra rivoluzionaria comunista
diretta contro lo spazio politico di un «teatro d'operazioni» possono e
debbono . essere contenuti, di. volta in volta,' con le armi convenzionali
(e cioè, per intenderei, mediante l'azione di «autodifesa» delle
forze civili anticomuniste).
Ma ne risulta, ugualmente, che
qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra
rivoluzionaria nei riguardi del «santuario» come, per esempio, il riuscire,
da parte loro, sfruttando opportunità d'eventi e debolezza di governi - di
inserirsi in una « nuova maggioranza» o peggio ancora a penetrare, non fosse
che con un sottosegretario alle PP.TT. in un gabinetto ministeriale
costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro «lo spazio
politico» vitale dello Stato, da rendere necessaria l'attuazione nei loro
confronti di un piano di difesa totale.
Vale a dire l'intervento diretto,
deciso e decisivo delle FF.AA. di quel Paese. Queste FF.AA. in caso
contrario, rinuncerebbero infatti, il che non è ammissibile, al loro più
preciso e più alto dovere: quello di tutelare nel modo più valido e con
l'ultima ma la più efficace delle «ragioni» l'indipendenza e la libertà
denti loro Nazione.
Filosofia, linguaggio e procedimenti.
Accenni ad una prasseologia per la risposta.
Relazione del dottore
EGGARDO BELTRAMETTI
______________________________________________
L'argomento che mi accingo
immodestamente a trattare nel corso di questo Convegno è di tale natura e di
tale importanza che può essere dilatato in modo eccezionale, sì da correre
il rischio di uscire fuori dai confini e di smarrirsi là dove confluiscono
filosofia e politica, matematica e scienza, sociologia e storia. Devo quindi
guardarmi da questo pur stimolante rischio ed a !=osto di dare alla mia
trattazione un carattere meno formale, vorrei non abbandonare un sano
empirismo, ispirato dalla realtà circostante, nella quale ogni uomo libero
scorge una minaccia ai valori a cui crede.
Ho suddiviso il mio studio in tre
parti. Nella prima parte darò uno sguardo alla situazione internazionale
attuale con particolare riferimento alle implicazioni militari e cercherò
di illustrare gli aspetti principali dell'offensiva permanente del
comunismo per la conquista del mondo, di quel fenomeno che viene appunto
chiamato «guerra rivoluzionaria ».
Nella seconda parte vorrei
esaminare il problema della risposta alla g.r., di vedere se è possibile
segnare le linee di ciò che Raymond Aron chiama la «prasseologia », cioè una
scienza dell'azione, o, più brevemente una strategia totale valida per noi
italiani, europei ed occidentali, che senza alcuna reticenza ci dichiariamo,
siamo e vogliamo essere nemici del comunismo. E dobbiamo porci alcune
domande: esiste e qual'è il tipo di risposta che può dare il mondo libero
alla g.r.? Qual'è la strategia che governa la g.r. e qual'è il criterio che
ci aiuta a riconoscere un'operazione di g.r.? Quale posto hanno nella g.r.
l'uomo, la condotta politica, gli strumenti militari tradizionali, la
dissuasione nucleare, la previsione, l'informazione, la manovra
diplomatica, le operazioni tattiche, la guerriglia, la sovversione, la
propaganda, la priorità degli obbiettivi?
Forse, se gli altri relatori ed io
saremo riusciti a rispondere almeno in parte a questi interrogativi,
potremmo trovare gli elementi per allungare lo sguardo verso l'orizzonte
delle nostre speranze e delle nostre azioni.
Nella terza parte accenneremo
infine alla situazione dell'Italia nei confronti della g.r., proponendo
alcuni orientamenti che possono essere utili a combattere il pericolo che
la g.r. rappresenta anche per noi, nel quadro delle responsabilità che
abbiamo liberamente accettato.
PARTE PRIMA
Nel condurre quest'indagine, molte
cose appariranno ovvie, molte osservazioni si potrebbero dare come scontate.
Molti aspetti del problema infatti furono già autorevolmente trattati da
esperti e critici, militari e non militari, tra cui Liddell Hart, Beaufre,
Argoud, Trinquier, De Blignière, Bouthoul, Schlessinger, Burn-ham, Gallois,
Kahn ed altri. Devo anche avvertirvi che ho omesso, per ragioni di economia
di spazio, di citare le fonti. Tuttavia voglio ringraziare in particolare il
colonnello Magi-Braschi che mi è stato di prezioso e cortese aiuto, sia
attraverso i suoi lavori, sia attraverso alcune illuminanti conversazioni
che ho avuto il piacere di avere con lui.
Quel che mi preme e che io spero di
fornire sono alcune categorie di concetti che valgano a porre in chiaro un
punto di vista nostro sulla materia. Infatti credo che anche voi consentiate
nel ritenere che il punto di vista italiano debba essere precisato. Accade
infatti che gli autori stranieri tirano, come si suoI dire, l'acqua al
mulino delle loro rispettive nazioni, proponendo formule e soluzioni
strategiche che risentono di un'impostazione non completamente obbiettiva.
Per intenderci sin dall'inizio sul
significato delle parole occorre precisare che la g.r. è un'espressione di
marca comunista. Tenteremo in seguito di illustrarne le caratteristiche, ma
è necessario subito accennare al fatto che la g.r. si distingue dalla guerra
tradizionale non soltanto perché usa particolari tecniche di lotta -- le
quali, d'altra parte, con più o meno rigore, sono state presenti anche in
altri tipi di conflitto - ma soprattutto perché il suo obbiettivo non è la
pace, essa non rappresenta semplicemente la volontà di conquista di un
territorio per imporre una nuova fonte di diritto e di sovranità. Il suo
obbiettivo è la rivoluzione stessa. Guerra sovversiva, guerra psicologica,
guerriglia hanno una parentela ma non sono la g.r., sono metodi di lotta che
assume la g.r. e che dalla g.r. sono stati regolamentati e codificati. Si
può aggiungere che la guerra psicologica ha trovato il suo posto preferito
nella g.r., che la guerriglia è un procedimento tattico che si adatta
meravigliosamente alla condotta della g.r., specialmente se si considera che
la dissuasione nucleare lascia poca libertà di azione alla condotta di un
conflitto convenzionale. Parimenti la guerra sovversiva è così vicina alla
g.r. che sembra quasi identificarsi con essa, ma questa, come quelle su
accennate, 'non sono che le componenti di un tutto, sono delle
manifestazioni congeniali alla g.r.
Dobbiamo dunque chiederci come è
nata e si è affermata la g.r. e quale relazione esiste tra essa e
l'equilibrio del mondo attuale. La risposta a questo interrogativo va
cercata in due direzioni: nelle origini storiche della g.r., che io
tralascio, perché sono state l'oggetto della relazione dell'amico de
Boccard; l'altra direzione sta nel collocare la g.r. nel contesto della
situazione mondiale, constatando che esiste un modo nuovo di condurre la
guerra, anzi un modo nuovo d'introdurre la guerra permanente nelle relazioni
internazionali. La conseguenza di ciò è l'evoluzione dei concetti
strategici.
Abuserei della vostra pazienza e
sarebbe un atto di presunzione da parte mia se avessi la pretesa di fare la
storia della strategia. Mi sembra tuttavia necessario, per rendere chiaro
ciò che dirò in seguito, affermare che, a mio modesto parere, non esiste"
una strategia, ma una pluralità di concetti strategici. Ritengo invece
che esista un pensiero strategico, che va ben al d, là delle norme che
regolano le operazioni militari; esiste cioè un corpo di dottrina che ha
come mèta la realizzazione di determinati fini e che serve ad evitare
errori di valutazione sul nemico. In altre parole io mi pongo dal punto di
vista della strategia totale, di quel complesso di problemi e di intuizioni,
di atti e di procedimenti che valgono a governare e condurre un conflitto
sui piani diversi: politico, economico, militare e diplomatico.
In questo quadro molti concetti
debbono essere riveduti. Napoleone, che ebbe della guerra una visione molto
moderna ed intuì per primo il concetto di guerra totale, affermava che la
strategia è soltanto azione, quasi collocando cosi in secondo piano la fase
della preparazione alla guerra e, in ogni caso, dando alla strategia un
contenuto militare preponderante. Notiamo qui di passaggio che in tempi
abbastanza recenti, in particolare nel periodo che abbraccia la prima
guerra mondiale e gli anni immediatamente posteriori, la strategia, come
raccolta di norme basilari per la condotta della guerra, aveva perso
parecchio della sua importanza. Infatti Moltke affermava che essa era «un
sistema di espedienti» ed il generale Caviglia, ancor più modestamente,
diceva che « la strategia è un insieme di espedienti ». Forse qualcuno sarà
sorpreso dal fatto che, in omaggio a questa tendenza, in molte accademie
militari sia stato abolito l'insegnamento della strategia e che tale
insegnamento non è stato ripristinato o non ha quel posto che; secondo noi,
dovrebbe avere.
È stato anche detto che la
strategia è l'arte di proseguire una politica con mezzi violenti, il che
risulta vero quando si vuoI fare una ben netta distinzione fra stato di pace
e stato di guerra. In questo senso la guerra non è che un mezzo per
raggiungere la pace, una nuova pace. Oggi questa distinzione è rinnegata
dalla realtà; essa non è più possibile. Lo stato di pace formale è
contraddetto da uno stato reale di guerra permanente e multiforme.
D'altra parte, anche se si vuoI
vedere soltanto le manifestazioni più appariscenti della g.r., noi possiamo
constatare che da anni ci troviamo in presenza di veri e propri conflitti
condotti con le caratteristiche proprie della g.r. e si è facili profeti nel
prevedere che questi episodi cruenti si riprodurranno in molte parti del
mondo per lungo tempo ancora. Nel corso di questo confronto permanente, gli
avversari si trovano su piani diversi: uno sempre in fase offensiva, l'altro
prevalentemente in fase difensiva; uno che mira ad allargare la rivoluzione
e quindi a continuare la guerra: l'altro che mira a ristabilire ovunque la
pace.
Accenneremo in seguito alle ragioni
di questa condizione di svantaggio occidentale, per ora dobbiamo soffermarci
sul fatto
che la strategia occidentale, con
il conforto di autorevoli scrittori, quali Liddell Hart e Raymond Aron, si è
mai liberata dall'impostazione di un netto distacco tra guerra e pace,
oppure a tale impostazione non vi ha recato modifiche sostanziali. Ciò si
spiega prima di tutto perché ripugna alla nostra filosofia non distinguere
la pace dalla guerra, l'uso della violenza dall'esercizio del diritto;' in
secondo luogo tale criterio è consolidato dall'esperienza passata, anche la
più recente. Infatti esso, in definitiva, ha ispirato la prima guerra
mondiale, l'intervallo tra le due guerre ed infine, pur con qualche
eccezione, ha prevalso nella seconda guerra mondiale. Il fatto che nuovi
importanti mezzi bellici siano comparsi nel campo di battaglia, sembrava
confortare questo criterio; nella convinzione che la potenza delle armi
fosse risolutiva di ogni lotta e che alla fine tutto si sarebbe risolto con
una duratura pace generale. Nessuno per esempio ha avvertito che
introducendo la punizione giuridica del vinto, si prolungava la
guerra e si dava alla pace il significato che le conferisce la g.r. Nemmeno
si è visto che la strategia sovietica nella seconda guerra mondiale aveva
già applicato i criteri della g.r. ed è una verità da tutti accettata che il
dopoguerra sarebbe stato molto diverso se gli occidentali avessero compreso
e valutato senza pregiudizi gli scopi della guerra comunista.
È ben vero che i fattori politici,
economici e diplomatici hanno sempre inciso sulla condotta militare, ma non
erano mai stati convenientemente presi come primari strumenti di un
conflitto. Infatti la strategia, intesa come la ricerca costante della
libertà d'iniziativa, si presentava allora come la somma delle operazioni
tattiche. Secondo Clausewitz, si ottiene il successo quando con una serie di
battaglie vittoriose si abbatte il morale e la volontà del nemico. Ma Lenin,
al quale si può far risalire la prima intuizione del nuovo tipo di lotta e
che fu un attento lettore del grande teorico dello Stato prussiano, aveva
già capovolto l'impostazione di Clausewitz, quando affermava il principio di
« ritardare le operazioni fino a che la disintegrazione morale del
. nemico rendesse possibile e
facile dargli il colpo decisivo ». In tal modo Lenin metteva l'accento
sull'importanza della disintegrazione morale e delle tecniche per ottenerla
prima ancora di affidare la decisione alle operazioni militari.
In altre parole dobbiamo allargare
il significato della strategia e dire, con il Beaufre, che la sua essenza
consiste nell'opposizione dialettica di due volontà. Di qui scaturisce
ancora che esiste un'arte della strategia che lascia all'uomo ed alla sua
fantasia di scorgere ed intuire la situazione, nel farla maturare nel senso
favorevole, impiegando tutti i mezzi, non soltanto quelli militari. Un altro
avvenimento che deve essere tenuto presente e che ha una relazione diretta
con la strategia della g.r. consiste nell'ingresso della bomba nucleare con
i relativi vettori negli arsenali bellici. La natura e la potenza
distruttiva di questi mezzi sono tali che, in un certo modo, paralizzano le
due opposte volontà,
impedendo di compiere atti le cui
conseguenze non sono misurabili e che potrebbe anche identificarsi con il
suicidio dei due
avversari. Ma questo è soltanto un
aspetto del problema, perché i mezzi nucleari comunque esistono e fanno
parte del quadrI?
strategico in quanto sono una spada
di Damocle, la quale, mentre per l'occidente ha un significato
prevalentemente deterrente e
quindi difensivo, per il nemico
comunista invece serve all'aggressione psicologica e le consente di
conferire alla g.r. quel carattere di fatalità e di necessità da cui
discende la sua efficacia. In altre parole la strategia della g.r. aggira la
strategia della dissuasione nucleare e, avvalendosi delle sue tecniche e dei
suoi procedimenti, reca la sua offensiva fuori della portata delle armi
atomiche, in una dimensione diversa che non è più in relazione al
territorio o alla potenza dei mezzi militari.
Un'altra relazione che passa tra la
g.r. e dissuasione nucleare sta nel fatto che questa conferisce a quella un
rigoroso carattere
totale, nel senso che la condotta
strategica detta anche le le operazioni tattiche apparentemente più
insignificanti onde non varcare quei limiti oltre i quali prevalerebbe
nell'avversario la volontà di ricorrere alla guerra nucleare.
All'osservatore superficiale può sembrare che un attentato,. il terrore
seminato in una città od in un qualsiasi ambiente umano, la costituzione di
un comitato per la pace o per altre analoghe «istanze », siano episodi
slegati, mentre essi sono coordinati, voluti, decisi dall'alto con la stessa
minuziosa consapevolezza delle grandi decisioni politiche. E ciò appunto
allo scopo di insidiare l'avversario e di condizionarne i riflessi in
profondità.
Da questo punto di vista la g.r. si
rivela come l'unico conflitto possibile nel tempo del cosiddetto equilibrio
del terrore raggiunto per effetto della dissuasione nucleare. Così mi
sembra che si possa trarre anche un altro insegnamento, che la strategia
nucleare non può vincere la g.r. mentre questa può raggiungere il successo
desiderato, sminuire od aggirare o addirittura neutralizzare una strategia
basata sulla dissuasione nucleare. Tant'è che, come corollario, si può.
affermare ancora che la decisione di una battaglia vittoriosa di tipo
classico, anche atomica, condotta con criteri che ignorano la condotta della
g.r., non può raggiungere tUtti gli obbiettivi, che può invece raggiungere
la g.r.
Scusate se ho abusato fin troppo a
lungo della vostra pazienza a proposito della relazione tra g.r. e
strategia. Ora chiedo la vostra cortese attenzione su quanto sto per dire
sulla dialettica interna della g.r. A questo proposito i contorni sono forse
più vaghi perché una delle caratteristiche fondamentali della g.r. è quella
di adeguarsi alla realtà, che è di per se stessa varia e mutevole e perché
la g.r. comprende ogni altra forma di guerra. Comprende k. guerra classica,
sia essa condotta con soli mezzi tradizionali o anche con mezzi nucleari.
Infatti la g.r. non rifiuta, quando è giunto il momento opportuno, di
schierare in campo i suoi combattenti e portarli in battaglia. La battaglia
di Diem Bien Fu ne è un esempio. Comprende la guerra sovversiva, anzi nella
guerra sovversiva la g.r. trova il suo ambiente naturale perché le consente
di mimetizzarsi, di agire nella clandestinità e di controllarne lo sviluppo
e l'esito finale con i suoi metodi e con i suoi, agenti. La vera e profonda
differenza che corre tra g.r. e guerra sovversiva consiste nell'obbiettivo
finale. Ne ho già accennato: la g.r. ha per scopo la rivoluzione; la guerra
sovversiva ha per scopo lo stabilimento di altre istituzioni e la
rivoluzione non è che un mezzo.Non esistono altri tipi di conflitti oltre la
guerra classica, la guerra sovversiva e la g.r.
Altre forme di lotta come l'arma
psicologica e la guerriglia, non possono essere chiamate guerre, perché sono
tecniche aggressive e procedimenti comuni anche se inconsueti a tutti i
conflitti, pur trovando il loro posto preferito nella g.r., ove assumono
un'importanza determinante. Non mi soffermerò su questo problema delle
tecniche e dei procedimenti della g.r., che è trattato con competenza
dall'amico Giannettini. Voglio soltanto dire che i comunisti hanno
scientificamente studiato e regolamentato queste tecniche e questi
procedimenti ed il fatto che questi abbiano avuto successo ha generato
qualche confusione fra il tutto e la parte, tra il concetto di .preparazione
e quello di esecuzione, fra la dottrina ed il metodo. Nessuno infatti può
negare l'efficacia di queste tecniche fondate sulle ricerche del Pavlov, la
loro applicazione in fasi distinte e coordinate, il loro impiego dipendente
da un rigoroso comando centralizzato. In questo quadro si scorge anche una
delle ragioni per cui la g.r. può agire nel corso di conflitti di lunga
durata che mirano a produrre l'usura morale e la stanchezza del nemico. E
per durare, specialmente all'inizio del processo, la g.r. impiega mezzi
molto rustici e procedimenti numerosi e vari. Ma quello che conta è il
rigore scientifico del loto impiego prolungato, sicché il nemico viene
sottoposto ad uno sforzo grandissimo e logorante, moralmente e
materialmente. Si tratta quindi di una lotta totale prolungata di debole
intensità militare, mentre prevalgono in essa i mezzi politici,
propagandistici, psicologici, terroristici, organizzativi, appoggiati da
tecniche e procedimenti che, in contrasto con gli strumenti rustici messi in
opera, sono un capolavoro di precisione quasi matematica. Niente è affidato
al caso.
Indubbiamente l'esame di queste
tecniche è necessario e fondamentale per la comprensione della g.r. In
proposito cedo il passo agli intervenuti. Tuttavia consentitemi di fare due
considerazioni.
La prima riguarda la relazione tra
g.r. e guerra sovversiva, relazione di un'evidenza solare quando volgendo lo
sguardo attorno a noi vediamo che la maggior parte dei conflitti del
dopoguerra sono guerre di sovversione. Però, fatta questa constatazione,
ci accorgiamo anche che tutte le più recenti guerre di di sovversione sono
state sin dall'origine o son diventate guerre comuniste e come tali entrano
nel quadro delle g.r. Ed è accaduto, come continua ad accadere, che i
protagonisti della sovversione, "magari tinti di acceso nazionalismo, si
trasformano in agenti comunisti. È un fenomeno che desta sovente sorpresa e
quasi giunge inaspettato. Il fatto è che quando i protagonisti della
sovversione adottano le tecniche ed i procedimenti marxisti, e li adottano
perché sono efficaci e perché alla vigilanza della g.r. non sfugge il
profilarsi di un processo insurrezionale ed il vantaggio di provocarlo,
d'inserirsi in esso e di appropriarsene, i protagonisti sono automaticamente
e fatalmente portati al comunismo, diventano prima prigionieri dei suoi
metodi e diventano poi prigionieri della sua dottrina. Si tratta di un
fenomeno basilare per comprendere la g.r. Perché è evidente e si ha una
conferma che le tecniche ed i procedimenti proprii della g.r. comunista
distruggono nell'uomo i valori tradizionali, fanno valicare nell'uomo gli
imperativi della sua coscienza, stravolgono le sue convinzioni morali circa
la giustizia, la verità, la libertà e lo proiettano in un mondo in cui
questi valori sono considerati un'astrazione o una condannabile indecenza.
Da questo punto di vista si rivela
un'illusione credere che si possa fare in qualche occasione un tratto di
strada insieme ai comunisti presupponendo poi di abbandonarli per riprendere
la marcia senza di loro. A tutti i livelli, in qualunque ambiente
psicologico o ideologico nel quale si sono lasciati inserire i comunisti,
questi alla fine prevarranno; la marcia in comune è un errore e quello che
appariva una mossa tattica, un episodio contingente della lotta politica o
di un dialogo, in definitiva si rivela una trappola.
L'altra considerazione questa
metodologia della che mi pare necessario fare è che g.r. richiede un
controllo dell'uomo, senza. fessure. Anzi il controllo dell'uomo è proprio
al centro della metodologia della g.r. Mao Tse Tung, il teorico più
accreditato della g.r. ha lasciato scritto che la missione principale delle
forze rivoluzionarie « è di mantenere il dominio della popolazione; sua
secondaria missione è di battere e distruggere le forze avversarie, ma mai
questa missione deve compiersi a detrimento - della prima».
Si afferrano subito le conseguenze
di questa impostazione: controllare la popolazione; dominarne lo spirito per
distruggerlo; dominare l'individuo per asservirlo al dogma ideologico e per
annullarlo nella massa.
CARATTERISTICHE DELLA G.R.
In primo luogo la g.r. .sposta la
lotta dal terreno all'uomo; in secondo luogo la lotta rivoluzionarla si
avvantaggia delle passioni umane nello stesso modo in cui la guerra
tradizionale si avvantaggia della configurazione del terreno per dare
battaglia; in terzo luogo i valori umani ed individuali, l'integrità della
persona, la realtà del pensiero, la verità perdono il significato che noi
diamo ad essi ed assumono la stessa funzione tattica che, 'nella guerra
tradizionale, hanno gli ostacoli fissi. o le armi che si possono modificare
o mutare. Noi continuiamo a stupirci che i comunisti mentano, che aggiornino
la storia secondo la contingenza rivoluzionaria, che innalzino ed abbattano
i lori miti ed i loro personaggi, che mutino continuamente la propedeutica
correggendola secondo le necessità del momento; mentre essi non fanno che
seguire rigorosamente la dottrina della g.r, per affermare appunto che la
verità, il diritto, la storia, la pedagogia sono termini astratti quando non
sono al servizio della rivoluzione. Noi per esempio parliamo di statu quo da
conservare, intendendo con ciò di impegnarsi a rispettare un equilibrio
esistente fondato sui trattati; mentre, come ha detto chiaramente Krusciov,
lo statu quo per i sovietici è la marcia della rivoluzione comunista. In
termini filosofici possiamo dire che si tratta di due diversi atteggiamenti
del pensiero, da una parte la base della realtà è l'essere, dall'altra' la
base della realtà è il divenire.
Dobbiamo perciò metterci nei panni
marxisti per afferrare il significato della g.r., per capire che la
strategia della g.r. è totale nella prospettiva di un'offensiva continua e
globale, con l'impiego di tutti i mezzi, a cominciare dall'orientamento
della politica generale dello Stato. Dalle decisioni di governo alla
politica per favorire lo sviluppo scientifico, dall'economia pianificata
all'approntamento di mezzi atomici fino al pugnale dato in .mano
all'attivista fanatizzato per uccidere, dalla propaganda alle manovre
diplomatiche, tutto fa corpo con la strategia della g.r. . In altre parole
chi la conduce è permanentemente in stato di guerra e tiene in atto una
mobilitazione generale sia con la convinzione e più ancora con la
costrizione, con il terrore, con la minaccia.
Perciò nella g.r. la fase di preparazione alla lotta ha un'importanza
primaria, maggiore alla fase dell'esecuzione. La penetrazione silenziosa,
psicologica e morale, la propaganda, la diffamazione delle classi dirigenti
nemiche; la creazione di organismi detti delle gerarchie parallele, delle
organizzazioni fiancheggiatrici che, minano l'autorità, il seminare il
senso d'incertezza, d'insicurezza economica e politica, le delazioni e le
provocazioni sono fattori fondamentali della lotta per preparare il successo
di domani Anche la sorveglianza del nemico in tutti i campi è determinante
delle decisioni e perciò lo spionaggio specializzato, industriale, politico,
finanziario, scientifico, oltre che quello militare, assume proporzioni mai
raggiunte prima d'ora, nemmeno in tempo di guerra.
Sovente l'occidente trascura il
carattere totale dell'aggressione comunista, perché non valuta il carattere
totale della strategia della g.r. Anche quando sembra che il comunismo perda
alcune posizioni, esso non abbandona mai completamente il teatro di
battaglia che ha scelto. Ricordiamo quello che è successo a Cuba.
Questo episodio mette suI tappeto
un altro problema, cioè se esiste un metodo per stabilire senza ombra di
dubbio, sia sotto forma di previsione, sia sotto forma di accertamento le
operazioni concernenti la g.r. Ciò allo scopo di poter essere
convenientemente preparati per la risposta. L'analisi di tali operazioni è
difficile appunto per il carattere poliedrico e totale della g.r. Tale
analisi ha attratto l'attenzione di molti autori. Il generale Diaz de
Villegas ci dà un elenco che comprende, 37 conflitti, i quali, secondo il
suo parere, .sono tutti di tipo g.r.: guerra dell'Indonesia con ,l'Olanda;
guerra civile in Cina; guerra in Malesia; conflitto dei guerriglieri
comunisti greci; conflitto nel Cachemire fra l'India e il Pakistan; guerra
di Corea; guerra d'Indocina tra la Francia e il Vietmin; guerre tra Israele
e la Lega Araba; rivoluzione nel Guatemala, in Argentina, in Columbia;
guerra nel Sinai tra Israele ed Egitto; campagna di Suez; guerra del Muscat
e Oman tra Inghilterra e bande ribelli; rivoluzione ungherese soffocata
dall'URSS; analoga ribellione a Berlino Est, in Polonia e in Romania; guerra
nelle Filippine contro le bande comuniste della «resistenza »; conflitti nel
Libano e in Giordania con intervento degli Stati Uniti e della Gran
Bretagna; guerra per Quemoy e lo stretto di Formosa tra le due Cine; guerra
civile a Cuba; lotta nel Kenia tra gli Inglesi e le bande dei Mau-Mau;
rivolte nel Congo e nell'Africa Equatoriale Francese; conflitto Cipriota;
agitazioni in Iraq; attacco comunista al Tibet; lotta in Tunisia, Marocco e
Algeria tra i francesi ed i ribelli locali e a Ifni e nel Sahara tra gli
spagnoli e le bande filomarocchine; guerra civile nel Vietnam.
È
mia modesta opinione che non tutti questi conflitti abbiano le
caratteristiche necessarie per essere definiti episodi di g.r., anche se
sono in qualche modo da essa ispirati. Naturalmente non può prestarsi a
discussioni il fatto che le operazioni di tipo cubano, che gli sviluppi
della guerra di Algeria, che l'aggressione nel Congo e nel Vietnam siano
atti di g.r. Essi mettono in risalto che la g.r. porta l'offensiva ovunque
si apre uno spiraglio con una prospettiva di successo anche lontano. Ma
sorgono dubbi qualora l'analisi voglia portarsi su tutta la politica
sovietica, nel senso che non è facile discernere se una decisione politica è
il frutto di una meditata azione di g.r., oppure scaturisce da fattori di
altra natura, per esempio da questioni interne. Infatti rimane da spiegare
la politica del policentrismo comunista inaugurata nel periodo kruscioviano.
Il policentrismo si è rivelato vantaggioso per i sovietici, ma non possiamo
dire con certezza se è stata 'una manovra di g.r. o se invece Krusciov
ritenesse che fosse giunta l'ora di, raccogliere e favorire, in quanto
fatali, le aspirazioni delle, giovani generazioni sovietiche ; se ritenesse
che quelle aspirazioni obbligassero il sistema, all'interno o all'esterno,
ad un rinnovamento radicale, concedendo ai singoli partiti 'comunisti, sia a
quello sovietico, sia a quelli dipendenti, una certa libertà d'azione in
modo che potessero marciare per la loro strada, poco curandosi se avrebbero
lasciato cadere ai margini del loro nuovo cammino il peso ingombrante dei
dogmi marxisti-leninisti. Insomma vi è sempre un aspetto enigmatico della
g.r., il quale rende difficile l'analisi del quadro in cui si manifesta la
sua strategia totale. Ma è una analisi che è pur necessario fare in ogni
momento ed in ogni occasione per poter dare un'esatta interpretazione ed
adeguare la nostra strategia all'aggressione generalizzata e continua. Noi
non possiamo trovare una soluzione occidentale alla situazione del presente
se non esploriamo diligentemente le intenzioni comuniste, se non riusciamo
a comprendere le debolezze del nemico onde batterci su un terreno solido.
Prima di passare alla seconda
parte, vediamo di riassumere i caratteri della g.r. La g.r. ha per
obbiettivo finale la rivoluzione e non la pace; comprende tutte le altre
forme di conflitto e si adatta ad ogni tipo di lotta; la sua origine è
comunista; le tecniche ed i procedimenti assumono in essa un valore
determinante; il suo obbiettivo è di catturare l'uomo ed asservirlo ad una
ideologia; l'ideologia comunista e la carica passionale che i suoi agenti
sono capaci di diffondere e di provocare nella g.r. hanno un peso che è
superiore a quello del dispositivo militare; la i condotta della g.r.
richiede uno sforzo morale prolungato e considerevole ed una coesione
completa delle decisioni e delle iniziative; il sistema di lotta diretta
coordinato con l'aggressione!
indiretta deve essere collocato in
un contesto 'politico mondiale; un'operazione di g.r. in un determinato
paese presuppone sempre un appoggio dall'esterno, politico, logistico e
militare. Sulla base di questi caratteri distintivi è possibile cercare una
definizione della g.r.
PARTE SECONDA
Se, ponendoci da un punto di vista
storico, vogliamo prendere in esame la risposta che sinora è stata data
alla g.r. dagli Stati e dai movimenti anticomunisti, il discorso è molto
breve.
Basta guardarci attorno a che cosa
è accaduto e che cosa accade nel mondo dal 1917, per avvertire i successi
della g.r. in ogni continente. Da quell'anno, preso come punto di
riferimento, l'unico movimento che ha tentato una risposta alla g.r., è
stato il fascismo nelle sue varie incarnazioni. Ma fu un fallimento quasi
totale ed è stata anche una risposta inadeguata, frammentaria e,
in qualche caso, ha assunto il
carattere di un duello tra un dilettante ed un professionista.
Sono ancora i risultati che
illustrano i limiti della risposta occidentale alla g.r. dopo il fascismo.
L'unico fatto positivo è che la smisurata potenza dell'America e le sue
irraggiungibili energie morali e materiali costituiscono ancora un largo
margine di potenziale possibilità di reazione. Tale margine si è tuttavia
assottigliato, mentre quelle stesse operazioni condotte con l'illusione di
contrastare l'avanzata comunista nel mondo, molte volte si sono rivelate
vantaggiose per la g.r. In Africa, l'America ha favorito la
decolonizzazione in nome della democrazia e perché la democrazia non fosse
preceduta dal comunismo nel corso del processo di assunzione dell'autonomia
di quelle popolazioni, ma ha raccolto una messe molto dubbia con l'avvento
al potere di dittatori che si sono spesso rivelati utili agenti, coscienti
od incoscienti, della g.r.
Risposta incompleta ed inadeguata
anche in Asia. Nel Vietnam siamo nella fase calda, ma anche qui, come
altrove, la politi-ca degli Stati Uniti ha un obbiettivo limitato. Lo scopo
degli Stati Uniti non è la vittoria, ma una soluzione politica; il loro
atteggiamento concettuale è la
difesa e non l'offesa; la loro impostazione strategica è rimasta ispirata a
quella classica e sta in una
dimensione che può ancora essere
aggirata dalla strategia della g.r,
Anche da questi pochi cenni
possiamo comunque trarre l'osservazione che una risposta efficace alla g.r.
deve assumere il
carattere offensivo permanente sul
piano strategico e tattico, deve dare un esito netto, deve essere
implacabile e deve essere
marcata dal successo.
Ma ecco che sorgono altre gravi
questioni che io propongo alla Vostra attenzione e con le quali si tocca il
fondo del proble-ma posto in questa seconda parte
dell'esposizione. .
L'adozione della g.r. come metodo
di lotta è compatibile con la filosofia occidentale, con quel complesso
d'ideali e di valori e
di convinzioni che caratterizzano
il mondo della libertà? Se noi accettiamo la g.r. con le sue tecniche ed i
suoi procedimenti, non trasformiamo fatalmente ed automaticamente il nostro
modo di vivere nel modo di vivere che dobbiamo combattere? Troviamo nel
mondo libero, dove l'uomo mantiene il diritto alla .libertà, una ideologia
unitaria che è alla base della condotta della g.r.,. quando in occidente noi
scorgiamo molte convinzioni e non un corpo di dottrina omogenea? Come
ovviare allo svantaggio che deriva dalla permeabilità dell'occidente
all'offesa ideologica comunista in confronto della impermeabilità del mondo
comunista? Come condurre un'offensiva quando l'obbiettivo per l'occidente è
la pace, mentre per i dirigenti della g.r. è la rivoluzione? Come conciliare
il culto della libertà individuale con il controllo rigido delle
popolazioni? E non è forse questo stesso contrasto tra la nostra libertà
spirituale e la cosiddetta realtà obbiettiva della dialettica comunista che
rende possibile lo sviluppo della g.r. fuori dei confini del mondo
comunista, che influisce sulle decisioni stesse dei governi democratici, che
favorisce il formarsi di maggioranze manovrabili, l'organizzazione
sovversiva delle masse e delle cosiddette gerarchie parallele, le quali
minano progressivamente lo Stato diffamandone le istituzioni e le classi
dirigenti?
Ora è chiaro che la proiezione
diretta ed indiretta di una simile offesa permanente trova l'occidente in
grande difficoltà. L'occi-dente non ha neppure un suo vocabolario che
rappresenti la risposta che deve dare alla g.r. In linea teorica non
possiamo neppure adottare questa espressione, la quale significa lotta per
la rivoluzione permanente, mentre la nostra filosofia trova il suo traguardo
nell'edificazione dello spirito e raccoglie categorie di concetti che
valgono ad individuare il processo di accrescimento continuo, qualitativo e
quantitativo, della libertà umana. Lo spirito cristiano s'identifica con la
spiritualizzazione dell'uomo, po-nendogli orizzonti sempre più vasti; la
storia del pensiero europeo cristiano è quell'espandersi dello spirito in
tutte le direzioni per raggiungere quella conoscenza del reale che ci
avvicina a Dio.
Invece ci troviamo di fronte ad una
dottrina che nega l'uomo, perché nega la libertà individuale e nega il
fondamento stesso della vita spirituale.
Il materialismo, negando i valori
spirituali, li combatte e li vuole annientare in tutte le loro
manifestazioni ed in tutti i loro fondamenti. Non a caso il primo obbiettivo
della g.r. è di distruggere le élites religiose, di pensiero, politiChe e
militari, in una parola le classi dirigenti, perseguitandole, diffamandole,
annientandole fisicamente e moralmente.
Permettete che vi dica
compiutamente il mio pensiero che di fronte a questo stato di fatto da cui
scaturisce evidente il peri-colo che minaccia la civiltà occidentale, i
sistemi democratici nella generalità sono inadeguati. Vorrei essere preciso
su questo punto: ho detto i sistemi democratici cioè quei reggimenti della
cosa pubblica a carattere partitocratico e parlamentare di cui noi italiani
conosciamo bene le debolezze ed il loro stato di abulia morale. Voglio
anche aggiungere Che non si respinge la democra-zia intesa come metodo di
governo che a tutti i livelli abbia coscienza delle sue responsabilità e dei
suoi doveri e non quella pseudo-democrazia che consiste nel ritenere Che
non si abbiano obblighi verso i postulati di ordine superiore, ma che
pretende tuttavia di dare ordini in nome di interessi che non esito a
chiamare inferiori, quando essi non sono, come dice il popolo, che « sporchi
interessi ».
Questo clima morale non facilita
certamente la risposta alla g.r. Ma non dobbiamo arrenderci ed ammettere a
priori la nostra fatale sconfitta. Dobbiamo invece prendere l'iniziativa
avendo per obbiettivo la vittoria. Accingendosi alla lotta, ponendoci di
fronte al pericolo con la consapevolezza di non avere alternative, potremmo
superare quelle stesse manchevolezze di fondo che abbiano additato in
certi sistemi.
Certamente noi non possiamo
adottare i metodi comunisti della g.r., non possiamo cioè degradare le
nostre istituzioni al livello dell'aggressore, rinnegare il nostro Stato di
diritto, rinunciare ad alcuni fondamentali principi giuridici per imporre
un sistema poliziesco.
Dobbiamo invece dimenticare, come
dice il colonnello Bonnet, tutte le regole della guerra classica, oppure,
come dice LaCheroy, mettere da parte lo schema della casistica tradizionale
con i suoi cinquantamila temi tattici. Dobbiamo anche ricordare che la
guerra è in atto, che il comunismo l'ha portata in casa nostra. Non siamo
noi che lo diciamo, ma Stalin stesso quando nel 1950 affermava che la guerra
è in corso ed è quella « in cui muoiono americani, inglesi, francesi,
cinesi, coreani, indocinesi, turchi, indonesiani e uomini di tutte le razze
della Terra. Essa è già h atto in Corea, Indocina, Filippine, Indonesia ed
in qualunque strada. americana o europea e ciò nonostante, idioti! sono
capaci di chiederci se la guerra scoppierà o no ».
Proprio da queste parole di Stalin
scaturisce il significato della nostra lotta per sopravvivere, della «
guerra non ortodossa », come viene Chiamata negli ambienti atlantici, la
quale si ponga nelle condizioni di rispondere alla g.r. con metodo efficace
senza tradire i nostri principi.
Noi possiamo imitare la dinamica
della g.r., ma dobbiamo anche collocarci al di là o al di qua, a seconda
dell' angolo visuale dell'ideologia rivoluzionaria
Voglio dire, in sostanza, Che la
g.r. può essere considerata da un altro punto di vista, cioè sotto l'aspetto
che ha assunto la
guerra tout court nell'epoca
nostra per effetto di fattori umani, sociali, culturali, tecnici, fra loro
concorrenti. Il comunismo ha avuto l'abilità e la prevegenza di far sua
questa nuova dottrina di guerra, di adattarla al suo sistema, di applicarla
nel modo più efficace per la conquista del mondo. Assumendo questa posizione
obbiettiva, studiando il fenomeno freddamente come lo stratega militare
studia l'avversario per anticiparne le mosse e paralizzarne la volontà,
riconduciamo la g.r. nell'alveo della evoluzione dei concetti strategici.
Ciò tuttavia non ci esime dal sottolineare le conseguenze che ne derivano,
cioè che alle Forze armate debbono venire affidati compiti e funzioni
diversi e più ampi.
In altre parole, sul piano pratico,
dobbiamo smitizzare la g.r. toglierle il suo contenuto messianico, dobbiamo
in definitiva spoliticizzarla onde sceglierci gli strumenti per combatterla
che siano efficaci e legittimi quanto impiegati senza falsi
pregiudizi.
Intanto bisogna rivedere alcune
nozioni. Bisogna respingere la semantica marxista per non essere indotti in
errore. Il nostro obbiettivo non è la rivoluzione, è la pacificazione, cioè
un'operazione .che s'intraprende per contrastare e sconfiggere con tutti i
mezzi un'aggressione condotta contro l'uomo e la sua libertà.
Come la g.r. è guerra permanente e
totale e come tale respinge la pace, così la risposta deve essere
altrettanto permanente e totale e deve tener conto che, non per nostro
disegno ma perché ce lo impone il nemico, noi dobbiamo considerarci in stato
permanente di guerra, anche se qualche volta la lotta si presenta sotto
forma non militare.
Stando così le cose viene a cadere
la nozione di guerra preventiva ed ogni pregiudizio intorno ad essa. Quella
che si chiamava guerra preventiva nel tempo attuale è un'operazione
legittima e necessaria per allargare la sfera della nostra iniziativa
strategica, per prevenire l'attacco.
Un'altra nozione che va riveduta è
quella che si riferisce a quel tipo di libertà democratica per cui il nemico
ci combatte in nome di quei nostri principi, che egli distruggerà appena
avrà raggiunto il successo. Si tratta quindi di un atto di saggezza e di
giustizia togliere ai movimenti, ai
partiti ed ai gruppi al servizio della g.r. la libertà d'azione. .
In questo quadro, prevenire vuole anche dire rispondere ad un pericolo
reale e non immaginario, vuoI dire accettare e trarre le conseguenze della
distinzione politica fra le forze e gli ambienti al servizio della g.r. e le
altre forze. Radicalizzare la lotta è il modo più corretto per impostarla a
nostro vantaggio. D'altra parte da quella distinzione può sorgere finalmente
quella omogeneità politica che precede e prepara la formazione di un fronte
ideologico compatto sul quale basarsi per contrapporsi alla compattezza
dell'ideologia comunista.
Prevenire vuole anche dire
prevedere. La scienza della previsione assume un'importanza determinante,
non soltanto per la conoscenza delle mosse del nemico ma anche per tenere
sotto controllo i fenomeni politici, economici e sociali che si possono
verificare all'interno del nostro sistema libero e dei quali se ne possono
avvantaggiare i dirigenti della g.r. Perciò la previsione è un fattore
preminente della risposta politica alla g.r. e della corsa verso lo sviluppo
degli strumenti scientifici e tecnici che ci conferiscono un margine
vantaggioso di potenza. Nel contesto della g.r. la previsione è un
atteggiamento di difesa strategica ed è un
compito che deve essere collocato
al più alto livello politico.
Prevenire vuoI dire ancora
cautelarsi contro gli attacchi di sorpresa, esterni ed interni, onde
preparare uno strumento militare
adeguato alle tecniche ed ai
procedimenti della g.r. Uno strumento che comprende la creazione di gruppi
permanenti di auto?
difesa che sappiano contrastare la
pene trazione avvolgente, clandestina o palese, della g.r. e non esitino ad
accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l'energia e la
spregiudicatezza necessaria.
Infine, trattandosi di una guerra
totale che si svolge su tutti i piani ed è minacciosa proprio per il suo
potere di penetrazione all'interno del nostro mondo che vuole aggredire,
prevenire significa anche mettersi in condizione di portare l'offensiva
nelle zone controllate dal nemico e nel cuore dell'apparato offensivo
nemico.
Questo aspetto della risposta alla
g.r. meriterebbe di essere trattato a parte. Perché la lotta a tutti i
livelli e su tutti i piani deve essere sempre offensiva ed implacabile. Il
nemico deve essere incalzato dovunque, combattuto e distrutto. La g.r. è una
mischia continua e guai rallentare la guardia, lasciarsi distrarre dalle
parole di tregua o di pace del nemico. Non esiste una vera e netta linea di
demarcazione tra le parti. La g.r. ha reso i confini convenzionali o
artificiali, il vero confine della g.r. passa dentro l'uomo.
In pratica si è visto che i
comunisti non sono impacciati molto dalla creazione di linee artificiali di
demarcazione, come in Corea, in Indocina, in Germania. La fonte del diritto
per i comunisti è la rivoluzione e non i patti sottoscritti. Metterei nella
prospettiva della g.r., significa accettare questa realtà e condurre una
lotta offensiva senza quartiere su tutta la profondità del campo nemico,
contro l'agente provocatore che sta vicino a noi, contro l'apparato di cui
fa parte, contro il dirigente comunista locale e contro i suoi capi che
stanno a migliaia di chilometri di distanza.
La guerra tradizionale affermava
che la migliore difesa è l'offesa; la risposta alla g.r. è efficace soltanto
se ha carattere permanen-temente offensivo. Perciò anche le nozioni di
offesa e difesa vanno rivedute, in quanto in un certo senso questi termini
si sovrappongono e comunque non hanno soltanto un contenuto militare, ma un
contenuto più ampio in cui la componente militare non è la più importante.
Se vogliamo usare il vecchio vocabolario, possiamo dire che nella nozione di
offesa si racchiudono tutte le fasi dell'esecuzione, nella nozione di difesa
si riassumono le fasi della preparazione. La quale ultima, come già ho
accennato, è la più importante per la condotta di una lotta lunga e
destinata a riprodursi in molte parti del mondo in forme più o meno acute.
Anche la nozione di combattente
assume un significato nuovo. Il combattente non può ignorare, sia esso
civile o militare, che le armi puntate contro di lui o contro coloro che
deve proteggere, sono quelle della g.r.; dall'arma che uccide, alle armi più
insidiose e più pericolose, dell'infiltrazione ideologica, politica,
operativa, dell'agguato, dell'inganno, del terrorismo, della propaganda e
della minaccia, della sovversione morale, della corruzione.
Sarebbe un errore fondamentale
credere che l'uomo, catturato dal comunismo, sia conquistato da un'altra
«religione », sia il soldato di un altro patriottismo ideale. I comunisti
non vogliono dei convertiti, ma degli strumenti obbedienti e senz'anima per
attuare la g.r.
Da ciò scaturisce che l'elemento
uomo, strumento e non soggetto della g.r., è un'arma e che l'impiego di
quest'arma conseguentemente non è impacciato da considerazioni
morali o spirituali. Un procedimento, dunque, che dal nostro punto di vista
èsleale e immorale e che ripugna soprattutto al carattere del militare, più
pronto a confrontarsi sul campo di battaglia che in una lotta in 'cui il
nemico mette in ridicolo e disprezza i valori a cui il soldato è votato. In
altre parole anche la nozione che racchiude
il concetto di cittadino armato
assume un significato nuovo. Perciò il soldato non può ignorarlo e deve
sentirsi protagonista della risposta alla g.r., non tanto per il fucile che
porta, quanto per la sua forza interiore; deve insomma avere un ,carattere,
una morale, una dottrina adatte per portare l'offesa sullo stesso terreno
del nemico.
IL SOLDATO CONTRORIVOLUZIONARIO
Forse in questo confronto fra la
personalità del soldato del mondo libero e l'agente della g.r. il quale ha
rinunciato alla sua personalità per abbassarsi al livello di un cieco
strumento, sta la realtà della risposta alla g.r. e la sua concreta
possibilità di una risposta vittoriosa. Il soldato che ha compreso questa
realtà, non si distingue per l'uniforme che porta, ma per la maggiore
fermezza delle sue convinzioni interiori; saprà, se necessario, diventare
un soldato della clandestinità di cui conosce le regole rigorose; saprà far
di sé stesso un'arma quando proiettato nella dimensione della g.r., conservi
intatti i valori dello spirito. Infatti il soldato non difende soltanto il
territorio, ma difende un'idea, la libertà, i valori dello spirito, in una
parola: l'uomo.
Di conseguenza la funzione militare
non è più soltanto quella di organizzare un apparato per la difesa fisica
dello Stato, ma assume anche il compito della condotta di una guerra contro
un nemico che ha per obbiettivo la conquista ed il controllo della
popolazione.
Ovviamente bisogna trovare altre
basi alla organizzazione militare. Non sto qui ad insistere su questo
problema ed esso si affaccerà più avanti, ma è evidente che si verifica una
sovrapposizione delle due nozioni del soldato e del cittadino, anche questo
permanentemente mobilitato almeno sul piano morale. Dirò soltanto che
l'occidente ha potenzialmente nel suo arsenale un uomo spiritualmente più
ricco, il quale può aver ragione del nemico che ha degradato l'individuo ad
un frammento della massa. Si tratta però di mobilitario, nel senso
più nobile della parola, per farne il protagonista della vittoria e della
pace.
Rimarrebbe ora anche da vedere come
l'occidente può preparare l'elemento umano per affrontare la g.r. senza
tradire le proprie convinzioni. Non ho la presunzione di rispondere ora a
questo fondamentale interrogativo. Mi limito a porre il problema, che è
morale e tecnico, ed affidarlo all'attenzione vostra, sicuro che nel corso
dei lavori di questo Convegno esso sarà considerato, sì da porre le
fondamenta per un più approfondito esame.
D'altra parte mi sembra che questo
problema, a causa della sua importanza, meriterebbe una trattazione a parte
ed io faccio voti affinché esso sia l'oggetto di un prossimo convegno.
Consentitemi tuttavia di fare alcune considerazioni generali.
Si tratta prima di tutto di
convincersi che si è in stato di guerra e, se le finalità sono diverse, i
mezzi di lotta debbono comunque essere scelti sulla base della realtà che ci
propone la guerra rivoluzionaria. Quindi stabiliamo subito che non vi è
alcuna differenza morale nel colpire il nemico con quelle armi che si
dimostrino efficaci. La lotta ravvicinata ci impone i metodi che le sono
propri: combattere la sua ideologia con i nostri temi ideologici; disarmare
il nemico psicologicamente per minarne il suo orgoglio; se occorre
eliminarlo con azione isolata con lo stesso criterio che si userebbe sul
campo di battaglia. Una delle caratteristiche della g.r. ed ovviamente
della risposta ad essa, ci consente spesso di scegliere il nemico da
abbattere ed è naturale che è più redditizio eliminare un capo che un gruppo
di gregari, anche se l'azione in sé ha più l'apparenza di un attentato
sleale che-di una battaglia leale.
Ciò premesso, la cosa più
importante è educare il soldato a questo tipo di guerra. Ed allora bisogna
distinguere due momenti:
l'educazione morale e
l'addestramento tecnico. L'educazione morale si ottiene indicando
chiaramente gli obbiettivi, sottolineando la differenza che passa fra i
nostri e quelli degli avversari. In realtà questo aspetto dell'educazione
dipende molto dal clima in cui si vive; vale a dire che tale educazione
appartiene in primo luogo all'insegnamento pubblico, scaturisce dall'impegno
con cui tutta la società nazionale è sollecitata a mantenersi unita, legata
alla sua storia ed alle sue tradizioni. In altre parole è questa opera di
governo o, per lo meno, un'azione che può essere svolta dalle istituzioni
che sono le più sensibili custodi dei valori fondamen_li, in prima fila le
Forze armate. .
Una carica morale di livello
elevato è la premessa per un addestramento che sia efficace ed una garanzia
che l'addestramento tecnico non abbia fine a sè stesso. Tant'è vero che
l'addestramento tecnico non è che la continuazione dell'educazione morale.
Questa non soltanto conferisce al soldato l'éntusiasmo necessario per
accettare di essere educato al rischio ed alle fatiche, ma lo garantisce di
saper valutare e controbattere l'aggressione della propaganda aggirante,
dell'insidia ideologica, dell'agguato psicologico.
Guardando il problema da questo
doppio punto di vista, che è il modo corretto per porcelo, è evidente che il
soldato di oggi, ed intendo quello della guerra non ortodossa, deve essere
un soldato di élite, un individuo preparato anche culturalmente, dai
riflessi pronti sia per sottrarsi al nemico che gli tiene il fucile puntato
sulla schiena, sia per comprendere all’istante dove si cela l’insidia
morale. Il soldato della guerra non ortodossa se vuole raggiungere la
coscienza del pericolo, deve essere convinto della propria giusta causa e
deve essere ideologicamente preparato per comprendere il valore politico del
suo dovere. Perciò egli deve essere informato degli scopi strategici e
tattici che si vogliono raggiungere onde avere sempre coscienza delle sua
azioni e delle iniziative. Egli deve essere e sentirsi un protagonista
cosciente e non uno strumento cieco di guerra. Ed in ciò sta l’essenziale
della differenza che passa tra il soldato della libertà e l’agente della
g.r.
Sinora l'occidente ha dimostrato
scarse attitudini a porsi ed a risolvere i problemi di fondo della risposta
alla g.r.; benché non abbia trascurato completamente di prendere
provvedimenti .nel campo pratico. Mi limiterò a fare alcuni cenni in
proposito.
In senso generale la preparazione è
stata frammentaria e non poteva essere diversamente. In alcuni paesi il
problema è stato più studiato che impostato, più teorizzato che risolto. In
altri non si è fatto nulla ed i governi hanno dato dimostrazione di abulia,
seppure non sono già strumenti inconsapevoli della g.r. marxista. In questi
ultimi ufficialmente il problema della g.r. viene ignorato, e non è sempre
facile sapere se ciò avviene perché i governi mancano di idee e di
decisione, o se sono ormai paralizzati dalla paura, infiltrati di agenti
comunisti, debordati dalle quinte colonne. Comunque il loro atteggiamento
non ha scusanti; non si tratta soltanto di un errore, ma di una colpa che
rasenta il crimine. .
Non ci rimane dunque che guardare
nella direzione dove è stato fatto qualcosa di positivo. Abbiamo visto che
nella g:r., cioè guerra totale e che comprende tutti i tipi di conflitto, si
possono distinguere tre momenti: la minaccia atomica, la minaccia di
un'aggressione caratterizzata condotta con mezzi tradizionali, la minaccia
sovversiva. Questi tre momenti, come abbiamo visto, possono compenetrarsi,
sovrapporsi, susseguirsi. Questa distinzione è il modo tecnico di
presentarsi del problema ed è in questo modo" che l'occidente ha impostato
la sua organizzazione.
Per quanto riguarda la minaccia
atomica, l'America protegge se stessa e, nel limite delle sue valutazioni, i
paesi alleati. L'America ha anche sviluppato un apparato convenzionale di
grande potenza e mobilità per affrontare le aggressioni locali. Inoltre ha
addestrato alcune divisioni alla guerra sovversiva. Da questo punto di
vista il quadro dell'apparato americano appare completo.
Indubbiamente i problemi dell'
America sono unici, ma è anche vero che ancor più che sull'organizzazione
delle forze militari, la risposta dell'America alla g.r. riposa
essenzialmente nella sua superiorità di potenza ed in altri fattori che
possiamo chiamare per comodità geopolitici. L'America può ancora arretrare
ed abbandonare zone periferiche senza perdere nulla di sostanziale della sua
capacità di reagire. Ma va anche detto che il suo dispositivo non è stato
studiato nel quadro di una politica globale ed avveduta, sicché da questo
dispositivo l'America non ha tratto grandi vantaggi. Tant'è vero che, contro
la volontà dell'America ma anche a causa dei suoi errori, la g.r. sinora ha
potuto aggirare la potenza americana e l'area della g.r. si è
estesa. '
D'altra parte le divisioni
specializzate per la guerra sovversiva forse possono servire all'America per
coprire il suo perimetro strategico, tanto più che all'interno i pericoli
di sovversione sono abbastanza limitati. Ma sarebbe un errore di grammatica
rivoluzionaria credere che un addestramento militare speciale, anche
il più spinto, sia sufficiente per paralizzare i tentacoli della g.r.
L'avere soldati rotti a tutte le fatiche, addestrati alla lotta corpo a
corpo, dotati di mezzi tecnici imponenti può servire per arginare in difesa
la g.r., non per vincerla. Il fucil_ che spara in curva, 1(' macchine della
verità al seguito delle truppe operanti per interrogare i prigionieri, la
ricchezza e la modernità dei mezzi di trasporto e di comunicazione, sono
strumenti incompleti per vincere una guerra del tipo vietnamita, perché il
Vietnam è solo un episodio di quel conflitto universale che si chiama g.r.
Non può essere messo in discussione il valore fisico e morale dei soldati
che combattono questa guerra a migliaia di chilometri di distanza dalle
proprie case, una guerra per loro quasi astratta. Come non può essere messa
in discussione la forza morale del popolo americano che accetta di far
morire i suoi figli per una causa che, seppure è anche la sua, ha tuttavia
contorni imprecisi. Anzi credo che si debba qui riconoscere il valore dei
soldati americani e la forza morale del popolo americano. E mi pare anche
necessario farmi interprete presso di voi di un certo sentimento di
rammarico, nel constatare che i soldati italiani ed europei non abbiano
trovato l'occasione di mostrarsi solidali con la loro presenza fisica
accanto ai soldati americani. Questa solidarietà concreta sarebbe un fattore
decisivo per la creazione di quella omogeneità spirituale ed ideologica che
è il fondamento per vincere la g.r.
Tuttavia, nel quadro della g.r., i
soldati « tradizionali » quali sono quelli americani nel Vietnam, rispondono
ad una concezione limitata della risposta occidentale, perché sono una
risposta militare ad un'offensiva che è invece globale. L'utilità della
presenza di truppe speciali rimane circoscritta ad un intervento decisivo in
un episodio circoscritto e come tale è indubbiamente efficace, ma rimane
ancora fuori della dimensione della g.r. In altre parole la bivalenza di
queste truppe speciali addestrate per una battaglia tradizionale e per una
guerra sovversiva, rappresenta una soluzione del problema militare, ma non è
che una componente o un surrogato di una concezione più ampia che valga a
far fronte alla polivalenza ed alla universalità della g.r.
Questo accenno alla guerra del
Vietnam ed ai mezzi ed agli obbiettivi degli americani è naturalmente
incompleto. Nel corso del dibattito l'esame della situazione vietnamita si
ripresenterà ed offrirà l'occasione di maggiori ragguagli, specialmente per
quel che riguarda il. più recente sviluppo della strategia americana in
rapporto alla dottrina dell'« escalation ».
La Francia è la nazione dove, per
molte note ragioni, si è più teorizzato sulla g.r. e dove, oltre che in sede
accademica, esistono dei propositi coerenti. L'orientamento militare del
recente ordinamento francese, seguendo i criteri di cui si è detto prima, si
pone su tre dimensioni: una forza di dissuasione, una forza d'intervento,
una forza per la difesa territoriale. In quest'ultimo si può vedere
abbozzata l'organizzazione dei gruppi di autodifesa che hanno la possibilità
di combattere al livello capillare la forma più tipica della g.r., cioè la
guerra sovversiva. Purtroppo che ai propositi non corrisponde completamente
la realtà. Ponendoci dal punto di vista della risposta alla g.r., la
politica estera della Francia è per lo meno discutibile ed è il minimo che
si possa dire. Alla sua vocazione mondiale, corrisponde una valutazione
errata del vero significato della g.r. Quando si afferma che i regimi
passano e le nazioni restano, si dimentica che le nazioni possono. morire ed
anche le civiltà, come diceva Paul Valéry, possono. scomparire; e nel
contempo si sottovaluta l'obbiettivo della g.r. che è di distruggere i
nostri valori umani. Non vado lontano dal vero affermando che la maggioranza
dei francesi respinge l'idea di rimanere una grande nazione diventando
comunista, sempre che si ammetta che nazione e comunismo possano
conciliarsi.
Ma, a parte questa riserva
fondamentale, aggiungiamo che la forza di dissuasione francese va collocata
in un impreciso futuro, che l'apparato. convenzionale d'intervento è stato
sacrificato alla creazione della forza di dissuasione e che l'organizzazione
territoriale è sinora soltanto attuata sulla carta.
. Vi faccio grazia di prendere in
esame gli altri paesi europei. Diciamo soltanto che ognuno ha condizioni
particolari, che l'unico. fatto che li accumuna sta nella dipendenza
strategica dall' America, che l'unica speranza che hanno è quella
dell'unione. Infatti solo, l'Unione europea potrebbe offrire le basi per una
concreta risposta alla g.r., sempre che l'unione sia il frutto di un atto di
coscienza dello stato di pericolo a cui siamo arrivati per effetto della
g.r.
PARTE TERZA
Siamo giunti alla terza parte di
questo esame 'e vorrei vedere il problema della risposta alla g.r. in
riferimento all'Italia. Non starò a dire né dei motivi né della gravità del
pericolo che la g.r. rappresenta per noi, dato che non soltanto abbiamo il
privilegio di avere il partito comunista più forte del mondo libero e di
essere collocati ai confini di uno Stato d'ispirazione comunista, ma anche
di constatare che i comunisti sono arrivati nell'anticamera del governo.
Non ho intenzione di parlare, né della politica in generale, né della
politica interna ed estera dell'Italia ad un uditorio cosi qualificato e più
informato di me. Lasciamo dunque il dato politico italiano, il quale, da un
certo punto di vista, non è molto differente, se non in peggio, da quello
degli altri paesi europei alleati. Ciò equivale a dire che intendo far
astrazione da quel contesto delle decisioni politiche che sono necessarie
per porre la nazione all'ora della g.r. Ciò non è pertinenza di questo
Convegno ed in materia noi dobbiamo solo prendere atto che l'Italia è una
nazione ufficialmente schierata nel campo avverso al comunismo ed è
parimenti uno degli obbiettivi, forse uno dei più deboli, della g.r.
comunista.
Pertanto voglio vedere il problema
esclusivamente sotto lo aspetto organizzativo; alla ricerca di un
orientamento che nelle condizioni attuali sia il più efficace. In proposito
notiamo subito che l'Italia rimane un paese atlantico, vale a dire che la
sua volontà strategica si rispecchia in quella delle sue alleanze. A
ciascuno il suo compito, ed a noi il nostro con i nostri limiti. Orbene in
questa volontà strategica comune, esiste un compito. strategico che
implicitamente l'alleanza ci conferisce ed è quello d'impedire che il
comunismo in Italia avanzi, paralizzi questo scacchiere dell'alleanza ed
alla fine possa cadere sotto i colpi della g.r. È amaro constatare che
questo unico ed essenziale compito strategico a noi affidato non ha trovato
riscontro adeguato. La situazione italiana, parlando in termini di
responsabilità atlantica, dimostra chiari segni di sgretolamento sotto i
colpi ,della g.r. ed ha oltrepassato i limiti di sicurezza strategica.
Sia ben chiaro che questo mio
giudizio non ha un contenuto militare, perché, anzi, parlando in termini
militari, il nostro apparato difensivo è in paragone ai mezzi ed alle
opportunità offerti dalle decisioni politiche, solido, valido, ricco di
spirito innovatore, ben oleato e convenientemente attrezzato.
Tale stato di fatto rappresenta una
speranza concreta alla quale si aggrappano gli italiani affinché la Nazione
non sia soffocata dai tentacoli della g.r.
Ma noi dobbiamo vedere il problema
della nostra posizione di fronte all'avvolgente minaccia della g.r. da un
altro punto di vista, cioè di quelle scelte e di quelle decisioni che
possono alimentare la risposta alla g.r., tenendo conto delle nostre
possibilità politiche, economiche, finanziarie.
La minaccia, come si è detto
e ripetuto, è globale e totale. Schematicamente si può prevedere un attacco
nucleare, un attacco tradizionale alla frontiera orientale con lo
sbarco in profondità di truppe aviotrasportate, una guerra sovversiva.
Consentitemi di ripetere che questa distinzione va vista nel quadro della
g.r. e cioè che gli atti ostili possono essere anche contemporanei e
che comunque si verificherebbero tentativi di sovversione. Insomma noi ci
troviamo di fronte agli stessi problemi che ha tutto l'occidente con
qualche preoccupazione di più all'interno. Alla domanda se noi siamo in
condizioni di organizzarci su queste tre dimensioni, la risposta è no.
Noi non abbiamo un armamento nucleare, ed infatti ci affidiamo al
deterrente americano nel quadro della Alleanza Atlantica. Noi. abbiamo un
apparato convenzionale per una guerra tradizionale, la quale è poco
probabile. Per quanto si riferisce poi alla risposta alla guerra sovversiva,
manifestazione caratteristica della g.r., il nostro apparato rappresenta
indubbiamente un deterrente, ma non uno strumento ad boe. In
linea di principio occorrerebbe crearlo, come è nei progetti
francesi, onde affrontare la terza dimensione della g.r. Ma si tratta di
un'organizzazione costosa, ci vorrebbero mezzi finanziari più ampi di
quelli di cui l'Italia può disporre. Le autorità militari hanno dimostrato
sensibilità di fronte a questo problema ed hanno conferito la massima
importanza sia alla flessibilità del dispositivo, sia al fattore uomo, alla
formazione del suo carattere, al suo addestramento, alla sua solidità
morale, al suo spirito d'iniziativa individuale e di devozione al dovere. I
risultati raggiunti appaiono eccellenti. Ma manca un organismo di fondo che
abbracci la situazione e la ponga in termini realistici per affrontare la
terza dimensione della g.r.
Allora dobbiamo chiederci se,
mancando i mezzi per questo doppione dell'apparato bellico, si possa
guardare in un'altra direzione. È inutile nasconderci che in Italia la
guerra sovversiva rappresenta un pericolo maggiore di un conflitto
tradizionale. Perché, allora, stando così le cose non si fa una
scelta radicale orientando il nostro apparato bellico più in questo senso
che in quello tradizionale? Non è qui mio proposito scendere ai dettagli, ma
per far comprendere il mio pensiero vorrei accennare ad alcune conseguenze
che deriverebbero da una simile trasformazione. Innanzi tutto
un'organizzazione siffatta copre tutta la nazione in modo tale che tutti i
cittadini sono nelle liste di mobilitazione e distinti per le loro
attitudini non soltanto militari. È cosi possibile fare una scelta di coloro
che debbono formare i gruppi di autodifesa. Gli Stati maggiori possono
essere misti, cioè assistiti da civili. L'armamento tradizionale viene
ridimensionato, sacrificando almeno una parte dei mezzi pesanti, per
formare gruppi di commandos e gruppi di combattimento flessibili,
celerissimi, dotati di mezzi di trasporto e di comunicazione abbondanti ed i
più moderni.
Se il nemico attacca la frontiera,
non si accetta la battaglia in senso tradizionale, lo si lascia avanzare per
strozzarlo, scontando le perdite che si subirebbero in un urto frontale
con le perdite che si avrebbero in un tempo più lungo nel corso della
offensiva logorante di tipo della g.r. Con molta probabilità le
nostre perdite sarebbero meno gravi in uomini ed in ricchezza distrutta.
Nelle zone controllate dal nemico il nuovo apparato reagisce piombando nella
clandestinità e si avvale delle basi rimaste sicure e delle basi logistiche
clandestine predisposte, e si organizza per logorare moralmente e
fisicamente il nemico. La marina trova in questo quadro una funzione
insostituibile come strumento che sfugge all'insidia e che invece
può portare l'insidia, collegando ed alimentando i vari fronti della lotta.
Altrettanto si dica dell'aviazione che per queste missioni particolari
potrebbe impiegare mezzi rustici poco costosi. Voglio accennare anche
alle conseguenze di ordine morale di questa trasformazione, perché è
evidente che il cittadino, ed intendo ovviamente il cittadino leale,
troverebbe il clima adatto a fare il suo dovere ed a farlo nel campo che è
più vicino alla sua professione ed alle sue attitudini. Cosicché. l'agente
della g.r. può essere paralizzato, la popolazione rimane sotto il controllo
morale delle forze della legge e le forze nemiche non alimentate e
combattute sullo stesso loro terreno si ridurrebbero a quella minoranza che
di fatto sono. Sono schematici suggerimenti che propongo alla vostra
attenzione.
Io ho finito e vi chiedo scusa se
ho abusato della vostra pazienza. Vorrei soltanto pregarvi di credere che ho
cercato di far apparire la g.r. per quello che è, cioè un pericolo immanente
ed immediato per tutto l'occidente e per noi in particolare. I concetti
che io ho esposto mi appartengono e
vi prego di discuterli, di criticarli o di respingerli e, se alcuni tra essi
vi paiono degni di
essere accettati, vi prego di
svilupparli ed approfondirli. Noi siamo tra uomini liberi ed accettiamo
tutte le opinioni, escluse quelle degli agenti della g.r. comunista. Tali
opinioni si combattono, per difendere i valori ai quali crediamo, la nostra
civiltà cristiana ed europea, la Patria, alla quale, malgrado tutto,
continuiamo a credere.
PARTE SECONDA >>
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