<< INDICE

PARTE SECONDA >>


PARTE PRIMA


Lineamenti ed interpretazione storica della guerra rivoluzionaria

Relazione di ENRICO DE BOCCARD

______________________________________

Il mondo è oggi teatro d'una lotta spietata tra l'Occidente e il mondo comunista. Questa lotta rappresenta il fenomeno politico essenziale del XX secolo. Tutte le nazioni vi partecipano perché con il comunismo non esiste alcuna possibilità di negoziati o di neutralità: o si è con lui o contro di lui...

Per conseguire i loro scopi Mosca e Pekino dispongono a lato di quell' arma classica che è costituita dalla guerra convenzionale, di due armi nuove: la guerra atomica e la guerra rivoluzionaria.

La guerra atomica è nata dal progresso scientifico. Essa possiede tuttavia la stessa natura fondamentale della guerra convenzionale: si tratta infatti di una guerra di distruzione materiale, di cui l'inizio e la fine ricevono una consacrazione ufficiale. L'unica differenza risiede nella vastità delle distruzioni ottenute. Queste distruzioni in effetti si trovano per la prima volta nella storia al livello planetario. È questa vastità stessa che rende la guerra atomica sempre meno probabile (visto e considerato che sempre più appare diffondersi il generale convincimento che essa equivarrebbe ad un suicidio collettivo), Lo stesso può dirsi ormai a proposito della guerra convenzionale, posto che il passaggio dall'una all'altra di queste forme di guerra sarebbe presso a poco inevitabile nel caso d'un conflitto armato fra grandi potenze.

 Di tutt'altra natura è la guerra rivoluzionaria.

Quest'ultima forma di guerra è il prodotto più raffinato della dottrina marx-leninista. Essa consiste in una disgregazione generalizzata della società provocata grazie ad una tecnica incomparabilmente perfezionata di sovversione appoggiata dal terrore.

La guerra rivoluzionaria utilizza tecniche a lungo sperimentate e collaudate dalle organizzazioni clandestine, d'agitazione e di propaganda: la guerra rivoluzionaria non rispetta alcuna legge.

Questa guerra, per definizione è totale. Essa viene perciò condotta ormai su tutti i fronti: sul fronte politico, sul fronte militare, sul fronte economico, sul fronte sociale e anche sul fronte dell' arte e della cultura. È una guerra che si combatte nelle officine ma anche all'Università.

Per quanto ciò possa apparire straordinario l'esistenza di questa guerra rivoluzionaria alla quale l'Occidente è sottoposto senza interruzione, è alle volte messo in dubbio. Eppure contrariamente a quanto può apparire, la guerra rivoluzionaria costituisce per l'Occidente una terribile minaccia. Se infatti la guerra atomica colpisce le persone fisiche ed i beni materiali, la guerra rivoluzionaria ha come bersaglio le anime stesse degli uomini, la struttura stessa della società.

.. Inoltre, mentre la guerra atomica e la guerra convenzionale non possono essere condotte che apertamente ed ognuno può prevederne le conseguenze, la guerra rivoluzionaria matura nella clandestinità e si sviluppa nel modo più insidioso; soltanto gli specialisti riescono a riconoscerne il vero volto.

Ma c'è di più. Lo spettro delta guerra atomica abilmente evocato dal mondo comunista cristallizza l'angoscia dell'Occidente, 'costringe quest'ultimo a lanciarsi in una corsa agli armamenti le cui ripercussioni economiche e sociali sono molto gravi e soprattutto distrae l'attenzione dell'Occidente dall'autentico' pericolo che lo minaccia. L'utilizzazione di ciò che potremmo definire «l'arma rivoluzionaria» presenta quindi per Mosca e per Pekino dei vantaggi  enormi.

I comunisti sono inflitti i soli che sanno e possono servirsi di questa arma ed i loro avversari non sanno come difendersi. Possono anzi, i comunisti, per un supremo inganno, ed invocando questi stessi principi che sono cari ai loro avversari, condannare -!'impiego di altre armi. Diventa allora per i comunisti un gioco da bambini, trovandosi di fronte ad avversari. presso. a poco disarmati, di attuare i loro piani.

Questa strategia della guerra rivoluzionaria comunista è squisitamente offensiva. Mosca ha stabilito una volta per sempre, in modo irrevocabile, il suo obiettivo strategico: la conquista del .mondo. E per raggiungere questo obiettivo Mosca dispone, in seno stesso ai paesi stranieri come alleati, dei partiti comunisti, questi veri e propri cavalli di Troia dell'era moderna. Al contrario la tattica dei comunisti è di una estrema flessibilità. È una tattica che sa piegarsi e adattarsi a tutte le condizioni del momento.

 

LE TESI DI UN ESPERTO

 

Abbiamo voluto come introduzione a questo nostro discorso che, diciamolo subito, per forza di cose non potrà purtroppo essere breve, premettere un lungo estratto che ci siamo sforzati di tradurre interpretandone più lo spirito che la lettera e che ci siamo permessi in alcuni punti di aggiornare di un rarissimo opuscolo, pubblicato qualche anno fa clandestinamente, nel pieno della guerra d'Algeria.

Questo opuscolo è estremamente importante perché, a chiare lettere, reca il nome del suo estensore, il colonnello Antoine Argoud, una delle più serie, competenti e brillanti intelligenze, non soltanto militari, del nostro tempo.

Non sta a noi, e soprattutto in questa sede, di entrare in merito alle vicende interne di un grande Paese vicino. Solo possiamo e dobbiamo dire per testimonianza diretta, poiché i casi della nostra professione giornalistica ci hanno concesso l'onore di avvicinarlo più volte e di avere con lui diversi scambi di idee sui grandi problemi di fondo di questa torbida seconda metà del secolo, che il colonnello Argoud scelse una certa strada per un autentico assolutamente sincero amore del suo paese, cui si univa un amore altrettanto vero e profondo per quell'Occidente europeo e cristiano di cui tutti facciamo parte.

Per questo noi riteniamo che la definizione e la valutazione della «guerra rivoluzionaria» condotta dai marxisti in tutto il mondo non potevano essere meglio sintetizzate che in queste frasi scritte meditatamente da un uomo che piuttosto che rinunciare ai suoi convincimenti ha preferito barattare con una casacca da galeotto le stelle che stavano per giungergli di generale dell'esercito del suo paese.

In realtà, pensiamo che sarebbe difficile fornire una descrizione iniziale di quell'aspetto del « fenomeno guerra» che ci accingiamo ad intraprendere in forma più immediata e precisa di come ha fatto per l'appunto il colonnello Argoud in quel rarissimo opuscolo pubblicato alla macchia, proprio mentre il comunismo internazionale, con il pretesto di appoggiare un ambiguo movimento locale di «liberazione» nei dipartimenti francesi d'Algeria, stava conquistando, a pochi anni di distanza dalla sua prima grande vittoria riportata in Indocina, un'altra vittoria sull'Occidente. Una vittoria, se è possibile, ancora più pericolosa della precedente perché con essa gli strateghi della guerra rivoluzionaria riuscivano a disporre di una nuova, formidabile, testa di ponte per la loro azione sovvertitrice nel seno stesso del Mediterraneo; e cioè praticamente, per quanto ci riguarda, alle frontiere stesse dell'Italia,

Si è soliti, diremmo è di rigore, trattando di problemi connessi al «fenomeno guerra» citare, se non altro per conferire bene o male, alle proprie vedute una certa autorevolezza sia Machiavelli che soprattutto Clausewitz. Noi non intendiamo sottrarci a questa regola e non mancheremo, sia pure a ragion veduta, di farlo a tempo debito. Vorremmo ci fosse però consentito citare inizialmente poche righe dovute ad un altro autore, a no_tro avviso ingiustamente posto in secondo piano, se non nel dimenticatoio.

E ci riferiamo allo svizzero generale barone de Jomini, che fu come noto, un talento militare paragonabile a quello dello stes-so Napoleone. Scriveva dunque Jomini in una « avvertenza » premessa all'edizione belga del I838 del suo magistrale « Précis d'art de la guerre »:                                                                                            .

V'è forse una certa temerarietà nel pubblicare un'opera sulla guerra quando i-soli ad essere ascoltati sono gli apostoli della pace perpetua. Ma la guerra sarà sempre un male necessario, non soltanto per far grandi o salvare gli Stati, ma ancora per garantire il corpo sociale dalla dissoluzione.

Quante parole di Jomini rivestono tuttora un aspetto di straordinaria attualità, visto e considerato che una ondata di indiscriminato pacifismo sta investendo tutte le nazioni occidentali e segnatamente l'Italia. Dove, non senza turbamento, si assiste quotidianamente all'azione, con la parola e con lo scritto, anche di 'sacerdoti i quali, in nome di un ambiguo quanto opinabile « neoirenismo» vanno sostenendo la legittimazione dell'obiezione di coscienza e così facendo implicitamente tendono a distogliere i giovani dall'osservanza del primo precetto che obbliga i cittadini verso lo Stato e cioè quello di difenderlo in armi.

Non è nostro compito, in questa sede almeno, spingere più avanti l'indagine su questo deplorevole fenomeno.

Ma non possiamo non ricordare e quanti sembrano averlo dimenticato che è stato proprio Mao-Tze-tung, tanto vale cominciare a farne il nome, il quale, con piena competenza ed una sincerità di cui non c'è motivo di dubitare, ha scritto che: «La guerra è la formula suprema della lotta tra le nazioni, gli Stati, le classi, i blocchi politici: le nazioni, gli Stati, le classi e i blocchi politici utilizzano tutte le leggi della guerra per conseguire la vittoria ».

  

GUERRA IN COREA O TERZA GUERRA MONDIALE?

 Abbiamo insistito su questa visione della guerra come fatto tuttora ineluttabile perché si tratta di una realtà che è criminoso cercare di eludere, così come è puerile coltivare illusioni umanitaristiche al riguardo.

Era l'alba piovosa d'una domenica di I5 anni fa, quando il 25 giugno I950 i soldati sud-coreani dislocati alla meglio lungo la provvisoria frontiera segnata dal 38° parallelo scambiarono inizialmente per rumore del temporale che andava infuriando, lo improvviso e massiccio tuonare dei cannoni dell'« esercito popolare » della Corea del Nord.

Non appena, tramite il drammatico dispaccio inviato a Washington da John Muccio, ambasciatore degli Stati Uniti presso la R.O.K., la notizia di quanto stava avvenendo in Corea si diffuse attraverso la stampa e la radio di tutti i paesi, furono in molti a pensare che la terza guerra mondiale era esplosa su quel 38° parallelo, su cui del resto molta gente ignorava tutto. Al punto che in Italia ben pochi si ricordavano che il 38° parallelo passa anche per la Sicilia.

In realtà si potrebbe spostare la data della nascita della terza guerra mondiale in atto e farla risalire al 6 agosto del I945.

Fu in quel giorno, infatti, che venne per la prima volta impiegata - contro la città giapponese di Iroshima e provocando in

una volta sola circa I50 mila vittime tra la popolazione civile una nuova arma, quella atomica, destinata a modificare radicalmente la fisionomia di ciò che si è convenuto chiamare le leggi del «fenomeno guerra».

Insistiamo sull'aspetto prima di tutto psicologico, sui popoli e sui governi, della scoperta e dell'impiego delle armi atomiche. Il lancio della prima bomba atomica su Iroshima è riportato, infatti, essenzialmente per _'azione di choc da esso provocato sulla coscienza media dell'umanità. Così come comprova l'elevazione di questo tipo di armi ad ingrediente essenziale di una modernissima mitologia sui generis elaborata in sede letteraria e specialmente cinematografica.

Ora è vero che la bomba (all'uranio 235) sganciata sulla città cavia giapponese dalla superfortezza volante al comando del colonnello Tibbets distrusse una superficie di I.8 Kmq., uccise 80000 persone, ne ferì 70000 e rese inutilizzabili 65000 case d'abitazione sulle 9000 circa di cui si componeva l'agglomerato urbano di Iroshima. Ma è altrettanto vero che, per ottenere un con simile risultato con bombe di tipo convenzionale, sarebbe stato sufficiente sempre su Iroshima l'impiego di 210 apparecchi B29 ognuno provvisto di 10 tonnellate di bombe TNT.

Nel precedente mese di marzo I945, così, una forza aerea alleata di 279 apparecchi aveva compiuto una incursione su Tokio, impiegando I667 tonno di bombe convenzionali, conseguendo la distruzione di 6,I Kmq. della capitale giappol1ese e causando tra la popolazione 83000 morti (o dispersi) e 102000 feriti. Non risulta, tuttavia che gli effetti indubbiamente impressionanti

di questo o d'altri bombardamenti analoghi esercitino retrospettivamente una influenza di terrore in misura paragonabile a quella prodotta invece dall'esplosione dei due soli ordigni nucleari lanciati sul Giappone.                .

Senza voler ovviamente nemmeno in minima parte negare le straordinarie, terribili e reali possibilità operative al livello strategico ed al livello tattico delle armi termonucleari, ma volutamente prescindendo a questo punto dal loro aspetto squisitamente tecnico, ci preme però porre in rilievo come la pre-citata «paura atomica» delle masse sia essenzialmente determinata sul piano psicologico (o accettando per comodità un linguaggio di derivazione freudiana, su quello del « inconscio collettivo») dal carattere apocalittico e, di conseguenza, «magico» attribuito alle armi termo-nucleari dalle masse in questione. Per le quali, naturalmente, l'energia atomica è qualcosa perfino nelle sue grandi linee di totalmente incomprensibile. Ma alla quale vengono irrazionalmente e fideisticamente attribuiti a torto o a ragione tutti i più straordinari poteri.

In realtà una corretta dottrina della guerra termo-nucleare presuppone una formulazione logica del tutto differente, fondata per l'appunto in ciò che si conviene definire «logica nucleare ». Non è nostro compito, in questa sede, addentrarci in una analisi delle dottrine di guerra termo-nucleari, analisi oltre tutto resa estremamente difficile dalla rapidissima evoluzione delle dottrine tesse e dell'evoluzione della tecnica. Ci limiteremo a osservare che una efficiente dottrina di guerra non può assolutamente prescindere dalla esistenza e dalla possibilità di impiego delle armi termo-nucleari.

Lo sviluppo delle dottrine di guerre connesse all'impiego delle armi termonucleari fornisce comunque alcune interessanti concetti che possiamo considerare polivalenti nello studio del «fenomeno guerra» della nostra epoca. E' noto, ad es., che una delle espres-sioni più diffuse del linguaggio connesso ad una corretta logica della guerra termo-nucleare è quella cosiddetta del «gioco del chicken ». 

IL GIOCO DEL «CHICKEN»

 

La terminologia « gioco del chicken » è stata introdotta nella semantica termo-nucleare da Bertrand Russe!. Essa deriva da un gioco, estremamente pericoloso, praticato dai teddy-boys e dai giovani bruciati dei paesi anglosassoni. Questo gioco consiste nel scegliere un lunghissimo rettilineo stradale su cui spicchi ben visibile la riga bianca di mezzeria. I due giocatori prendono posto, a conveniente distanza, su due automobili situate in senso inverso e disposte in modo che ognuna abbia due ruote esattamente disposte sulla linea di mezzeria. Al segnale di partenza i due concorrenti mettono in moto le macchine e accelerano al massimo l'uno in direzione dell'altro, avendo sempre cura di conservare due ruote sulla linea bianca. Ad un certo momento ove uno dei due concorrenti non sterzasse bruscamente la collisione diventerebbe inevitabile. Vince, naturalmente, quello fra i due concorrenti che non sterza, dimostrando così la propria impassibilità di fronte alla eventualità della catastrofe. In quanto all'altro concorrente, quello cioè che si è tirato da parte per evitare lo scontro, esso, oltre al perdere ovviamente la gara, perde anche la faccia di fronte agli amici che lo fanno oggetto di dileggio, gridandogli per l'appunto « chicken »!

Si comprende agevolmente la analogia tra questo gioco e il conflitto in atto fra due grandi potenze, tutte e due fornite di armi termo-nucleari. È chiaro infatti che se una di queste due potenze desidera realmente di vincere, la migliore strategia consiste nel far capire che essa, in questo gioco del chicken al livello mondiale, non si tirerà indietro.

Date queste premesse può essere interessante osservare ...per inciso come si presenti davvero strano l'atteggiamento dei pacifisti di professione nei riguardi delle armi termo-nucleari. Contro le quali, come noto, si scatenano periodicamente campagne,

. petizioni, manifesti. In realtà codesti pacifisti, ove fossero ovviamente in buona fede, dovrebbero rallegrarsi dell'esistenza di armi che - con la loro sol presenza nei magazzini - contribuiscono senza alcun dubbio in modo determinante ad impedire l'insorgere di un conflitto mondiale generalizzato, secondo lo schema per esempio della la O della 2a guerra mondiale.

Vero è che le previsioni più volte avanzate, per cui la scoperta di armi di potenza sempre maggiore e sempre più terrificanti avrebbe finito con l'impedire praticamente la guerra, si sono dimostrate, alla stregua dei fatti, fallaci. Basti ricordare al proposito il caso avutosi nel secolo scorso di Jean Bloch, un israelita polacco, banchiere di professione e di vocazione pacifista. Il punto di vista di Bloch era non di sopprimere o limitare le guerre ma piuttosto di convincere le nazioni che la potenza sempre maggiore delle armi da fuoco aveva già di fatto eliminato la guerra come strumento giovevole dell'azione politica. Nel 1897 il Bloch raccolse il frutto dei suoi studi e delle sue delucidazioni in una ponderosa quanto caotica opera in ben sei volumi intitolata La guerra futura e le sue cooperazioni tecniche economiche e politiche. Sostanzialmente il pensiero del Bloch, quello cioè secondo il quale la guerra era ormai impossibile si fondava sul fatto che il progresso scientifico realizzato in tutti i campi avrebbe trasformato LI guerra stessa in un suicidio reciproco. In proposito il Bloch nel 1897 scriveva testualmente: «Il segno visibile che la guerra è finita è stata l'adozione generalizzata del fucile a ripetizione...

. Il soldato ha ormai perfezionato a tal punto la parte tecnica del massacro che si è ormai praticamente messo al sicuro dal massacro stesso ». Come è noto, infatti, dal 1897 a oggi non c'è stata più guerra nel mondo!

Fuori dagli scherzi, se è pure lecito scherzare in materia, occorre rilevare che le forme di guerra e le forme di condotta della guerra sia pure attraverso errori spesso tremendi si sono andate sempre adeguando ai tempi e alle possibilità di tutti i generi che i tempi stessi offrivano.

. E se ci è concesso di ritornare ancora una volta sulla esistenza, eh fatto insopprimibile, del « fenomeno guerra », ci permettere-mo di ricordare che la storia annota sino adesso l'esistenza fra i popoli di ben 8.000 trattati di pace. Ognuno dei quali naturalmen-te avrebbe dovuto, almeno in teoria, durare per l'eternità.

Una conseguenza, questa sì reale e non utopistica, di quel progresso scientifico e tecnico che era stato giustamente posto in luce dal Bloch, è stata invece la possibilità non già di ridurre i modi di manifestarsi del fenomeno guerra ma invece di moltiplicarli. Ci sono così, sotto il profilo operativo, diversi modi di condurre una guerra, anche prescindendo dall'impiego di arri nel senso classico di questo termine. E citeremo ad esempio le cosiddette « armi psicologiche» la cui gamma oggi è davvero impressionante. E di cui la radio e soprattutto la televisione sono le più efficaci e in certi casi decisive.  

UNA GUERRA TOTALMENTE RIVOLUZIONARIA

 Questa guerra, ideata dai comunisti e la cui dottrina scaturisce naturalmente dalla ideologia marx-leninista costituisce, va detto obiettivamente, una delle svolte più suggestive ed interessanti del pensiero militare di tutti i tempi. Essa è una guerra rivoluzionaria davvero in tutti i sensi e non solo per il fatto di presentarsi come lo strumento più adatto, flessibile, spaventosamente efficace per conseguire l'attuazione pratica a livello planetario della rivoluzione predicata dai marxisti. Ma è ancora di più rivoluzionaria per le radicali trasformazioni che essa ha apportato e continuamente apporta alla concezione stessa del « fenomeno guerra» ed alle tecniche di combattimento in tutti i campi.

Soprattutto occorre tenere presente che la g.r. è una guerra totale, che si esercita cioè non soltanto sui corpi ma anche sulle anime. In riassunto il termine rivoluzionario applicato a questa guerra, davanti alla quale i paesi non comunisti appaiono spaventosamente impreparati significa:

a)      condotta rivoluzionaria della guerra;

b)      armi rivoluzionarie per la guerra;

c)       obiettivo rivoluzionario della guerra.

Il principio base della guerra rivoluzionaria deriva da un ulteriore approfondimento della precitata massima di Clausewitz. Se infatti egli diceva: «La guerra 'non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi », Lenin ha scritto: «la politica non

è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi».

Ne consegue un nuovissimo obiettivo per il fenomeno guerra. Se prima lo scopo principale di un conflitto armato era la conquista materiale del territorio del nemico, l'annientamento parziale o totale del suo potenziale bellico (non soltanto militare ma anche industriale ed economico), e l'imposizione di una pace vantaggiosa, la g.r. ragiona in termini totalmente diversi. Per i teorici della g.r. ciò che conta infatti prima d'ogni altra cosa .non è più la conquista del terreno del nemico ma la conquista dell' animo delle popolazioni che ivi risiedono. Lo scopo finale della g.r. non è dunque quello di concludere una pace vantaggiosa con l'avversario vinto. E non è nemmeno quello di imporgli un governo più malleabile. Lo scopo finale della guerra rivoluzionaria consiste infatti non soltanto nel totale annientamento del regime politico e delle istituzioni politiche dell'avversario ma nella trasformazione in senso comunista della forma di società in cui è organizzato I l'avversario stesso.

Ci sia concesso di anticipare qui, riallacciandoci a quanto detto poc'anzi e sempre allo scopo di fugare un equivoco in cui molti facilmente cadono, che la g.r. non va confusa con la guerriglia di tipo classico. Ma la guerriglia è soltanto una delle infinite possibilità tattiche della g.r. Conseguentemente non è possibile comBattere, da un punto di vista difensivo, una guerra condotta con i principi della g.r. ricorrendo, quando ci si trova di fronte anche ad una attività di guerriglia, semplicemente ai metodi classici della contro-guerriglia; si sarebbe battuti in partenza.

È infatti per non aver chiaramente compreso sin dall'inizio questo concetto che la Francia ha rovinosamente perduto la guerra di Indocina, che possiamo considerare come la prima manifestazione ad alto livello della g.r. nel quadro del terzo conflitto mondiale in atto. È per questa ragione che gli Stati Uniti si trovano tuttora impegnati nelle crescenti difficoltà derivanti dalla

. g.r. nel Vietnam. Analogamente quella sconfitta e queste difficoltà, così come altre passate o future sconfitte, si debbono attribuire ad una imperfetta conoscenza del carattere totale della g.r. Perché, non ci stancheremo mai di ripeterlo, la g.r. è una guerra totale. Più totale ancora di una eventuale guerra termo-nucleare:

poiché quest'ultima distruggerebbe soltanto la materia, mentre la g.r. distrugge o peggio ancora trasforma la coscienza dell'uomo.

  

IL COSIDDETTO «SENSO DELLA STORIA»

 

Fu dunque in Indocina che per prima la Francia ebbe a scontrarsi con il cosiddetto «senso della storia ». VaIe a dire con la g.r. . Non si può comprendere l'essenza stessa della g.r. se non si ,ripone l'attenzione su questo pseudo concetto marxista del «senso della storia », che in mano agli agenti della g.r. è una delle armi più efficaci e più frequentemente adoperate. Evidentemente non possiamo in questa sede addentrarci nella questione, per altro di estremo interesse, concernente la domanda: «Ha o

meno un senso la storia? ». Brevissimamente e ai fini che ci interessano ci limiteremo dunque a dire che, se di un senso della storia, in senso squisitamente spirituale, si può parlare sono caso mai i cattolici (e noi siamo fra quelli) a poterlo fare, che per senso della storia intendono il cammino dell'umanità verso Dio.

Ed analogamente un senso della storia tutto suo particolare, che è nel contempo spirituale e temporale, possiede il popolo ebraico nella sua perdurante attesa del Messia liberatore della razza eletta. Fuori di queste escatologie non si comprende come possa seriamente intendersi l'esistenza mistica e pertanto irrazionale di un senso della storia così come sostengono i comunisti con l'appoggio costante di tutti i « progressisti » di varia sfumatura; e si comprende ancor meno come a questo senso della storia inteso in questi termini e cioè a una colossale panzana abbiano finito con il prestar fede coloro che non soltanto marxisti non sono ma che spesso fanno dichiarazioni, se non professione, di combattere il marxismo.

 

IL MITO DEL SUPREMO ALVEARE

  

Non è nostro compito entrare in merito all'assenza del comunismo, né pronunciare nei suoi confronti un ennesimo, severissimo giudizio negativo di principio. Giungiamo più in là: non intendiamo nemmeno discutere se il comunismo in tutte le sue gradazioni, segnatamente in quella sovietica ed in quella cinese, sia in effetti un abominio. Vogliamo per amor di ipotesi giungere perfino a dire che il comunismo sia o possa essere il migliore dei sistemi politici nel migliore dei mondi possibili. Vogliamo però sostenere contemporaneamente e con estrema, irriducibile fermezza che la libertà dell'uomo consiste proprio nel respingere anche ciò che può apparire vantaggioso per lui, e con molta semplicità diremo perciò che rifugiamo dal comunismo, che non accettiamo il comunismo, che combattiamo il marxismo ed esprimiamo pubblicamente la nostra volontà di combatterlo e soprattutto sul suo stesso terreno, restituendogli – tanto che siamo sulla difensiva – colpo per colpo e ben decisi, quando ciò sarà finalmente concesso dal maturarsi di situazioni, dall'intesa di uomini e soprattutto dalla chiara, realistica visione di una situazione che minaccia ogni giorno di più di diventare catastrofica, di passare risolutamente e con estrema spregiudicatezza all'offensiva. Restituendo, se necessario, abbondantemente ai comunisti il terrore che essi hanno imposto al mondo.

Perché ciò che soprattutto fondamentalmente ci ripugna nel marxismo è la sua pretesa di imporre al mondo, servendosi per l'appunto della g.r., quella che si deve ormai nel modo più esatto considerare come una pseudo religione,. tendente alla trasformazione dell'intero pianeta terra in un Grande Formicaio, in un Supremo Alveare. Dove è anche possibile che nei secoli futuri gli uomini siano, come lo sono le formiche, le api, o altri insetti, in grado di condurre una esistenza perfettamente regolata ed in cui ad ogni individuo, in funzione di ciò che produce o del lavoro che fa, verrà assegnata una razione di cibo amorfo ma contenente il numero esatto di calorie necessarie, non una di più non una di meno ed una cella nel pieno senso di questo termine dove dormire un sonno senza sogni. Perché di sogni e cioè delle speranze, delle aspirazioni connaturate alla fantasia costruttrice dell'individuo non si parlerà più nel Grande formicaio o nel grande Alveare. Retto come oggi avviene nei paesi comunisti o come

   avviene per l'appunto in queste società perfette di insetti da un'Unica immutabile Intelligenza che è nel tempo stesso, Suprema, inesorabile Volontà.

Si, noi sappiamo perfettamente quanto vanno sostenendo alcuni alti autorevoli commentatori ed esegeti del cosiddetto «nuovo corso» del marxismo. Quello che, per esempio nel nostro paese si intende oggi come la «via italiana al socialismo ».

Non soltanto lo sappiamo, ma anche questa volta vogliamo largheggiare e prendere per buone le dichiarazioni di coloro che asseriscono essere oggi, con l'eliminazione interna dello stalinismo, il comunismo diventato un'altra cosa. Fra l'altra, gran concessione, ci si dice anche che questo nuovo comunismo, il còm\1nismo buono per intenderci (cioè quello che si richiama assai più alla società anonima oggi installata al Cremlino che non a quello di Mao, cui i marxisti da salotto osano ancora muovere qualche critica), non elimina più fisicamente i suoi- avversari, non riduce alla fame materialmente i suoi oppositori ma anzi consente loro, concessione sempre più grande, di poter lavorare e produrre nel nuovo stato creato all'insegna del Grande Formicaio. Ne prendiamo atto, cosi come prendiamo atto per riferirci al paragone precedente che da tempo i naturalisti hanno minutamente descritto la presenza nei formicai, prigionieri delle formiche che tuttavia pensano a dar loro un adeguato nutrimento, di certi insetti detti afìdi o gorgoglioni. O più pittorescamente, «mucche delle formiche ». Perché queste ultime, cosi come noi facciamo con le vacche mungane, provvedono ingegnosamente (perché anche le formiche come i marxisti sono molto ingegnose) a mungerli, ricavandone una specie di latte di cui sono ghiottissime. Ebbene, signori, io penso che a nessuno sorrida l'idea di essere trasformato in un gorgoglione della repubblica democratica popolare italiana; nemmeno se ciò comportasse la soddisfazione d'avere come mandriano l'on. Giancarlo Pajetta o come mungitrice la «Grande Vedova» Leonilde Jotti.

 

L'ARMA MARXISTA DELLA NEO-SEMATICA

 

Questi mutamenti, ammessi che ci siano, del marxismo non sono del resto altro che semplici misure di aggiornamento « liturgico », paragonabili a quelle che un Concilio ansioso di novità ha voluto imporre nelle cerimonie destinate al popolo cristiano. Perché, occorre ripeterlo, l'ideologia marx-leninista (cui corrispondono come «braccia secolari» le potenze comuniste) ha, tranne la fede in una vita ultra terrena, le caratteristiche di una pseudo-religione. È questa proprio una delle componenti più aberranti ed intollerabili del marxismo: quella cioè di presentarsi appunto, pur pretendendo di fondarsi su basi razionali e dichiaratamente anti-metafìsiche, come una nuova vera e propria religione dotata di pseudo dogmi e di pseudo santi ed alla quale non manca nemmeno, come abbiamo visto, un escatologia. In funzione della quale è stato creato per l'appunto lo pseudo concetto del senso della storia. Non pensiamo, si capisce, di avere, dicendo questo, scoperto il cavallo o l'ombrello. Poiché tutto ciò, prima di noi, più autorevolmente di noi e più esauriente di noi è stato detto da altri. Come, per esempio, da Benedetto Croce o più recentemente da Mircea Eliade in un suo magistrale scritto dedicato agli « Aspetti del mito ». Purtroppo ciò che è stato detto è stato anche spesso, troppo spesso, dimenticato. E proprio da chi ha avuto in sorte la responsabilità di difendere l'occidente dalla minaccia marxista.

Pseudo religione, il marx-leninismo ha creato anche come aveva per l'appunto fatto la Chiesa Cattolica fino alle recenti decisioni conciliari - un suo unico linguaggio. Elaborando una nuova semantica che costituisce, insieme al fideismo totale ed incondizionato del militante di base nella pseudo religione che lo guida, una delle armi fondamentali della g.r. Su questo punto della nuova semantica creata dai marxisti in tutti i paesi ed in tutte le lingue, manipolando con estrema abilità il linguaggio come premessa necessaria ed indispensabile alla successiva manipolazione ed alterazione in senso finalisticamente irreversibile delle coscienze, altri fra i presenti a questo convegno, che hanno voluto onorare con il loro intervento, potranno e dovranno parlare con maggiore e più approfondita cognizione di causa. Ci limiteremo, per ora, a dire che questa nuova semantica agisce su due direzioni. Mentre cioè da un lato essa si impadronisce di vocaboli propri alla società che vuole distruggere, sino a snaturarne completamente il significato (e si veda, come esempio banale.fin che si vuole ma quanto preciso, il destino assunto in questi ultimi anni dal vocabolo «pace» che è giunto oggi come oggi praticamente a significare il suo opposto nella bocca dei marxisti che se ne servono come gli antichi pirati si servivano di bandiere legittime, scoprendo il loro vessillo con la testa di morte solo al momento decisivo dell'abbordaggio), dall'altra essa impone invece alla società che i marxisti vogliono distruggere la propria terminologia. E forniamo un altro esempio banale ma immediato: si veda l'uso e l'abuso attualmente in corso del termine «alienazione », espressione questa tipica del gergo marxista che, come mille altre è stata adottata, soprattutto per snobismo, dalle società borghesi. Ora è chiaro che l'assuefazione a delle parole genera l'assuefazione a delle frasi; l'assuefazione alle frasi favorisce l'assimilazione di un gergo; l'assimilazione di un gergo porta conseguentemente alla assimilazione delle idee. In altri termini la parola, snaturata. od imposta dalla neo-semantica del comunismo, serve - nel quadro operativo della g.r. - a condizionare psicologicamente l'avversario, provocando in lui una sorta di anestesia che lo, induce ad accettare passivamente ed anche, perché no, senza soffrire il successivo intervento chirurgico rivoluzionario.

 

LA G.R.: UNA PARTITA A SCACCHI

 

Abbiamo detto la parola « condizionare » perché questa è, per l'appunto, la prima fase delle operazioni di una g.r. Il cui obiettivo principale è, ricordiamo, la conquista dell'animo della popolazione. Conquista che si svolge attraverso due metodi paralleli, ma non necessariamente simultanei:

a)         l'azione psicologica

b)         il terrorismo

Occorre, tuttavia, sempre e soprattutto in materia di g.r. - guardarsi dal legarsi troppo strettamente a schemi prefissati. Se riprendiamo, infatti, in esame il paragone del « Gioco del Chicken » di cui abbiamo parlato accennando all'ipotesi di guerra termonucleare, possiamo completarlo ora, servendoci di altri esemplificazioni, forse primarie ma che posseggono comunque il merito, mai troppo lodato, della chiarezza. E possiamo così stabilire le seguenti analogie:

a) tra la guerra termonucleare totale (cioè «non convenzionale ») ed il predetto « gioco del Chicken » (e cioè lo scontro diretto e catastrofico);

b) tra la guerra convenzionale classica ed il non meno classico gioco delle bocce Ce cioè lo scontro diretto, ma più o meno brutale e manovrato);

c) tra la g.r. ed il gioco degli scacchi. La g.r. può essere infatti a pieno titolo assimilata ad una partita a scacchi, purché si abbia l'avvertenza di tener presente che, nella g.r., tutti i pezzi in gioco hanno la possibilità di muoversi in tutte le direzioni come, su di una scacchiera autentica, un pezzo immaginario che combinasse in sé tutti i movimenti di cui dispone la Regina più quelli del cavallo) e che la scacchiera ha un numero « n » di caselle, essendo « n » un numero che s'avvicina sensibilmente all'infinito.

Nella g.r., infatti, l'eliminazione fisica del nemico non è, di norma, indiscriminata come negli altri tipi di conflitto. Così, mentre la guerra convenzionale e quella termonucleare fanno poco caso, in linea di massima, d'un risparmio di vite umane ivi comprese quelle della élite, cioè dei quadri, che le conducono

la g.r., sempre in una certa misura ben s'intende, tende ad economizzare le perdite tra i soldati ed i capi della parte che l'ha decisa, l'ha impostata e la combatte. Questa « economia» è tanto più osservata in quanto la g.r. è una guerra ricca soltanto di vite umane da spendere. Ma è, per il resto, una guerra in linea di massima avara - non soltanto per necessità ma anche per principio di denaro e di mezzi.

Abbiamo citato questi dati tratti da fonti francesi perché, come abbiamo detto, è stata la Françia, fra i Paesi occidentali, la prima a dover affrontare in pieno una guerra rivoluzionaria, quella d'lndocina. Questa guerra si concluse come è noto

per la Francia stessa con la clamorosa sconfitta militare di DienBien-Phu, cui fece seguito un'altra sconfitta, sul piano diplomatico questa volta, a Ginevra; Dove vennero sottoscritti quei negoziati di pace che abbandonavano metà dell'Indocina ai comunisti, tra il plauso di tutti i « progressisti », i pacifisti e - come si diceva una volta - panciafichisti non soltanto d'Europa ma anche degli Stati Uniti. Ove, del resto, ancora una volta il mito di un « anticolonialismo» di principio (che costituisce, molto spesso, la bandiera di comodo con cui vengono coperti interessi economici che ben poco hanno a che vedere con motivi ideali) impediva di scorgere cosa si celasse in realtà dietro certe guerre e certi movimenti presentati agli occhi dell'opinione pubblica mondiale come di «liberazione ».

A Dien-Bien-Phu, in realtà, a perdere una battaglia e nel tempo stesso una guerra non fu soltanto la Francia. Fu l'Occidente nel suo complesso anche se molti, ancora oggi, non se ne sono resi conto. La g.r., non ci stancheremo mai dal ripeterlo, è una guerra globale in cui nessun fronte può essere considerato a sé stante: per questo esiste uno strettissimo rapporto d'interdipendenza, per esempio, tra l'operazione «Vicario» condotta in Italia, e particolarmente a Roma, dal PCI per il tramite delle proprie organizzazioni fìancheggiatrici ed il movimento di protesta suscitato dagli agenti del Viet Cong tra i bonzi buddisti nel Viet-Nam o tra le operazioni dei guerriglieri nel Venezuela e l'improvvisa decisione, per ora soltanto simbolica, adottata dal PCI di organizzare l'afflusso di volontari italiani ad Hanoi, tra le manifestazioni inscenate contro Ciombé e quelle inscenate a favore dei negri americani.

Non staremo, perché l'argomento verrà adeguatamente, trattato da altri più competenti oratori (fra cui alcuni colleghi che vi ci sono recati più volte) non staremo qui a fare la storia della guerra d'Indocina, guerra iniziatasi nel 1945 e tra alterne fasi, come si sa, ancor oggi in atto, con un bilancio sempre più passivo - in complesso - per l'Occidente. Diremo soltanto che fu proprio dall'esperienza altamente drammatica della guerra d'Indocina che molti fra i migliori ufficiali del corpo di spedizione francese furono indotti a chiedersi, in forma spesso angosciosa, come mai un esercito dotato di unità d'assalto di primo ordine (come, per esempio, i reparti della Legione Straniera ed i paracadutisti) e di vaste riserve di materiale relativamente moderno e comunque sotto il profilo tecnico largamente superiore a quello dell' avversario - subisse, malgrado il valore e lo spirito di sacrificio da esso in complesso dimostrato, continui e sempre più gravi scacchi ad opera di guerriglieri male armati, male equipaggiati e peggio nutriti.

È ad opera di questi ufficiali francesi che fu così possibile rilevare i primi lineamenti dottrinali della g.r. L'esercito ViethMinh è un esercito totale, dove ogni soldato è contemporaneamente un maestro di scuola, un poliziotto, ogni ufficiale un amministratore, un sacerdote e un ingegnere, fa dire ad uno dei suoi personaggi un ufficiale per l'appunto del corpo di spedizione in Indocina, il giornalista e scrittore Jean Larteguy. Quell'immaginario ufficiale prosegue: Per lottare contro un consimile esercito ci sarebbe voluto un esercito dello stesso tipo, una sorta di ordine militare, altrimenti la sconfitta era certa. Mi 'dispiace, certo, dt essere stato sconfitto, mi dispiace di essere agli ordini di capi incapaci, ma mi dispiacerebbe ancor più di diventare un monaco-soldato o di tras/ormarmi in predicatore di non so bene quale nuova dottrina... Eppure non passerà molto tempo e quell'ufficiale, come vedremo, diventerà a sua volta un monaco-soldato ed un predicatore sino ad accettare con orgoglio (e si pensi che significa questo per un militare di carriera) la qualifica che altri vorrebbe infamante di « soldat perdu », soldato cioè perso nel senso che a questo aggettivo la lingua francese dà accoppiandolo alle ragazze di facili costumi. Ciò accadrà al tempo del sangue, del terrore, del sacrificio, della gloria cui viene negato il nome, dell'ultima, convulsa e disperata, difesa dell'Occidente armato in Africa, prima che venisse solennemente abbattuta la croce sulla Cattedrale destinata ad essere trasformata in moschea di Algeri la bianca. Anche se filtrata attraverso l'esperienza e l'indagine degli studiosi francesi (fra i quali citiamo in particolare il colonnello Roger Trinquier, autore del volume La guerre moderne che per quanto leggermente superato contiene tuttora preziose indicazioni specie per determinati aspetti tattici della g.r.) la dottrina di questa nuova forma rivoluzionaria di conflitto reca sempre, inconfondibile, la firma di colui che applicando con indubbia capacità ed al livello d'un intero continente i principi a suo tempo enunciati da Lenin e rielaborandoli con l'ausilio d'antichi frutti della cultura del suo paese - della g.r. stessa ha oggi fama di essere contemporaneamente il massimo teorico ed il maggior condottiero, il Napoleone cioè ed il Clausewitz. Vogliamo dire Mao-Tse-tung. Tra le molte doti di Mao-Tse-tung c'è anche, dicono, quella di essere non soltanto un condottiero politico e militare ma anche un raffinato poeta. Non possiamo pronunciarci al riguardo purtroppo non abbiamo finora avuto il modo di leggere le liriche che recano la firma di Mao-Tse-tung. Ma abbiamo in compenso letto i suoi scritti di carattere politico militare. Si è trattato, per la verità, di una fatica non indifferente. Sotto un profilo di pura critica letteraria non si può infatti non essere colpiti ed anche alquanto irritati dalla lettura dello stile adoperato da Mao-Tse-tung in questi suoi scritti, uno stile contraddistinto soprattutto dalla lentezza del ragionamento, in cui abbondano frequentissime le iterazioni. Bisogna tuttavia aver ben presente che questi scritti di Mao erano in origine destinati ad essere perfettamente intesi dagli uomini delle più diverse provenienze culturali, che lo seguivano e dovevano inoltre rappresentare una specie di riassunto delle frequentissime dispute ideologiche.

È vero, d'altra parte, che al nostro senso occidentale dello umorismo determinate affermazioni di Mao-Tse-tung possono apparire non soltanto ovvie ma anche curiosamente pittoresche. Si veda, ad esempio, quell'ormai classico concetto, inerente alla tattica della g.r., secondo il quale come è noto «i combattenti della g.r. debbono potersi muovere tra la popolazione del territorio in cui operano con la stessa facilità con cui un pesce si muove nell'acqua ». È perfino inutile aggiungere che su questa faccenda del pesce che si muove nell'acqua si è esercitata più volte, ed in tutte le forme possibili, l'ironia di diversi commentatori e critici militari occidentali, poco inclini per natura a prendere sul serio una esposizione che si vorrebbe tecnica ed in cui si parla di pesci anziché di parametri. Naturalmente è facile, ed a volte può del resto esser anche utile fare dell'ironia.

Perché, sia detto incidentalmente, anche l'ironia è un'arma e non indifferente.

 

MAO, L'EPIGONO DI SUN-ZU

  

Si, ripetiamo, può essere facile ironizzare sul modo di esprimersi di Mao-Tse-tung così come può ingenerare in noi qualche sorriso la lettura dell'antico e famosissimo (famosissimo nel senso che si tratta di una di quelle opere che in genere tutti citano sènza averle mai lette) trattato sull'« Arte della guerra» del venerando saggio cinese Sun Zu, una sorta di ClauseWlitz ante litteram, cui lo stesso Mao ama frequentemente richiamarsi. Trattato in cui, per altro, è icasticamente esposto un concetto che soltanto a prima vista può indurre un esperto militare occidentale a considerazioni umoristiche: «La suprema arte della guerra, sta nel soggiogare il nemico senza combattere ». Eppure proprio in questa frase, è racchiuso il concetto cardinale della g.r. Per esempio: così come essa è attualmente praticata dai comunisti in Italia.

Concetto che si accompagna a quest'altro, sempre di Sun Zu e ripreso interamente da Mao-Tse-tung: «Conosci l'avversario e conosci te stesso: allora tu sarai invincibile ». Per somme linee il pensiero militare di Mao-Tse-tung (e conseguentemente l'abc delU g.r.) si concreta in frasi di questo tipo, indicative anche a proposito dello stile in cui sono state redatte.

. Qualsiasi capo militare è obbligato a studiare le leggi della guerra e a conoscerle a fondo. Qualsiasi capo militare che conduce una guerra rivoluzionaria deve studiare le leggi della guerra rivoluzionaria e conoscerle a fondo... le guerre rivoluzionarie, oltre al possedere il carattere proprio della guerra in genere, posseggono dei loro caratteri specifici ed è per questo che esse non dipendono soltanto dalle leggi della guerra in generale, ma da tutta una serie di leggi particolari. Se non si comprendono le condizioni in cui si svolgono queste guerre ed il loro carattere particolare è impossibile di condurre una guerra rivoluzionaria, è impossibile di conseguire la vittoria in una guerra rivoluzionaria... Per sopprimere la guerra esiste soltanto un mezzo: combattere la guerra con la guerra. Tutte le guerre della storia si suddividono in ultima analisi in due categorie: le guerre giuste e le guerre ingiuste. Noi siamo per le guerre giuste e contro le guerre ingiuste. Tutte le guerre contro-rivoluzionarie sono ingiuste, tutte le guerre rivoluzionarie sono giuste.

Ci sia concesso sospendere, a questo punto, l'esposizione del pensiero di Mao-Tse-tung per commentarlo brevemente. È evidente, dal contesto, la concezione tipicamente manichea che ispira il condottiero della rivoluzione cinese in queste sue considerazioni che hanno per lo meno il pregio di esporre senza tanti fronzoli quella che è la dottrina più elementare, ma nello stesso tempo più pura, del marxismo. Riferendoci a quanto abbiamo detto precedentemente, troviamo in queste righe, ove fosse necessario, una ulteriore riprova dell'impostazione pseudo religiosa del comunismo. Segnatamente quella distinzione fra guerra giusta e guerra ingiusta è tratta di peso, per esempio, dalle elaborazioni sul problema di una certa patristica cristiana. Nello stesso modo che l'affermare, come fa Mao, che è commendevole il combattere una guerra purché questa guerra debba consentire di giungere alla abolizione della guerra stessa non è altro che una versione marxista e cinese del non enim pax quaeritur, ut bellum excitetur, sed bellum geritur, ut pax acquiratur di Sant'Agostino. È perfino superfluo, tuttavia, l'osservare che il concetto dello scrittore cristiano rispecchiava finalità metafisiche, mentre il pensiero di Mao si. pone su un piano di una utopia materialistica, assolutamente non giustificata. I marxisti stentano infatti a spiegare, dato e non concesso che si arrivasse a questa fase estrema del comunismo (e cioè l'abolizione totale delle classi e dello Stato), come ciò potrebbe conciliarsi con le loro teorie e segnatamente con quella « anima vivente» della dialettica materialistica rappresentata dalla contraddizione che determina costantemente la spinta in avanti. Per riprendere, al riguardo, le parole stesse di un autorevole esegeta marxista: cosa diventerà dunque la storia quando la lotta delle classi non ne costituirà più il motore? Evidentemente poco convincente, al di fuori del suo vago contenuto pseudo messianico è la risposta dello stesso esegeta: le contraddizioni non saranno abolite ma non si tratterà più di contraddizioni antagonistiche tra gli uomini. Allora fioriranno in pieno le dialettiche interminabili della libertà. Ed in primo luogo la conquista continua della natura da parte dell'uomo, ecc. ecc., per giungere a questa sorprendente ed apodittica conclusione, che in realtà non .conclude niente (come, in ultima analisi, non significa niente) ma .che dovrebbe pur fare riflettere tutti quei cattolici che si ostinano in un «dialogo» condannato in partenza al fallimento:

il materialismo marxista, fedele alla sua iniziale ispirazione faustiana, sarà il creatore di un mondo popolato da iddii senza noia, le cui creazioni inaugureranno una dialettica aperta sull'infinito.

Siamo dunque, tornando a Mao, nel campo della utopia. Ma occorre pure tenere presente che per tendere alla realizzazione di questa utopia è stata messa a punto una dottrina ed una tecnica di guerra che utopistica non è. Cos1 come quando al servizio di questa utopia viene costretta una massa di circa settecento milioni di uomini, decisi a tutto se non altro perché il promesso l'aggiungimento dell'utopia stessa porrebbe fine ad una loro in-concepibile condizione umana, l'umanità si trova allora realmente in pericolo. Si ricordi, al proposito, che in Cina si procede con metodi che appaiono incredibili alla nostra attuale civiltà altamente industrializzata, metodi sostanzialmente identici a quelli che venivano adoperati dai faraoni egiziani.

 

 

L'ESSENZA DELLA G.R.

 

Passiamo ora all'analisi del pensiero di Mao nella elaborazione dei precetti fondamentali della guerra rivoluzionaria. È questa una guerra, specifica Mao, che non si impara soltanto nei libri ma che si impara soprattutto facendola. Combattere è imparare. Questo è un'altro degli slogans fondamentali, slogan che viene completato da molte altre regole considerate ugualmente di estrema importanza e che nel complesso costituiscono in modo organico un vero e proprio manuale teorico-pratico della sovversione. Piuttosto che seguire pedissequamente l'esposizione di Mao, cerchiamo considerando soprattutto la realtà della g.r. così come s'è svolta in questi anni di isolarne alcuni aspetti determinanti:

.

I) nella guerra rivoluzionaria occorre che chi la combatte abbia ben chiaro in mente che non esiste nessuna differenza tra 10 sparare in combattimento regolare contro il nemico e l'uccidere invece in agguato, o come volgarmente si dice « a tradimento» il nemico stesso;

2) il combattente della guerra rivoluzionaria deve essere ben cosciente di quelle che sono le regole del gioco: e cioè che se il combattente regolare, catturato in combattimento, se la cava con un periodo di prigionia, il combattente della guerra rivoluzionaria, se catturato in determinate condizioni, rischia la fucilazione;

3) il combattente della guerra rivoluzionaria non si deve considerare tale soltanto quando impugna un'arma. L'arma decisiva di una guerra rivoluzionaria è, infatti, proprio il combattente in quanto tale;

4) il soldato regolare si sente guidato. Il combattente della guerra rivoluzionaria, e soprattutto il terrorista, deve essere in grado di guidare se stesso;

5) l'eliminazione fisica di un avversario non costituisce un problema morale (l'avversario combatte infatti una guerra per definizione «ingiusta»): costituisce soltanto un problema d'opportunità;

          6) il terrorismo non deve essere fine a se stesso: esso deve sorgere e svilupparsi secondo un piano preciso, di volta in volta concepito in forma autonoma, ricorrendo se necessario anche al metodo della ricerca operativa;

          7) il terrorista di base non deve soltanto agire, deve anche capire;

          8) per essere efficace il terrorismo non deve essere indiscriminato.

  

IL TENTATIVO FRANCESE DI UNA «G.R. OCCIDENTALE»

 Freschi ancora delle loro esperienze di Indocina i militari francesi si trovarono a dover affrontare in Algeria una nuova fase di guerre rivoluzionarie. Inizialmente i francesi cercarono di reprimere l'insurrezione algerina ricorrendo a quegli stessi metodi classici che così poco felicemente avevano impiegato in Indocina. Fu allora che, nella mente di un gruppo di ufficiali che costituivano l'élite dell'esercito stesso, scaturì l'idea di combattere in Algeria il nemico con la sua stessa tecnica, applicando cioè i dettami della guerra rivoluzionaria. 'Questa applicazione, in effetti, permise almeno in un primo tempo, di conseguire risultati piuttosto soddisfacenti anche se non fu sempre facile né agevole. D'altra parte la condotta di una contro-guerra rivoluzionaria pone agli occidentali dei problemi di fondo spesso insolubili o che provocano comunque profondi turbamenti nelle coscienze. Questo graduale passaggio dei militari francesi in Algeria dalla condotta di una guerra convenzionale, sia pure limitata al campo della contro-guerriglia, all'attuazione di una contro-guerra rivoluzionaria è stato efficacemente analizzato oltre che nei romanzi di Jean Larteguy, anche in un'altra opera, « çette haine qui ressemble à l'amour» del giornalista e scrittore algerino Jean Brune, ora costretto all'esilio.

Accenniamo di sfuggita al problema, per esempio, della tortura. Il caso tipico è il seguente: un combattente della guerra

rivoluzionaria compie un'azione di terrorismo e depone una

bomba a tempo in una località sconosciuta, bomba che esplodendo provocherà senza alcun dubbio la morte e il ferimento di un certo numero di persone inconsapevoli e probabilmente del tutto estranee alle operazioni militari in corso. Il terrorista viene però catturato nel corso di una operazione di rastrellamento.

Si sa che egli ha messo una bomba che scoppierà fra due ore, ma si ignora dove. Il problema è questo: per evitare la morte e

il ferimento sicuro di un certo numero di persone estranee, è ammesso o non è ammesso costringere il terrorista con tutti i mezzi ivi compresa la tortura a rivelare dove ha celato il micidiale ordigno esplosivo?

Si tratta, naturalmente di un problema non soltanto scottante, ma di fondo. I marxisti, che pure non sono soliti preoccuparsi a casa loro di simili quisquiglie, sono così riusciti a scatenare un vasto movimento di protesta e di indignazione, sfruttando segnatamente gli intellettuali progressisti ed il mondo della cultura, per stigmatizzare l'impiego della tortura contro i terroristi da parte delle forze francesi di repressione in Algeria. Certo la tortura, così come già disse Cesare Beccaria, è cosa riprovevole. Ma (questo Cesare Beccaria non poteva dirlo) anche il terrorismo, l'eliminazione fisica degli avversari con un colpo alla nuca o l'impiego di bombe che provocano vittime innocenti sono cose riprovevoli. Eppure gli intellettuali ed il mondo della cultura, a proposito della guerra d'Algeria, condannarono soltanto l'impiego della tortura contro i terroristi, ma non l'operato dei terroristi medesimi. Anche questo rientra squisitamente nel campo della guerra rivoluzionaria, così come nel campo della contro-guerra rivoluzionaria viene ad assumere un significato particolare il fatto che nella sua precitata opera «La guerre moderne» il colonnello Trinquier senta il bisogno di dedicare un intero capitolo ai metodi da adoperare nel condurre l'interrogatorio di un terrorista, comprendendo tra quei metodi medesimi, anche la tortura... che, a detta del Trinquier, deve tuttavia essere impiegata a ragion veduta ed entro determinati limiti.

Da questo fuggevole accenno scaturisce una decisiva domanda: fin dove è possibile difendere l'Occidente servendosi di metodi che sono la negazione dei valori stessi che dell'Occidente costituiscono l'insopprimibile essenza? È sostanzialmente, a nostro avviso almeno, al non aver potuto o saputo trovare una risposta a questo quesito, che si deve in gran parte attribuire il fallimento dell'unico tentativo di guerra rivoluzionaria condotta sinora da combattenti occidentali: vogliamo dire cioè quella che venne attuata in Algeria ed in Francia dai francesi (ed anche dai berberi e dagli arabi) che militavano nei ranghi dell'OAS. Tale tentativo, ha comunque lasciato due validi insegnamenti:

1)     prima di tutto il fatto che è possibile, sia pure attraverso molti tentennamenti, diverse esitazioni ed un innegabile, spesso tragico, travaglio spirituale, pervenire ad una formulazione occidentale della guerra rivoluzionaria, ritorcendo contro i marxisti il loro stesso strumento di lotta, uno strumento di cui essi erano sin 'ora convinti di avere esclusivamente il monopolio, così come per tanti anni gli americani si cullarono nell'idea di mantenere il monopolio esclusivo delle armi nucleari.

2) È stata inoltre dimostrata, per quanto si riferiva alla Francia la possibilità di porre finalmente fine nel quadro della guerra rivoluzionaria contro il comunismo alla annosa e sterile polemica anche in Francia come in Italia continuamente ed artificiosamente mantenuta in vita dal comunismo stesso tra il fascismo e l'anti-fascismo. Nei ranghi dell'GAS, si trovarono infatti a combattere insieme la medesima battaglia uomini che provenivano dalle più diverse e contrastanti passate esperienze.

Si sono visti, infatti, uniti insieme nelle file dell'GAS ex appartenenti alla resistenza e reduci magari dai campi tedeschi di Buchenwald o di Mauthausen, ed ex collaborazionisti, seguaci del maresciallo Petain, membri della milizia di Vichy o combattenti sul fronte russo nei ranghi delle Waffen SS.

3) Il terzo e conclusivo insegnamento consiste nel fare chiaramente vedere come una guerra rivoluzionaria possa essere condotta con qualche possibilità di successo soltanto quando a dirigerla ed a combatterla si trovano insieme elementi militari di professione ed elementi civili altamente specializzati. In precedenza, infatti, il fallimento del « putsch » dei generali di Algeri si deve attribuire esattamente alle stesse cause che fecero, per esempio, fallire a suo tempo il putsch di Kapp nella Germania sconvolta del primo dopo guerra. Ovverosia nel fatto che nel secolo XX, in Europa almeno non è più possibile effettuare o un colpo di Stato od ancor più una rivoluzione con il solo impiego delle forze armate in uniforme, così come non è ugualmente possibile realizzare positivamente una operazione del genere fondandosi unicamente sul concorso di forze civili che non abbiano l'appoggio non tanto indiretto quanto diretto ed esplicito delle Forze armate. Così come dimostra, sempre riferendoci alla guerra d'Algeria, il successo pieno ed incontrastato dell'operazione rivoluzionaria compiuta congiuntamente da elementi militari ed elementi civili il 13 maggio 1958 operazione conclusasi, come è noto, con il crollo della Quarta Repubblica e l'avvento al potere del Generale De Gaulle.           .

 

Da tutto questo emerge anch'e la considerazione che la condotta e l'attuazione operativa di una guerra rivoluzionaria è affidata in primo luogo soltanto a ristrette élites di comandanti e combattenti militari e civili, ai quali l'appoggio delle masse è giovevole solo in forma indiretta, nel senso cioè che consente loro - per riprendere a nostra volta la pittoresca immagine di Mao di muoversi liberamente in tutto il territorio come il pesce nell'acqua.

Sia dalla guerra rivoluzionaria comunista d'Indocina, sia dalla g.r. fomentata dai comunisti in Algeria, sia dalla g.r. anti-comunista condotta dall'OAS in Algeria ed in Francia emerge poi in modo chiarissimo l'importanza decisiva della presenza di quelle che nella terminologia per l'appunto della guerra rivoluzionaria vengono definite come « basi logistiche ». Si intende per «base logistica» la possibilità da parte dell'esercito che conduce la g.r. di trovare appoggio di ogni genere in tutta una serie di paesi apparentemente estranei al conflitto in corso. Avremo così delle «basi logistiche ravvicinate », situate cioè in paesi finitimi al teatro di operazioni, come per esempio la Cina comunista all'epoca della prima guerra di Indocina, la Tunisia od il Marocco durante la guerra d'Algeria, il Vietnam settentrionale durante l'attuale guerra di Indocina. Queste basi servono innanzi tutto ad alimentare in armi, munizioni, viveri, medicinali ed uomini le unità impegnate nella guerra rivoluzionaria. In secondo luogo queste basi servono ad alloggiare i comandi operativi a più alto livello che possono così esercitare la loro azione in condizioni di invulnerabilità da parte del nemico come accadde per le basi del F.L.N. algerino in Tunisia.

È sempre per l'esistenza di queste basi che la guerra di Corea. condotta inizialmente - come abbiamo visto - dai comunisti con metodi convenzionali può essere considerata ugualmente una guerra rivoluzionaria. Si veda in proposito la gigantesca campagna condotta dai comunisti circa il presunto quanto cervellotico impiego da parte delle forze delle nazioni unite e cioè praticamente dagli americani, di armi di guerra batteriologiche.

 COME I COMUNISTI ESTORCONO LE «CONFESSIONI»

 

Questa campagna circa la presunta guerra batteriologica condotta dagli americani venne effettuata con un vigore ancora superiore il quella recentissima svolta dai comunisti a proposito dell'impiego, questa volta reale, di gas per altro non letali compiuto dagli americani nel Vietnam. Può essere di un certo interesse nel quadro della problematica della guerra rivoluzionaria ricordare come i comunisti ottennero da 38 aviatori americani, sottoponendoli alla tortura o alla minaccia la « confessione» di avere adoperato armi batteriologiche contro i comunisti nord-coreani e cinesi. La «confessione» più notevole fu quella, fitta di ben seimila parole, estorta al colonnello Frank Schwable, capo di stato maggiore del primo squadrone dell'Aviazione dei Marines. Accusato dai comunisti di aver partecipato alle operazioni di guerra batteriologica e sottoposto a pressioni di ogni genere

perché confessasse questo suo « crimine », lo Schwable venne tenuto segregato per cinque mesi in una cella non riscaldata delle dimensioni di un metro per due, e continuamente pungolato dagli stessi interrogatori. «Fu negli ultimi giorni di novembre che mi sono arreso» spiegò il colonnello, quando finalmente riuscì a far ritorno negli Stati Uniti «Ero gelato. La mia mano era gelata. Non c'era alcun dubbio per me. lo sapevo che non m'avrebbero mai permesso di trovarmi di fronte ad un plotone di esecuzione. Loro mi avrebbero lasciato lì per tutto l'inverno. Sapevo che non avrei potuto resistere. Credo che una lenta tortura mentale che si prolunga all'infinito è peggio di brevi torture fisiche. Si rimane li, giorno dopo giorno, ed un giorno ancora dopo un altro giorno. Non c'è davvero una grande scelta: o si confessa o si rimane là ».

Un altro ufficiale americano subì, allo stesso scopo, il seguente trattamento da parte degli specialisti cinesi della g.r.: «Dopo essere stato schedato come criminale di guerra egli venne interrogato e tenuto sotto pressione per quattro mesi. Per otto volte gli venne intimato l'ordine di confessare, promettendogli un migliore trattamento se lo avesse fatto o la morte se si fosse rifiutato di farlo. Per otto volte egli si rifiutò. Lo costringevano a stare sull'attenti per cinque ore di fila; lo rinchiusero per otto giorni in una cella strettissima; lo fecero stare al suolo tenuto da due guardie mentre una terza guardia lo percuoteva con pugni e calci; lo costrinsero un'altra volta a stare sull'attenti per 32 ore consecutive finché non crollò a terra; percosso mentre era caduto, dovette rialzarsi e restare in piedi altre due ore. Fu interrogato per 3 ore di fila con un proiettore puntato a 15 cm. dai suoi occhi. Gli diedero ordine di confessare con una pistola puntata sulla sua nuca. Lo tennero tutta una notte sotto una grondaia dur_te un temporale. Lo lasciarono senza cibo per 3 giorni. Lo posero davanti ad un plotone di esecuzione e gli offrirono la sua ultima possibilità, appeso per le mani e per i piedi alle travi di una casa. Davanti al suo ennesimo rifiuto, i comunisti cinesi lo lasciarono in pace. Sembravano aver rinunciato, trovandosi di fronte ad un caso impossibile. Questo ufficiale è tornato vivo ».

In definitiva da tutto quanto abbiamo in precedenza detto e da molte altre cose che per brevità di discorso siamo stati costretti a tacere, una constatazione appare chiara e precisa: e cioè che con la formulazione come dottrina della guerra rivoluzionaria il «fenomeno guerra» è uscito da ciò che potremmo definire il sistema. Un sistema in cui, grosso modo, la mentalità e le reazioni del nemico erano in una certa misura prevedibili. Ma dallo studio appunto della g.r. si acquisisce, ove fosse pur necessario, la certezza che i comunisti intendiamo qui ovviamente riferirci alle élite dirigenti e non certo alle masse che bovinamente le seguono nulla hanno a che spartire con il restante dell'umanità, ma costituiscono in seno all'umanità stessa una presenza estranea, tal quale si trattasse di appartenenti a quelle razze extra terrene di cui si fa tanto uso ed abuso nei romanzi di fantascienza. È dunque non soltanto ridicolo e puerile, ma estremamente pericoloso pensare che si possa comunque trovare un modus vivendi con 'i comunisti che costituiscono, lo ripetiamo, al livello planetario una umanità nella umanità, così come in ogni singolo paese occidentale essi hanno dato vita de facto ad uno stato nello stato, 'uno stato delle catacombe che possiede le proprie leggi ed una propria etica che nulla, assolutamente nulla hanno a che spartire con l'altro stato, quello formale in cui sono impiantati e che vanno giorno per giorno fagocitando sino a quando le ultime apparenze di quel medesimo stato corroso dal suo interno non cadranno in polvere. O al primo scossone dato dai comunisti stessi - o addirittura spontaneamente. Come appunto, minaccia, gravemente minaccia, di accadere in Italia.

 

 

LA G.R. COMUNISTA IN ITALIA

 

Perché anche in Italia la guerra rivoluzionaria comunista è in atto e da gran tempo, e non ci si deve fare ingannare dal fatto che essa non abbia assunto in questi ultimi anni una forma " calda ". Noi abbiamo visto precedentemente come, a detta stessa dei suoi massimi teorici, lo scopo finale di ogni g.r. è la disgregazione dello stato esistente. Nello stesso tempo per Mao che riprende il pensiero di Sun Zu l'arte suprema della guerra in genere e più specificamente della g.r. consiste nel soggiogare il nemico (un nemico che si deve, lo si ricordi, conoscere perfettamente) senza combattere. O combattendo, naturalmente, il meno possibile. Va ora rilevato che, d'altra parte, non è esatto che la g.r. comunista in Italia non contempli nel suo schema operativo una fase "calda". Soltanto che questa fase si è già, in larghissima parte, attuata in passato. E' ormai infatti concorde opinione di tutti gli storici d'una certa obiettività che la partecipazione del partito comunista italiano alla guerra civile che divampò tragicamente nel nostro paese dal 1943 al 1945 non si deve considerare come una parte integrante del movimento di resistenza, ma come una guerra squisitamente "privata" condotta dallo stesso partito comunista contro la società tradizionale italiana, guerra facilitata dal pretesto di combattere contro il fascismo. In realtà in quegli anni e anche per un cospicuo periodo di tempo che seguì la fine delle ostilità, il partito comunista italiano attuò proprio una delle norme fondamentali della g.r. Quella cioè che, come abbiamo visto, consiste nel condizionare una popolazione servendosi sia dell'azione psicologica che del terrorismo. Ci fu dunque, dal punto di vista tattico, una semplice e meditata inversione di fasi. Nella condotta della g.r. in Italia, il partito comunista ritenne opportuno, sfruttando le contingenze favorevoli, di far precedere la propria azione psicologica del terrorismo. Il risultato, è inutile disconoscerlo, venne largamente ottenuto. Tanto che, oggi ancora, a venti anni esatti di distanza da quei massacri dell'aprile 1945 che dal defunto on. Togliatti vennero non a caso definiti come "una delle più belle pagine della storia italiana », perdura in Italia la paura del terrore comunista. E su questo tema potrebbero in modo molto eloquente ed interessante parlare quanti, per esempio, svolgono la loro attività professionale od industriale in diverse zone dell'Italia del nord dove, sul ricordo di quella bella pagina, impera e prospera tuttora un autentico racket di marca marxista, alle cui esazioni debbono sottostare, a ,scanso di ,guai, proprietari di stabilimenti ed operatori economici. Siamo al punto, che in una grande città italiana come Bologna, diverse persone rifuggono _al manifestare le loro opinioni o dal comunicare determinate notizie per telefono, tanto è radicata in loro la sensazione - a torto o a ragione, non importa - che i telefoni siano controllati dagli specialisti della g.r.

Dopo questa fase di terrore palese (quello sotterraneo, come abbiamo detto, continua) il partito comunista italiano ha sviluppato e con risultati ugualmente ottimi la propria azione psicologica, operando secondo diverse direttrici. Che vanno dall'accaparramento della intellighent sia nostrana, sempre pronta ad aderire a chi le dà la sensazione di essere il più forte, al controllo in

,alcuni casi presso che totale degli strumenti per la manipolazione dell'opinione pubblica. Così, come, notoriamente, è avvenuto ed avviene alla televisione.

La g.r. marxista è dunque pienamente in atto anche nel nostro paese e per questo assume, signori, un sapore quanto mai attuale ed ammonitorio quanto scriveva Nicolò Machiavelli, nella sua « Arte della guerra »: Credevano i nostri principi italiani} prima ch'egli assaggiassero i colpi delle oltramontane guerre} che a uno principe bastasse sapere} negli scrittoi pensare una acuta risposta, scrivere una bella lettera} mostrare ne} gemme e d}oro} dormire e mangiare con maggiore splendore che gli altri} tenere assai lascivie interne} governarsi co' sudditi amaramente e superbamente} marcirsi nell'ozio, dare i gradi della milizia per grazia} disprezzare se alcuno avesse loro dimostrato alcuna lodevole via} volere che le parole loro fussero responsi d'oraculi, nè si accorgevano i meschini che si preparavano ad essere preda di qualunque gli assaltava.

L'esistenza di questa nuova guerra impone a chi deve fronteggiarla di adeguare ld propria mentalità ad una nuova logica.

Questo adeguamento, anche in persone di cui non è assolutamente permesso porre in dubbio la fedeltà allo Stato che lealmente servono, è purtroppo in Italia tuttora piuttosto raro.

E citiamo un solo esempio. Si tratta di una vicenda che, parafrasando Hemingway, potremmo intitolare: «Il vecchio giudice e il pilota ». Forse quanto stiamo per dirvi è considerato, al livello dei «principi italiani» per servirci dell'espressione di Macchiavelli un «segreto di stato» che essi preferiscono tener ben chiuso nei loro scrittoi.

Ma anche, e non lo crediamo, se questo è un «segreto di Stato », pigliamo su di noi, signori, la responsabilità, l'intera responsabilità di rivelarvelo in questa sede, in questo Convegno

di uomini qualificati che si sentono come rioi ci sentiamo mobilitati in permanenza al servizio dell'Italia, di quell'Italia dantescamente «umile» cui abbiamo, una volta per tutte, dedicato sin dalla prima giovinezza la nostra esistenza.

Lor signori ricorderanno come, tempo fa, un pilota bulgaro ebbe a compiere un atterraggio di fortuna nell'Italia meridionale, a breve distanza da un'importante installazione militare NATO.

Le intenzioni di quel pilota e le ragioni del suo singolarissimo volo vennero da lui spiegate adducendo un banale errore di rotta. Ma sul pilota bulgaro le competenti autorità italiane rinvennero una pianta topografica d'un genere speciale (cioè ciò che in linguaggio tecnico si chiama un «memory sketch»), vale a dire la pianta dettagliata proprio dell'installazione militare, presso la quale era precipitato.   ,

Ebbene, al giudice istruttore cui l'aviatore comunista era stato deferito sotto l'accusa di spionaggio, il pilota bulgaro dichiarò che quella mappa non era altro che lo schizzo di una palestra di Sofia, ove egli era solito andare a far ginnastica.

Tra un « errore di rotta» e l'altro, supponiamo.

       Tanto bastò a quel candido magistrato che, in fatto di guerra, deve essere rimasto ai cortesi tempi della cosiddetta « guerre en dentelles » e del celeberrimo: «Messieurs les Anglais, tirez les premiers» per prendere carta, penna e calamaio, ed inoltrare, per il prescritto iter diplomatico, una cortese letterina al Governo Bulgaro, letterina in cui, con la massima serietà, quell'ottimo giudice richiedeva, allegando copia del «memory sketch » rinvenuta sul pilota, di confermargli che quella era realmente la pianta d'una palestra di ginnastica e non d'una installazione militare della NATO.

A stretto giro di posta il Governo della Repubblica Democratica Popolare Bulgara s'affrettò a rispondere al richiedente. Non soltanto specificando, ovviamente, che quella pianta era effettivamente quella d'una palestra ginnastica, ma allegando anche premurosamente un certo numero di fotografie della palestra stessa (che era stata, si capisce, rapidamente montata per l'occasione). Cosi quel gentilissimo giudice concluse la propria istruttoria con un non luogo a procedere ed il pilota bulgaro poté felicemente far ritorno in Patria. Dove, ci sia consentito pensare, sarà stato tuttavia ristretto - perché i comunisti certe missioni fallite non le perdonano - per un certo periodo di tempo se non in carcere, per lo meno in una palestra ginnastica.

        Non è, dunque, con consimili, superate mentalità che uno Stato non comunista può difendersi specie se in eSso è in atto 'un processo di g.r.

Analogamente sarebbe oggi per quanto abbiamo visto inconcepibile che le FF.AA. di un Paese occidentale considerassero un atto d'aggressione, soltanto il tentativo svolto da soldati stranieri di varcare in armi una delle sue frontiere.

Oggi l'aggressione e la g.r., infatti, possono benissimo fare a meno delle antiche coreografie belliche e il nemico non ha alcun bisogno di varcare le frontiere di un Paese nel cui interno già dispone di proprie forze agguerrite e preparate,

Ne consegue che tutta la dottrina di una difesa occidentale contro la g.r. comunista deve poggiare su basi interamente nuove ed anch'esse - occorre pur dirlo «rivoluzionarie ». Cosi come nella esauriente e straordinariamente acuta relazione che ascolterete oggi, verrà in modo magistrale chiarito dall'amico professor Eggardo Beltrametti.

Noi ci limiteremo a dire, a conclusione di questo nostro davvero troppo lungo discorso, che per la formulazione di questa nuova dottrina, che potremmo definire della «controguerra rivoluzionaria », è non solo possibile, ma conveniente rifarsi, anche

in questo caso, al linguaggio polivalente in cui si esprime la logica della guerra termonucleare. ,

Come lor signori certo non ignorano, dalle prevalenti dottrine in materia per l'appunto di guerra termonucleare, emergono – fra gli altri - due concetti fondamentali. Quello, cioè di « santuario» e l'altro, legato al precedente, di «teatro d'operazioni ».

Si indica, in breve, come «santuario» lo spazio geografico protetto da una forza di dissuasione totale, vale a dire, lo spazio, in ogni senso vitale, d'uno Stato. Ove, infatti, questo spazio venisse colpito dalle armi termonucleari del nemico ciò provocherebbe automaticamente lo scatenarsi contro il nemico stesso della guerra atomica totale.

Per «teatro d'operazioni» si intende, invece, quello spazio geografico per la difesa del quale non è previsto - in caso di aggressione il. ricorso alle armi termonucleari, ma di cui verrebbe tentata la difesa avvalendosi, caso per caso, delle armi convenzionali più opportune.

Come lor signori hanno già perfettamente intuito questi due concetti sono perfettamente validi anche nel quadro logico della g.r.

Basta, infatti, sostituire all'espressione «spazio geografico» quella di « spazio politico ».

E attualmente, - come ha precisato, tra gli altri, in un suo autorevole studio un ufficiale spagnolo, il capitano Fernando Sanz Esteban, sulla rivista «Ejercito», corrispondente alla nostra ottima «Rivista Militare» - le FF.AA. di un Paese Occidentale non possono più - come per il passato - preoccuparsi di assicurare, unicamente ed esclusivamente la difesa dello « spazio geografico». « Està superado » scrive il Sanz Esteban « el concepto de oficial apolitico. Hoy en dia està planteada una lucha ideologica de la) que no podemos desentendernos y en la que tenemos obligacion de manejar armas tan eficaces almeno como las del adversario... .».

L'autore spagnolo si ricollega qui a quanto ha scritto il colonnello Argoud cosi come abbiamo detto all'inizio. Ne risulta che gli atti della guerra rivoluzionaria comunista diretta contro lo spazio politico di un «teatro d'operazioni» possono e debbono . essere contenuti, di. volta in volta,' con le armi convenzionali (e cioè, per intenderei, mediante l'azione di «autodifesa» delle forze civili anticomuniste).

Ma ne risulta, ugualmente, che qualsiasi violazione compiuta dai comunisti, nel quadro della loro guerra rivoluzionaria nei riguardi del «santuario» come, per esempio, il riuscire, da parte loro, sfruttando opportunità d'eventi e debolezza di governi - di inserirsi in una « nuova maggioranza» o peggio ancora a penetrare, non fosse che con un sottosegretario alle PP.TT. in un gabinetto ministeriale costituirebbe un atto di aggressione talmente grave contro «lo spazio politico» vitale dello Stato, da rendere necessaria l'attuazione nei loro confronti di un piano di difesa totale.

Vale a dire l'intervento diretto, deciso e decisivo delle FF.AA. di quel Paese. Queste FF.AA. in caso contrario, rinuncerebbero infatti, il che non è ammissibile, al loro più preciso e più alto dovere: quello di tutelare nel modo più valido e con l'ultima ma la più efficace delle «ragioni» l'indipendenza e la libertà denti loro Nazione.

 

La guerra rivoluzionaria

 

Filosofia, linguaggio e procedimenti.
Accenni ad una prasseologia per la risposta. 

Relazione del dottore EGGARDO BELTRAMETTI

______________________________________________

L'argomento che mi accingo immodestamente a trattare nel corso di questo Convegno è di tale natura e di tale importanza che può essere dilatato in modo eccezionale, sì da correre il rischio di uscire fuori dai confini e di smarrirsi là dove confluiscono filosofia e politica, matematica e scienza, sociologia e storia. Devo quindi guardarmi da questo pur stimolante rischio ed a !=osto di dare alla mia trattazione un carattere meno formale, vorrei non abbandonare un sano empirismo, ispirato dalla realtà circostante, nella quale ogni uomo libero scorge una minaccia ai valori a cui crede.

Ho suddiviso il mio studio in tre parti. Nella prima parte darò uno sguardo alla situazione internazionale attuale con particolare riferimento alle implicazioni militari e cercherò di illustrare gli aspetti principali dell'offensiva permanente del comunismo per la conquista del mondo, di quel fenomeno che viene appunto chiamato «guerra rivoluzionaria ».

Nella seconda parte vorrei esaminare il problema della risposta alla g.r., di vedere se è possibile segnare le linee di ciò che Raymond Aron chiama la «prasseologia », cioè una scienza dell'azione, o, più brevemente una strategia totale valida per noi italiani, europei ed occidentali, che senza alcuna reticenza ci dichiariamo, siamo e vogliamo essere nemici del comunismo. E dobbiamo porci alcune domande: esiste e qual'è il tipo di risposta che può dare il mondo libero alla g.r.? Qual'è la strategia che governa la g.r. e qual'è il criterio che ci aiuta a riconoscere un'operazione di g.r.? Quale posto hanno nella g.r. l'uomo, la condotta politica, gli strumenti militari tradizionali, la dissuasione nucleare, la previsione, l'informazione, la manovra diplomatica, le operazioni tattiche, la guerriglia, la sovversione, la propaganda, la priorità degli obbiettivi?

Forse, se gli altri relatori ed io saremo riusciti a rispondere almeno in parte a questi interrogativi, potremmo trovare gli elementi per allungare lo sguardo verso l'orizzonte delle nostre speranze e delle nostre azioni.

Nella terza parte accenneremo infine alla situazione dell'Italia nei confronti della g.r., proponendo alcuni orientamenti che possono essere utili a combattere il pericolo che la g.r. rappresenta anche per noi, nel quadro delle responsabilità che abbiamo liberamente accettato.

 

PARTE PRIMA

 

Nel condurre quest'indagine, molte cose appariranno ovvie, molte osservazioni si potrebbero dare come scontate. Molti aspetti del problema infatti furono già autorevolmente trattati da esperti e critici, militari e non militari, tra cui Liddell Hart, Beaufre, Argoud, Trinquier, De Blignière, Bouthoul, Schlessinger, Burn-ham, Gallois, Kahn ed altri. Devo anche avvertirvi che ho omesso, per ragioni di economia di spazio, di citare le fonti. Tuttavia voglio ringraziare in particolare il colonnello Magi-Braschi che mi è stato di prezioso e cortese aiuto, sia attraverso i suoi lavori, sia attraverso alcune illuminanti conversazioni che ho avuto il piacere di avere con lui.

Quel che mi preme e che io spero di fornire sono alcune categorie di concetti che valgano a porre in chiaro un punto di vista nostro sulla materia. Infatti credo che anche voi consentiate nel ritenere che il punto di vista italiano debba essere precisato. Accade infatti che gli autori stranieri tirano, come si suoI dire, l'acqua al mulino delle loro rispettive nazioni, proponendo formule e soluzioni strategiche che risentono di un'impostazione non completamente obbiettiva.

Per intenderci sin dall'inizio sul significato delle parole occorre precisare che la g.r. è un'espressione di marca comunista. Tenteremo in seguito di illustrarne le caratteristiche, ma è necessario subito accennare al fatto che la g.r. si distingue dalla guerra tradizionale non soltanto perché usa particolari tecniche di lotta -- le quali, d'altra parte, con più o meno rigore, sono state presenti anche in altri tipi di conflitto - ma soprattutto perché il suo obbiettivo non è la pace, essa non rappresenta semplicemente la volontà di conquista di un territorio per imporre una nuova fonte di diritto e di sovranità. Il suo obbiettivo è la rivoluzione stessa. Guerra sovversiva, guerra psicologica, guerriglia hanno una parentela ma non sono la g.r., sono metodi di lotta che assume la g.r. e che dalla g.r. sono stati regolamentati e codificati. Si può aggiungere che la guerra psicologica ha trovato il suo posto preferito nella g.r., che la guerriglia è un procedimento tattico che si adatta meravigliosamente alla condotta della g.r., specialmente se si considera che la dissuasione nucleare lascia poca libertà di azione alla condotta di un conflitto convenzionale. Parimenti la guerra sovversiva è così vicina alla g.r. che sembra quasi identificarsi con essa, ma questa, come quelle su accennate, 'non sono che le componenti di un tutto, sono delle manifestazioni congeniali alla g.r.

Dobbiamo dunque chiederci come è nata e si è affermata la g.r. e quale relazione esiste tra essa e l'equilibrio del mondo attuale. La risposta a questo interrogativo va cercata in due direzioni: nelle origini storiche della g.r., che io tralascio, perché sono state l'oggetto della relazione dell'amico de Boccard; l'altra direzione sta nel collocare la g.r. nel contesto della situazione mondiale, constatando che esiste un modo nuovo di condurre la guerra, anzi un modo nuovo d'introdurre la guerra permanente nelle relazioni internazionali. La conseguenza di ciò è l'evoluzione dei concetti strategici.

 

LA NUOVA STRATEGIA

 

Abuserei della vostra pazienza e sarebbe un atto di presunzione da parte mia se avessi la pretesa di fare la storia della strategia. Mi sembra tuttavia necessario, per rendere chiaro ciò che dirò in seguito, affermare che, a mio modesto parere, non esiste" una strategia, ma una pluralità di concetti strategici. Ritengo invece che esista un pensiero strategico, che va ben al d, là delle norme che regolano le operazioni militari; esiste cioè un corpo di dottrina che ha come mèta la realizzazione di determinati fini e che serve ad evitare errori di valutazione sul nemico. In altre parole io mi pongo dal punto di vista della strategia totale, di quel complesso di problemi e di intuizioni, di atti e di procedimenti che valgono a governare e condurre un conflitto sui piani diversi: politico, economico, militare e diplomatico.

In questo quadro molti concetti debbono essere riveduti. Napoleone, che ebbe della guerra una visione molto moderna ed intuì per primo il concetto di guerra totale, affermava che la strategia è soltanto azione, quasi collocando cosi in secondo piano la fase della preparazione alla guerra e, in ogni caso, dando alla strategia un contenuto militare preponderante. Notiamo qui di passaggio che in tempi abbastanza recenti, in particolare nel periodo che abbraccia la prima guerra mondiale e gli anni immediatamente posteriori, la strategia, come raccolta di norme basilari per la condotta della guerra, aveva perso parecchio della sua importanza. Infatti Moltke affermava che essa era «un sistema di espedienti» ed il generale Caviglia, ancor più modestamente, diceva che « la strategia è un insieme di espedienti ». Forse qualcuno sarà sorpreso dal fatto che, in omaggio a questa tendenza, in molte accademie militari sia stato abolito l'insegnamento della strategia e che tale insegnamento non è stato ripristinato o non ha quel posto che; secondo noi, dovrebbe avere.

È stato anche detto che la strategia è l'arte di proseguire una politica con mezzi violenti, il che risulta vero quando si vuoI fare una ben netta distinzione fra stato di pace e stato di guerra. In questo senso la guerra non è che un mezzo per raggiungere la pace, una nuova pace. Oggi questa distinzione è rinnegata dalla realtà; essa non è più possibile. Lo stato di pace formale è contraddetto da uno stato reale di guerra permanente e multiforme.

D'altra parte, anche se si vuoI vedere soltanto le manifestazioni più appariscenti della g.r., noi possiamo constatare che da anni ci troviamo in presenza di veri e propri conflitti condotti con le caratteristiche proprie della g.r. e si è facili profeti nel prevedere che questi episodi cruenti si riprodurranno in molte parti del mondo per lungo tempo ancora. Nel corso di questo confronto permanente, gli avversari si trovano su piani diversi: uno sempre in fase offensiva, l'altro prevalentemente in fase difensiva; uno che mira ad allargare la rivoluzione e quindi a continuare la guerra: l'altro che mira a ristabilire ovunque la pace.

Accenneremo in seguito alle ragioni di questa condizione di svantaggio occidentale, per ora dobbiamo soffermarci sul fatto

che la strategia occidentale, con il conforto di autorevoli scrittori, quali Liddell Hart e Raymond Aron, si è mai liberata dall'impostazione di un netto distacco tra guerra e pace, oppure a tale impostazione non vi ha recato modifiche sostanziali. Ciò si spiega prima di tutto perché ripugna alla nostra filosofia non distinguere la pace dalla guerra, l'uso della violenza dall'esercizio del diritto;' in secondo luogo tale criterio è consolidato dall'esperienza passata, anche la più recente. Infatti esso, in definitiva, ha ispirato la prima guerra mondiale, l'intervallo tra le due guerre ed infine, pur con qualche eccezione, ha prevalso nella seconda guerra mondiale. Il fatto che nuovi importanti mezzi bellici siano comparsi nel campo di battaglia, sembrava confortare questo criterio; nella convinzione che la potenza delle armi fosse risolutiva di ogni lotta e che alla fine tutto si sarebbe risolto con una duratura pace generale. Nessuno per esempio ha avvertito che introducendo la punizione giuridica del vinto, si prolungava la guerra e si dava alla pace il significato che le conferisce la g.r. Nemmeno si è visto che la strategia sovietica nella seconda guerra mondiale aveva già applicato i criteri della g.r. ed è una verità da tutti accettata che il dopoguerra sarebbe stato molto diverso se gli occidentali avessero compreso e valutato senza pregiudizi gli scopi della guerra comunista.

È ben vero che i fattori politici, economici e diplomatici hanno sempre inciso sulla condotta militare, ma non erano mai stati convenientemente presi come primari strumenti di un conflitto. Infatti la strategia, intesa come la ricerca costante della libertà d'iniziativa, si presentava allora come la somma delle operazioni tattiche. Secondo Clausewitz, si ottiene il successo quando con una serie di battaglie vittoriose si abbatte il morale e la volontà del nemico. Ma Lenin, al quale si può far risalire la prima intuizione del nuovo tipo di lotta e che fu un attento lettore del grande teorico dello Stato prussiano, aveva già capovolto l'impostazione di Clausewitz, quando affermava il principio di « ritardare le operazioni fino a che la disintegrazione morale del

. nemico rendesse possibile e facile dargli il colpo decisivo ». In tal modo Lenin metteva l'accento sull'importanza della disintegrazione morale e delle tecniche per ottenerla prima ancora di affidare la decisione alle operazioni militari.

In altre parole dobbiamo allargare il significato della strategia e dire, con il Beaufre, che la sua essenza consiste nell'opposizione dialettica di due volontà. Di qui scaturisce ancora che esiste un'arte della strategia che lascia all'uomo ed alla sua fantasia di scorgere ed intuire la situazione, nel farla maturare nel senso favorevole, impiegando tutti i mezzi, non soltanto quelli militari. Un altro avvenimento che deve essere tenuto presente e che ha una relazione diretta con la strategia della g.r. consiste nell'ingresso della bomba nucleare con i relativi vettori negli arsenali bellici. La natura e la potenza distruttiva di questi mezzi sono tali che, in un certo modo, paralizzano le due opposte volontà,

impedendo di compiere atti le cui conseguenze non sono misurabili e che potrebbe anche identificarsi con il suicidio dei due 

avversari. Ma questo è soltanto un aspetto del problema, perché i mezzi nucleari comunque esistono e fanno parte del quadrI?

strategico in quanto sono una spada di Damocle, la quale, mentre per l'occidente ha un significato prevalentemente deterrente e

quindi difensivo, per il nemico comunista invece serve all'aggressione psicologica e le consente di conferire alla g.r. quel carattere di fatalità e di necessità da cui discende la sua efficacia. In altre parole la strategia della g.r. aggira la strategia della dissuasione nucleare e, avvalendosi delle sue tecniche e dei suoi procedimenti, reca la sua offensiva fuori della portata delle armi atomiche, in una dimensione diversa che non è più in relazione al territorio o alla potenza dei mezzi militari.

Un'altra relazione che passa tra la g.r. e dissuasione nucleare sta nel fatto che questa conferisce a quella un rigoroso carattere

totale, nel senso che la condotta strategica detta anche le le operazioni tattiche apparentemente più insignificanti onde non varcare quei limiti oltre i quali prevalerebbe nell'avversario la volontà di ricorrere alla guerra nucleare. All'osservatore superficiale può sembrare che un attentato,. il terrore seminato in una città od in un qualsiasi ambiente umano, la costituzione di un comitato per la pace o per altre analoghe «istanze », siano episodi slegati, mentre essi sono coordinati, voluti, decisi dall'alto con la stessa minuziosa consapevolezza delle grandi decisioni politiche. E ciò appunto allo scopo di insidiare l'avversario e di condizionarne i riflessi in profondità.

Da questo punto di vista la g.r. si rivela come l'unico conflitto possibile nel tempo del cosiddetto equilibrio del terrore raggiunto per effetto della dissuasione nucleare. Così mi sembra che si possa trarre anche un altro insegnamento, che la strategia nucleare non può vincere la g.r. mentre questa può raggiungere il successo desiderato, sminuire od aggirare o addirittura neutralizzare una strategia basata sulla dissuasione nucleare. Tant'è che, come corollario, si può. affermare ancora che la decisione di una battaglia vittoriosa di tipo classico, anche atomica, condotta con criteri che ignorano la condotta della g.r., non può raggiungere tUtti gli obbiettivi, che può invece raggiungere la g.r.

 

 

 

TRE TIPI DI GUERRA

 

 

Scusate se ho abusato fin troppo a lungo della vostra pazienza a proposito della relazione tra g.r. e strategia. Ora chiedo la vostra cortese attenzione su quanto sto per dire sulla dialettica interna della g.r. A questo proposito i contorni sono forse più vaghi perché una delle caratteristiche fondamentali della g.r. è quella di adeguarsi alla realtà, che è di per se stessa varia e mutevole e perché la g.r. comprende ogni altra forma di guerra. Comprende k. guerra classica, sia essa condotta con soli mezzi tradizionali o anche con mezzi nucleari. Infatti la g.r. non rifiuta, quando è giunto il momento opportuno, di schierare in campo i suoi combattenti e portarli in battaglia. La battaglia di Diem Bien Fu ne è un esempio. Comprende la guerra sovversiva, anzi nella guerra sovversiva la g.r. trova il suo ambiente naturale perché le consente di mimetizzarsi, di agire nella clandestinità e di controllarne lo sviluppo e l'esito finale con i suoi metodi e con i suoi, agenti. La vera e profonda differenza che corre tra g.r. e guerra sovversiva consiste nell'obbiettivo finale. Ne ho già accennato: la g.r. ha per scopo la rivoluzione; la guerra sovversiva ha per scopo lo stabilimento di altre istituzioni e la rivoluzione non è che un mezzo.Non esistono altri tipi di conflitti oltre la guerra classica, la guerra sovversiva e la g.r.

Altre forme di lotta come l'arma psicologica e la guerriglia, non possono essere chiamate guerre, perché sono tecniche aggressive e procedimenti comuni anche se inconsueti a tutti i conflitti, pur trovando il loro posto preferito nella g.r., ove assumono un'importanza determinante. Non mi soffermerò su questo problema delle tecniche e dei procedimenti della g.r., che è trattato con competenza dall'amico Giannettini. Voglio soltanto dire che i comunisti hanno scientificamente studiato e regolamentato queste tecniche e questi procedimenti ed il fatto che questi abbiano avuto successo ha generato qualche confusione fra il tutto e la parte, tra il concetto di .preparazione e quello di esecuzione, fra la dottrina ed il metodo. Nessuno infatti può negare l'efficacia di queste tecniche fondate sulle ricerche del Pavlov, la loro applicazione in fasi distinte e coordinate, il loro impiego dipendente da un rigoroso comando centralizzato. In questo quadro si scorge anche una delle ragioni per cui  la g.r. può agire nel corso di conflitti di lunga durata che mirano a produrre l'usura morale e la stanchezza del nemico. E per durare, specialmente all'inizio del processo, la g.r. impiega mezzi molto rustici e procedimenti numerosi e vari. Ma quello che conta è il rigore scientifico del loto impiego prolungato, sicché il nemico viene sottoposto ad uno sforzo grandissimo e logorante, moralmente e materialmente. Si tratta quindi di una lotta totale prolungata di debole intensità militare, mentre prevalgono in essa i mezzi politici, propagandistici, psicologici, terroristici, organizzativi, appoggiati da tecniche e procedimenti che, in contrasto con gli strumenti rustici messi in opera, sono un capolavoro di precisione quasi matematica. Niente è affidato al caso.

Indubbiamente l'esame di queste tecniche è necessario e fondamentale per la comprensione della g.r. In proposito cedo il passo agli intervenuti. Tuttavia consentitemi di fare due considerazioni.

La prima riguarda la relazione tra g.r. e guerra sovversiva, relazione di un'evidenza solare quando volgendo lo sguardo attorno a noi vediamo che la maggior parte dei conflitti del dopoguerra sono guerre di sovversione. Però, fatta questa constatazione, ci accorgiamo anche che tutte le più recenti guerre di di sovversione sono state sin dall'origine o son diventate guerre comuniste e come tali entrano nel quadro delle g.r. Ed è accaduto, come continua ad accadere, che i protagonisti della sovversione, "magari tinti di acceso nazionalismo, si trasformano in agenti comunisti. È un fenomeno che desta sovente sorpresa e quasi giunge inaspettato. Il fatto è che quando i protagonisti della sovversione adottano le tecniche ed i procedimenti marxisti, e li adottano perché sono efficaci e perché alla vigilanza della g.r. non sfugge il profilarsi di un processo insurrezionale ed il vantaggio di provocarlo, d'inserirsi in esso e di appropriarsene, i protagonisti sono automaticamente e fatalmente portati al comunismo, diventano prima prigionieri dei suoi metodi e diventano poi prigionieri della sua dottrina. Si tratta di un fenomeno basilare per comprendere la g.r. Perché è evidente e si ha una conferma che le tecniche ed i procedimenti proprii della g.r. comunista distruggono nell'uomo i valori tradizionali, fanno valicare nell'uomo gli imperativi della sua coscienza, stravolgono le sue convinzioni morali circa la giustizia, la verità, la libertà e lo proiettano in un mondo in cui questi valori sono considerati un'astrazione o una condannabile indecenza.

Da questo punto di vista si rivela un'illusione credere che si possa fare in qualche occasione un tratto di strada insieme ai comunisti presupponendo poi di abbandonarli per riprendere la marcia senza di loro. A tutti i livelli, in qualunque ambiente psicologico o ideologico nel quale si sono lasciati inserire i comunisti, questi alla fine prevarranno; la marcia in comune è un errore e quello che appariva una mossa tattica, un episodio contingente della lotta politica o di un dialogo, in definitiva si rivela una trappola.

L'altra considerazione questa metodologia della che mi pare necessario fare è che g.r. richiede un controllo dell'uomo,  senza. fessure. Anzi il controllo dell'uomo è proprio al centro della metodologia della g.r. Mao Tse Tung, il teorico più accreditato della g.r. ha lasciato scritto che la missione principale delle forze rivoluzionarie « è di mantenere il dominio della popolazione; sua secondaria missione è di battere e distruggere le forze avversarie, ma mai questa missione deve compiersi a detrimento - della prima».

Si afferrano subito le conseguenze di questa impostazione: controllare la popolazione; dominarne lo spirito per distruggerlo; dominare l'individuo per asservirlo al dogma ideologico e per annullarlo nella massa.

 

CARATTERISTICHE DELLA G.R.

 

 

In primo luogo la g.r. .sposta la lotta dal terreno all'uomo; in secondo luogo la lotta rivoluzionarla si avvantaggia delle passioni umane nello stesso modo in cui la guerra tradizionale si avvantaggia della configurazione del terreno per dare battaglia; in terzo luogo i valori umani ed individuali, l'integrità della persona, la realtà del pensiero, la verità perdono il significato che noi diamo ad essi ed assumono la stessa funzione tattica che, 'nella guerra tradizionale, hanno gli ostacoli fissi. o le armi che si possono modificare o mutare. Noi continuiamo a stupirci che i comunisti mentano, che aggiornino la storia secondo la contingenza rivoluzionaria, che innalzino ed abbattano i lori miti ed i loro personaggi, che mutino continuamente la propedeutica correggendola secondo le necessità del momento; mentre essi non fanno che seguire rigorosamente la dottrina della g.r, per affermare appunto che la verità, il diritto, la storia, la pedagogia sono termini astratti quando non sono al servizio della rivoluzione. Noi per esempio parliamo di statu quo da conservare, intendendo con ciò di impegnarsi a rispettare un equilibrio esistente fondato sui trattati; mentre, come ha detto chiaramente Krusciov, lo statu quo per i sovietici è la marcia della rivoluzione comunista. In termini filosofici possiamo dire che si tratta di due diversi atteggiamenti del pensiero, da una parte la base della realtà è l'essere, dall'altra' la base della realtà è il divenire.

 

Dobbiamo perciò metterci nei panni marxisti per afferrare il significato della g.r., per capire che la strategia della g.r. è totale nella prospettiva di un'offensiva continua e globale, con l'impiego di tutti i mezzi, a cominciare dall'orientamento della politica generale dello Stato. Dalle decisioni di governo alla politica per favorire lo sviluppo scientifico, dall'economia pianificata all'approntamento di mezzi atomici fino al pugnale dato in .mano all'attivista fanatizzato per uccidere, dalla propaganda alle manovre diplomatiche, tutto fa corpo con la strategia della g.r. . In altre parole chi la conduce è permanentemente in stato di guerra e tiene in atto una mobilitazione generale sia con la convinzione e più ancora con la costrizione, con il terrore, con la minaccia.

Perciò nella g.r. la fase di preparazione alla lotta ha un'importanza primaria, maggiore alla fase dell'esecuzione. La penetrazione silenziosa, psicologica e morale, la propaganda, la diffamazione delle classi dirigenti nemiche; la creazione di organismi detti delle gerarchie parallele, delle organizzazioni fiancheggiatrici che, minano l'autorità, il seminare il senso d'incertezza, d'insicurezza economica e politica, le delazioni e le provocazioni sono fattori fondamentali della lotta per preparare il successo di domani Anche la sorveglianza del nemico in tutti i campi è determinante delle decisioni e perciò lo spionaggio specializzato, industriale, politico, finanziario, scientifico, oltre che quello militare, assume proporzioni mai raggiunte prima d'ora, nemmeno in tempo di guerra.        

Sovente l'occidente trascura il carattere totale dell'aggressione comunista, perché non valuta il carattere totale della strategia della g.r. Anche quando sembra che il comunismo perda alcune posizioni, esso non abbandona mai completamente il teatro di battaglia che ha scelto. Ricordiamo quello che è successo a Cuba.

Questo episodio mette suI tappeto un altro problema, cioè se esiste un metodo per stabilire senza ombra di dubbio, sia sotto forma di previsione, sia sotto forma di accertamento le operazioni concernenti la g.r. Ciò allo scopo di poter essere convenientemente preparati per la risposta. L'analisi di tali operazioni è difficile appunto per il carattere poliedrico e totale della g.r. Tale analisi ha attratto l'attenzione di molti autori. Il generale Diaz de Villegas ci dà un elenco che comprende, 37 conflitti, i quali, secondo il suo parere, .sono tutti di tipo g.r.: guerra dell'Indonesia con ,l'Olanda; guerra civile in Cina; guerra in Malesia; conflitto dei guerriglieri comunisti greci; conflitto nel Cachemire fra l'India e il Pakistan; guerra di Corea; guerra d'Indocina tra la Francia e il Vietmin; guerre tra Israele e la Lega Araba; rivoluzione nel Guatemala, in Argentina, in Columbia; guerra nel Sinai tra Israele ed Egitto; campagna di Suez; guerra del Muscat e Oman tra Inghilterra e bande ribelli; rivoluzione ungherese soffocata dall'URSS; analoga ribellione a Berlino Est, in Polonia e in Romania; guerra nelle Filippine contro le bande comuniste della «resistenza »; conflitti nel Libano e in Giordania con intervento degli Stati Uniti e della Gran Bretagna; guerra per Quemoy e lo stretto di Formosa tra le due Cine; guerra civile a Cuba; lotta nel Kenia tra gli Inglesi e le bande dei Mau-Mau; rivolte nel Congo e nell'Africa Equatoriale Francese; conflitto Cipriota; agitazioni in Iraq; attacco comunista al Tibet; lotta in Tunisia, Marocco e Algeria tra i francesi ed i ribelli locali e a Ifni e nel Sahara tra gli spagnoli e le bande filomarocchine; guerra civile nel Vietnam.

È mia modesta opinione che non tutti questi conflitti abbiano le caratteristiche necessarie per essere definiti episodi di g.r., anche se sono in qualche modo da essa ispirati. Naturalmente non può prestarsi a discussioni il fatto che le operazioni di tipo cubano, che gli sviluppi della guerra di Algeria, che l'aggressione nel Congo e nel Vietnam siano atti di g.r. Essi mettono in risalto che la g.r. porta l'offensiva ovunque si apre uno spiraglio con una prospettiva di successo anche lontano. Ma sorgono dubbi qualora l'analisi voglia portarsi su tutta la politica sovietica, nel senso che non è facile discernere se una decisione politica è il frutto di una meditata azione di g.r., oppure scaturisce da fattori di altra natura, per esempio da questioni interne. Infatti rimane da spiegare la politica del policentrismo comunista inaugurata nel periodo kruscioviano. Il policentrismo si è rivelato vantaggioso per i sovietici, ma non possiamo dire con certezza se è stata 'una manovra di g.r. o se invece Krusciov ritenesse che fosse giunta l'ora di, raccogliere e favorire, in quanto fatali, le aspirazioni delle, giovani generazioni sovietiche ; se ritenesse che quelle aspirazioni obbligassero il sistema, all'interno o all'esterno, ad un rinnovamento radicale, concedendo ai singoli partiti 'comunisti, sia a quello sovietico, sia a quelli dipendenti, una certa libertà d'azione in modo che potessero marciare per la loro strada, poco curandosi se avrebbero lasciato cadere ai margini del loro nuovo cammino il peso ingombrante dei dogmi marxisti-leninisti. Insomma vi è sempre un aspetto enigmatico della g.r., il quale rende difficile l'analisi del quadro in cui si manifesta la sua strategia totale. Ma è una analisi che è pur necessario fare in ogni momento ed in ogni occasione per poter dare un'esatta interpretazione ed adeguare la nostra strategia all'aggressione generalizzata e continua. Noi non possiamo trovare una soluzione occidentale alla situazione del presente se non esploriamo diligentemente le intenzioni comuniste, se non riusciamo a comprendere le debolezze del nemico onde batterci su un terreno solido.

Prima di passare alla seconda parte, vediamo di riassumere i caratteri della g.r. La g.r. ha per obbiettivo finale la rivoluzione e non la pace; comprende tutte le altre forme di conflitto e si adatta ad ogni tipo di lotta; la sua origine è comunista; le tecniche ed i procedimenti assumono in essa un valore determinante; il suo obbiettivo è di catturare l'uomo ed asservirlo ad una ideologia; l'ideologia comunista e la carica passionale che i suoi agenti sono capaci di diffondere e di provocare nella g.r. hanno un peso che è superiore a quello del dispositivo militare; la i condotta della g.r. richiede uno sforzo morale prolungato e considerevole ed una coesione completa delle decisioni e delle iniziative; il sistema di lotta diretta coordinato con l'aggressione!

indiretta deve essere collocato in un contesto 'politico mondiale; un'operazione di g.r. in un determinato paese presuppone sempre un appoggio dall'esterno, politico, logistico e militare. Sulla base di questi caratteri distintivi è possibile cercare una definizione della g.r.

 


 

PARTE SECONDA

 

 

 

Se, ponendoci da un punto di vista storico, vogliamo prendere in esame la risposta che sinora è stata data alla g.r. dagli Stati e dai movimenti anticomunisti, il discorso è molto breve.

Basta guardarci attorno a che cosa è accaduto e che cosa accade nel mondo dal 1917, per avvertire i successi della g.r. in ogni continente. Da quell'anno, preso come punto di riferimento, l'unico movimento che ha tentato una risposta alla g.r., è stato il fascismo nelle sue varie incarnazioni. Ma fu un fallimento quasi totale ed è stata anche una risposta inadeguata, frammentaria e,

in qualche caso, ha assunto il carattere di un duello tra un dilettante ed un professionista.

Sono ancora i risultati che illustrano i limiti della risposta occidentale alla g.r. dopo il fascismo. L'unico fatto positivo è che la smisurata potenza dell'America e le sue irraggiungibili energie morali e materiali costituiscono ancora un largo margine di potenziale possibilità di reazione. Tale margine si è tuttavia assottigliato, mentre quelle stesse operazioni condotte con l'illusione di contrastare l'avanzata comunista nel mondo, molte volte si sono rivelate vantaggiose per la g.r. In Africa, l'America ha favorito la decolonizzazione in nome della democrazia e perché la democrazia non fosse preceduta dal comunismo nel corso del processo di assunzione dell'autonomia di quelle popolazioni, ma ha raccolto una messe molto dubbia con l'avvento al potere di dittatori che si sono spesso rivelati utili agenti, coscienti od incoscienti, della g.r.

Risposta incompleta ed inadeguata anche in Asia. Nel Vietnam siamo nella fase calda, ma anche qui, come altrove, la politi-ca degli Stati Uniti ha un obbiettivo limitato. Lo scopo degli Stati Uniti non è la vittoria, ma una soluzione politica; il loro

atteggiamento concettuale è la difesa e non l'offesa; la loro impostazione strategica è rimasta ispirata a quella classica e sta in una

dimensione che può ancora essere aggirata dalla strategia della g.r,

Anche da questi pochi cenni possiamo comunque trarre l'osservazione che una risposta efficace alla g.r. deve assumere il

carattere offensivo permanente sul piano strategico e tattico, deve dare un esito netto, deve essere implacabile e deve essere

marcata dal successo.

Ma ecco che sorgono altre gravi questioni che io propongo alla Vostra attenzione e con le quali si tocca il fondo del proble-ma posto in questa seconda parte dell'esposizione.            .

L'adozione della g.r. come metodo di lotta è compatibile con la filosofia occidentale, con quel complesso d'ideali e di valori e

di convinzioni che caratterizzano il mondo della libertà? Se noi accettiamo la g.r. con le sue tecniche ed i suoi procedimenti, non trasformiamo fatalmente ed automaticamente il nostro modo di vivere nel modo di vivere che dobbiamo combattere? Troviamo nel mondo libero, dove l'uomo mantiene il diritto alla .libertà, una ideologia unitaria che è alla base della condotta della g.r.,. quando in occidente noi scorgiamo molte convinzioni e non un corpo di dottrina omogenea? Come ovviare allo svantaggio che deriva dalla permeabilità dell'occidente all'offesa ideologica comunista in confronto della impermeabilità del mondo comunista? Come condurre un'offensiva quando l'obbiettivo per l'occidente è la pace, mentre per i dirigenti della g.r. è la rivoluzione? Come conciliare il culto della libertà individuale con il controllo rigido delle popolazioni? E non è forse questo stesso contrasto tra la nostra libertà spirituale e la cosiddetta realtà obbiettiva della dialettica comunista che rende possibile lo sviluppo della g.r. fuori dei confini del mondo comunista, che influisce sulle decisioni stesse dei governi democratici, che favorisce il formarsi di maggioranze manovrabili, l'organizzazione sovversiva delle masse e delle cosiddette gerarchie parallele, le quali minano progressivamente lo Stato diffamandone le istituzioni e le classi dirigenti?

 

LE DEMOCRAZIE E LA G.R.

 

Ora è chiaro che la proiezione diretta ed indiretta di una simile offesa permanente trova l'occidente in grande difficoltà. L'occi-dente non ha neppure un suo vocabolario che rappresenti la risposta che deve dare alla g.r. In linea teorica non possiamo neppure adottare questa espressione, la quale significa lotta per la rivoluzione permanente, mentre la nostra filosofia trova il suo traguardo nell'edificazione dello spirito e raccoglie categorie di concetti che valgono ad individuare il processo di accrescimento continuo, qualitativo e quantitativo, della libertà umana. Lo spirito cristiano s'identifica con la spiritualizzazione dell'uomo, po-nendogli orizzonti sempre più vasti; la storia del pensiero europeo cristiano è quell'espandersi dello spirito in tutte le direzioni per raggiungere quella conoscenza del reale che ci avvicina a Dio.

Invece ci troviamo di fronte ad una dottrina che nega l'uomo, perché nega la libertà individuale e nega il fondamento stesso della vita spirituale.

Il materialismo, negando i valori spirituali, li combatte e li vuole annientare in tutte le loro manifestazioni ed in tutti i loro fondamenti. Non a caso il primo obbiettivo della g.r. è di distruggere le élites religiose, di pensiero, politiChe e militari, in una parola le classi dirigenti, perseguitandole, diffamandole, annientandole fisicamente e moralmente.

Permettete che vi dica compiutamente il mio pensiero che di fronte a questo stato di fatto da cui scaturisce evidente il peri-colo che minaccia la civiltà occidentale, i sistemi democratici nella generalità sono inadeguati. Vorrei essere preciso su questo punto: ho detto i sistemi democratici cioè quei reggimenti della cosa pubblica a carattere partitocratico e parlamentare di cui noi italiani conosciamo bene le debolezze ed il loro stato di abulia morale. Voglio anche aggiungere Che non si respinge la democra-zia intesa come metodo di governo che a tutti i livelli abbia coscienza delle sue responsabilità e dei suoi doveri e non quella pseudo-democrazia che consiste nel ritenere Che non si abbiano obblighi verso i postulati di ordine superiore, ma che pretende tuttavia di dare ordini in nome di interessi che non esito a chiamare inferiori, quando essi non sono, come dice il popolo, che « sporchi interessi ».

Questo clima morale non facilita certamente la risposta alla g.r. Ma non dobbiamo arrenderci ed ammettere a priori la nostra fatale sconfitta. Dobbiamo invece prendere l'iniziativa avendo per obbiettivo la vittoria. Accingendosi alla lotta, ponendoci di fronte al pericolo con la consapevolezza di non avere alternative, potremmo superare quelle stesse manchevolezze di fondo  che abbiano additato in certi sistemi.

Certamente noi non possiamo adottare i metodi comunisti della g.r., non possiamo cioè degradare le nostre istituzioni al livello dell'aggressore, rinnegare il nostro Stato di diritto, rinunciare ad alcuni fondamentali principi giuridici per imporre un sistema poliziesco.

Dobbiamo invece dimenticare, come dice il colonnello Bonnet, tutte le regole della guerra classica, oppure, come dice LaCheroy, mettere da parte lo schema della casistica tradizionale con i suoi cinquantamila temi tattici. Dobbiamo anche ricordare che la guerra è in atto, che il comunismo l'ha portata in casa nostra. Non siamo noi che lo diciamo, ma Stalin stesso quando nel 1950 affermava che la guerra è in corso ed è quella « in cui muoiono americani, inglesi, francesi, cinesi, coreani, indocinesi, turchi, indonesiani e uomini di tutte le razze della Terra. Essa è già h atto in Corea, Indocina, Filippine, Indonesia ed in qualunque strada. americana o europea e ciò nonostante, idioti! sono capaci di chiederci se la guerra scoppierà o no ».

Proprio da queste parole di Stalin scaturisce il significato della nostra lotta per sopravvivere, della « guerra non ortodossa », come viene Chiamata negli ambienti atlantici, la quale si ponga nelle condizioni di rispondere alla g.r. con metodo efficace senza tradire i nostri principi.

Noi possiamo imitare la dinamica della g.r., ma dobbiamo anche collocarci al di là o al di qua, a seconda dell' angolo visuale dell'ideologia rivoluzionaria

Voglio dire, in sostanza, Che la g.r. può essere considerata da un altro punto di vista, cioè sotto l'aspetto che ha assunto la

guerra tout court nell'epoca nostra per effetto di fattori umani, sociali, culturali, tecnici, fra loro concorrenti. Il comunismo ha avuto l'abilità e la prevegenza di far sua questa nuova dottrina di guerra, di adattarla al suo sistema, di applicarla nel modo più efficace per la conquista del mondo. Assumendo questa posizione obbiettiva, studiando il fenomeno freddamente come lo stratega militare studia l'avversario per anticiparne le mosse e paralizzarne la volontà, riconduciamo la g.r. nell'alveo della evoluzione dei concetti strategici. Ciò tuttavia non ci esime dal sottolineare le conseguenze che ne derivano, cioè che alle Forze armate debbono venire affidati compiti e funzioni diversi e più ampi.

In altre parole, sul piano pratico, dobbiamo smitizzare la g.r. toglierle il suo contenuto messianico, dobbiamo in definitiva spoliticizzarla onde sceglierci gli strumenti per combatterla che siano efficaci e legittimi quanto impiegati senza falsi pregiudizi.

Intanto bisogna rivedere alcune nozioni. Bisogna respingere la semantica marxista per non essere indotti in errore. Il nostro obbiettivo non è la rivoluzione, è la pacificazione, cioè un'operazione .che s'intraprende per contrastare e sconfiggere con tutti i mezzi un'aggressione condotta contro l'uomo e la sua libertà.

Come la g.r. è guerra permanente e totale e come tale respinge la pace, così la risposta deve essere altrettanto permanente e totale e deve tener conto che, non per nostro disegno ma perché ce lo impone il nemico, noi dobbiamo considerarci in stato permanente di guerra, anche se qualche volta la lotta si presenta sotto forma non militare.

Stando così le cose viene a cadere la nozione di guerra preventiva ed ogni pregiudizio intorno ad essa. Quella che si chiamava guerra preventiva nel tempo attuale è un'operazione legittima e necessaria per allargare la sfera della nostra iniziativa strategica, per prevenire l'attacco.

Un'altra nozione che va riveduta è quella che si riferisce a quel tipo di libertà democratica per cui il nemico ci combatte in nome di quei nostri principi, che egli distruggerà appena avrà raggiunto il successo. Si tratta quindi di un atto di saggezza e di

giustizia togliere ai movimenti, ai partiti ed ai gruppi al servizio della g.r. la libertà d'azione.  .

In questo quadro, prevenire vuole anche dire rispondere ad un pericolo reale e non immaginario, vuoI dire accettare e trarre le conseguenze della distinzione politica fra le forze e gli ambienti al servizio della g.r. e le altre forze. Radicalizzare la lotta è il modo più corretto per impostarla a nostro vantaggio. D'altra parte da quella distinzione può sorgere finalmente quella omogeneità politica che precede e prepara la formazione di un fronte ideologico compatto sul quale basarsi per contrapporsi alla compattezza dell'ideologia comunista.

Prevenire vuole anche dire prevedere. La scienza della previsione assume un'importanza determinante, non soltanto per la conoscenza delle mosse del nemico ma anche per tenere sotto controllo i fenomeni politici, economici e sociali che si possono verificare all'interno del nostro sistema libero e dei quali se ne possono avvantaggiare i dirigenti della g.r. Perciò la previsione è un fattore preminente della risposta politica alla g.r. e della corsa verso lo sviluppo degli strumenti scientifici e tecnici che ci conferiscono un margine vantaggioso di potenza. Nel contesto della g.r. la previsione è un atteggiamento di difesa strategica ed è un

compito che deve essere collocato al più alto livello politico.

Prevenire vuoI dire ancora cautelarsi contro gli attacchi di sorpresa, esterni ed interni, onde preparare uno strumento militare

adeguato alle tecniche ed ai procedimenti della g.r. Uno strumento che comprende la creazione di gruppi permanenti di auto?

difesa che sappiano contrastare la pene trazione avvolgente, clandestina o palese, della g.r. e non esitino ad accettare la lotta nelle condizioni meno ortodosse, con l'energia e la spregiudicatezza necessaria.

Infine, trattandosi di una guerra totale che si svolge su tutti i piani ed è minacciosa proprio per il suo potere di penetrazione all'interno del nostro mondo che vuole aggredire, prevenire significa anche mettersi in condizione di portare l'offensiva nelle zone controllate dal nemico e nel cuore dell'apparato offensivo nemico.

Questo aspetto della risposta alla g.r. meriterebbe di essere trattato a parte. Perché la lotta a tutti i livelli e su tutti i piani deve essere sempre offensiva ed implacabile. Il nemico deve essere incalzato dovunque, combattuto e distrutto. La g.r. è una mischia continua e guai rallentare la guardia, lasciarsi distrarre dalle parole di tregua o di pace del nemico. Non esiste una vera e netta linea di demarcazione tra le parti. La g.r. ha reso i confini convenzionali o artificiali, il vero confine della g.r. passa dentro l'uomo.

In pratica si è visto che i comunisti non sono impacciati molto dalla creazione di linee artificiali di demarcazione, come in Corea, in Indocina, in Germania. La fonte del diritto per i comunisti è la rivoluzione e non i patti sottoscritti. Metterei nella prospettiva della g.r., significa accettare questa realtà e condurre una lotta offensiva senza quartiere su tutta la profondità del campo nemico, contro l'agente provocatore che sta vicino a noi, contro l'apparato di cui fa parte, contro il dirigente comunista locale e contro i suoi capi che stanno a migliaia di chilometri di distanza.

La guerra tradizionale affermava che la migliore difesa è l'offesa; la risposta alla g.r. è efficace soltanto se ha carattere permanen-temente offensivo. Perciò anche le nozioni di offesa e difesa vanno rivedute, in quanto in un certo senso questi termini si sovrappongono e comunque non hanno soltanto un contenuto militare, ma un contenuto più ampio in cui la componente militare non è la più importante. Se vogliamo usare il vecchio vocabolario, possiamo dire che nella nozione di offesa si racchiudono tutte le fasi dell'esecuzione, nella nozione di difesa si riassumono le fasi della preparazione. La quale ultima, come già ho accennato, è la più importante per la condotta di una lotta lunga e destinata a riprodursi in molte parti del mondo in forme più o meno acute.

Anche la nozione di combattente assume un significato nuovo. Il combattente non può ignorare, sia esso civile o militare, che le armi puntate contro di lui o contro coloro che deve proteggere, sono quelle della g.r.; dall'arma che uccide, alle armi più insidiose e più pericolose, dell'infiltrazione ideologica, politica, operativa, dell'agguato, dell'inganno, del terrorismo, della propaganda e della minaccia, della sovversione morale, della corruzione.

Sarebbe un errore fondamentale credere che l'uomo, catturato dal comunismo, sia conquistato da un'altra «religione », sia il soldato di un altro patriottismo ideale. I comunisti non vogliono dei convertiti, ma degli strumenti obbedienti e senz'anima per attuare la g.r.

Da ciò scaturisce che l'elemento uomo, strumento e non soggetto della g.r., è un'arma e che l'impiego di quest'arma conseguentemente non è impacciato da considerazioni morali o spirituali. Un procedimento, dunque, che dal nostro punto di vista èsleale e immorale e che ripugna soprattutto al carattere del militare, più pronto a confrontarsi sul campo di battaglia che in una lotta in 'cui il nemico mette in ridicolo e disprezza i valori a cui il soldato è votato. In altre parole anche la nozione che racchiude

il concetto di cittadino armato assume un significato nuovo. Perciò il soldato non può ignorarlo e deve sentirsi protagonista della risposta alla g.r., non tanto per il fucile che porta, quanto per la sua forza interiore; deve insomma avere un ,carattere, una morale, una dottrina adatte per portare l'offesa sullo stesso terreno del nemico.

 

IL SOLDATO CONTRORIVOLUZIONARIO

 

Forse in questo confronto fra la personalità del soldato del mondo libero e l'agente della g.r. il quale ha rinunciato alla sua personalità per abbassarsi al livello di un cieco strumento, sta la realtà della risposta alla g.r. e la sua concreta possibilità di una risposta vittoriosa. Il soldato che ha compreso questa realtà, non si distingue per l'uniforme che porta, ma per la maggiore fermezza delle sue convinzioni interiori; saprà, se necessario, diventare un soldato della clandestinità di cui conosce le regole rigorose; saprà far di sé stesso un'arma quando proiettato nella dimensione della g.r., conservi intatti i valori dello spirito. Infatti il soldato non difende soltanto il territorio, ma difende un'idea, la libertà, i valori dello spirito, in una parola: l'uomo.

Di conseguenza la funzione militare non è più soltanto quella di organizzare un apparato per la difesa fisica dello Stato, ma assume anche il compito della condotta di una guerra contro un nemico che ha per obbiettivo la conquista ed il controllo della popolazione.

Ovviamente bisogna trovare altre basi alla organizzazione militare. Non sto qui ad insistere su questo problema ed esso si affaccerà più avanti, ma è evidente che si verifica una sovrapposizione delle due nozioni del soldato e del cittadino, anche questo permanentemente mobilitato almeno sul piano morale. Dirò soltanto che l'occidente ha potenzialmente nel suo arsenale un uomo spiritualmente più ricco, il quale può aver ragione del nemico che ha degradato l'individuo ad un frammento della massa. Si tratta però di mobilitario, nel senso più nobile della parola, per farne il protagonista della vittoria e della pace.

Rimarrebbe ora anche da vedere come l'occidente può preparare l'elemento umano per affrontare la g.r. senza tradire le proprie convinzioni. Non ho la presunzione di rispondere ora a questo fondamentale interrogativo. Mi limito a porre il problema, che è morale e tecnico, ed affidarlo all'attenzione vostra, sicuro che nel corso dei lavori di questo Convegno esso sarà considerato, sì da porre le fondamenta per un più approfondito esame.

D'altra parte mi sembra che questo problema, a causa della sua importanza, meriterebbe una trattazione a parte ed io faccio voti affinché esso sia l'oggetto di un prossimo convegno. Consentitemi tuttavia di fare alcune considerazioni generali.

Si tratta prima di tutto di convincersi che si è in stato di guerra e, se le finalità sono diverse, i mezzi di lotta debbono comunque essere scelti sulla base della realtà che ci propone la guerra rivoluzionaria. Quindi stabiliamo subito che non vi è alcuna differenza morale nel colpire il nemico con quelle armi che si dimostrino efficaci. La lotta ravvicinata ci impone i metodi che le sono propri: combattere la sua ideologia con i nostri temi ideologici; disarmare il nemico psicologicamente per minarne il suo orgoglio; se occorre eliminarlo con azione isolata con lo stesso criterio che si userebbe sul campo di battaglia. Una delle caratteristiche della g.r. ed ovviamente della risposta ad essa, ci consente spesso di scegliere il nemico da abbattere ed è naturale che è più redditizio eliminare un capo che un gruppo di gregari, anche se l'azione in sé ha più l'apparenza di un attentato sleale che-di una battaglia leale.

Ciò premesso, la cosa più importante è educare il soldato a questo tipo di guerra. Ed allora bisogna distinguere due momenti:

l'educazione morale e l'addestramento tecnico. L'educazione morale si ottiene indicando chiaramente gli obbiettivi, sottolineando la differenza che passa fra i nostri e quelli degli avversari. In realtà questo aspetto dell'educazione dipende molto dal clima in cui si vive; vale a dire che tale educazione appartiene in primo luogo all'insegnamento pubblico, scaturisce dall'impegno con cui tutta la società nazionale è sollecitata a mantenersi unita, legata alla sua storia ed alle sue tradizioni. In altre parole è questa opera di governo o, per lo meno, un'azione che può essere svolta dalle istituzioni che sono le più sensibili custodi dei valori fondamen_li, in prima fila le Forze armate.        .

Una carica morale di livello elevato è la premessa per un addestramento che sia efficace ed una garanzia che l'addestramento tecnico non abbia fine a sè stesso. Tant'è vero che l'addestramento tecnico non è che la continuazione dell'educazione morale. Questa non soltanto conferisce al soldato l'éntusiasmo necessario per accettare di essere educato al rischio ed alle fatiche, ma lo garantisce di saper valutare e controbattere l'aggressione della propaganda aggirante, dell'insidia ideologica, dell'agguato psicologico.

Guardando il problema da questo doppio punto di vista, che è il modo corretto per porcelo, è evidente che il soldato di oggi, ed intendo quello della guerra non ortodossa, deve essere un soldato di élite, un individuo preparato anche culturalmente, dai riflessi pronti sia per sottrarsi al nemico che gli tiene il fucile puntato sulla schiena, sia per comprendere all’istante dove si cela l’insidia morale. Il soldato della guerra non ortodossa se vuole raggiungere la coscienza del pericolo, deve essere convinto della propria giusta causa e deve essere ideologicamente preparato per comprendere il valore politico del suo dovere. Perciò egli deve essere informato degli scopi strategici e tattici che si vogliono raggiungere onde avere sempre coscienza delle sua azioni e delle iniziative. Egli deve essere e sentirsi un protagonista cosciente e non uno strumento cieco di guerra. Ed in ciò sta l’essenziale della differenza che passa tra il soldato della libertà e l’agente della g.r.

 

 

 

LA RISPOSTA OCCIDENTALE

 

 

Sinora l'occidente ha dimostrato scarse attitudini a porsi ed a risolvere i problemi di fondo della risposta alla g.r.; benché non abbia trascurato completamente di prendere provvedimenti .nel campo pratico. Mi limiterò a fare alcuni cenni in proposito.

In senso generale la preparazione è stata frammentaria e non poteva essere diversamente. In alcuni paesi il problema è stato più studiato che impostato, più teorizzato che risolto. In altri non si è fatto nulla ed i governi hanno dato dimostrazione di abulia, seppure non sono già strumenti inconsapevoli della g.r. marxista. In questi ultimi ufficialmente il problema della g.r. viene ignorato, e non è sempre facile sapere se ciò avviene perché i governi mancano di idee e di decisione, o se sono ormai paralizzati dalla paura, infiltrati di agenti comunisti, debordati dalle quinte colonne. Comunque il loro atteggiamento non ha scusanti; non si tratta soltanto di un errore, ma di una colpa che rasenta il crimine.                        .

Non ci rimane dunque che guardare nella direzione dove è stato fatto qualcosa di positivo. Abbiamo visto che nella g:r., cioè guerra totale e che comprende tutti i tipi di conflitto, si possono distinguere tre momenti: la minaccia atomica, la minaccia di un'aggressione caratterizzata condotta con mezzi tradizionali, la minaccia sovversiva. Questi tre momenti, come abbiamo visto, possono compenetrarsi, sovrapporsi, susseguirsi. Questa distinzione è il modo tecnico di presentarsi del problema ed è in questo modo" che l'occidente ha impostato la sua organizzazione.

Per quanto riguarda la minaccia atomica, l'America protegge se stessa e, nel limite delle sue valutazioni, i paesi alleati. L'America ha anche sviluppato un apparato convenzionale di grande potenza e mobilità per affrontare le aggressioni locali. Inoltre ha addestrato alcune divisioni alla guerra sovversiva. Da questo punto di vista il quadro dell'apparato americano appare completo.

Indubbiamente i problemi dell' America sono unici, ma è anche vero che ancor più che sull'organizzazione delle forze militari, la risposta dell'America alla g.r. riposa essenzialmente nella sua superiorità di potenza ed in altri fattori che possiamo chiamare per comodità geopolitici. L'America può ancora arretrare ed abbandonare zone periferiche senza perdere nulla di sostanziale della sua capacità di reagire. Ma va anche detto che il suo dispositivo non è stato studiato nel quadro di una politica globale ed avveduta, sicché da questo dispositivo l'America non ha tratto grandi vantaggi. Tant'è vero che, contro la volontà dell'America ma anche a causa dei suoi errori, la g.r. sinora ha potuto aggirare la potenza americana e l'area della g.r. si è estesa.                                     '

D'altra parte le divisioni specializzate per la guerra sovversiva forse possono servire all'America per coprire il suo perimetro strategico, tanto più che all'interno i pericoli di sovversione sono abbastanza limitati. Ma sarebbe un errore di grammatica rivoluzionaria credere che un addestramento militare speciale, anche il più spinto, sia sufficiente per paralizzare i tentacoli della g.r. L'avere soldati rotti a tutte le fatiche, addestrati alla lotta corpo a corpo, dotati di mezzi tecnici imponenti può servire per arginare in difesa la g.r., non per vincerla. Il fucil_ che spara in curva, 1(' macchine della verità al seguito delle truppe operanti per interrogare i prigionieri, la ricchezza e la modernità dei mezzi di trasporto e di comunicazione, sono strumenti incompleti per vincere una guerra del tipo vietnamita, perché il Vietnam è solo un episodio di quel conflitto universale che si chiama g.r. Non può essere messo in discussione il valore fisico e morale dei soldati che combattono questa guerra a migliaia di chilometri di distanza dalle proprie case, una guerra per loro quasi astratta. Come non può essere messa in discussione la forza morale del popolo americano che accetta di far morire i suoi figli per una causa che, seppure è anche la sua, ha tuttavia contorni imprecisi. Anzi credo che si debba qui riconoscere il valore dei soldati americani e la forza morale del popolo americano. E mi pare anche necessario farmi interprete presso di voi di un certo sentimento di rammarico, nel constatare che i soldati italiani ed europei non abbiano trovato l'occasione di mostrarsi solidali con la loro presenza fisica accanto ai soldati americani. Questa solidarietà concreta sarebbe un fattore decisivo per la creazione di quella omogeneità spirituale ed ideologica che è il fondamento per vincere la g.r.

Tuttavia, nel quadro della g.r., i soldati « tradizionali » quali sono quelli americani nel Vietnam, rispondono ad una concezione limitata della risposta occidentale, perché sono una risposta militare ad un'offensiva che è invece globale. L'utilità della presenza di truppe speciali rimane circoscritta ad un intervento decisivo in un episodio circoscritto e come tale è indubbiamente efficace, ma rimane ancora fuori della dimensione della g.r. In altre parole la bivalenza di queste truppe speciali addestrate per una battaglia tradizionale e per una guerra sovversiva, rappresenta una soluzione del problema militare, ma non è che una componente o un surrogato di una concezione più ampia che valga a far fronte alla polivalenza ed alla universalità della g.r.

Questo accenno alla guerra del Vietnam ed ai mezzi ed agli obbiettivi degli americani è naturalmente incompleto. Nel corso del dibattito l'esame della situazione vietnamita si ripresenterà ed offrirà l'occasione di maggiori ragguagli, specialmente per quel che riguarda il. più recente sviluppo della strategia americana in rapporto alla dottrina dell'« escalation ».

La Francia è la nazione dove, per molte note ragioni, si è più teorizzato sulla g.r. e dove, oltre che in sede accademica, esistono dei propositi coerenti. L'orientamento militare del recente ordinamento francese, seguendo i criteri di cui si è detto prima, si pone su tre dimensioni: una forza di dissuasione, una forza d'intervento, una forza per la difesa territoriale. In quest'ultimo si può vedere abbozzata l'organizzazione dei gruppi di autodifesa che hanno la possibilità di combattere al livello capillare la forma più tipica della g.r., cioè la guerra sovversiva. Purtroppo che ai propositi non corrisponde completamente la realtà. Ponendoci dal punto di vista della risposta alla g.r., la politica estera della Francia è per lo meno discutibile ed è il minimo che si possa dire. Alla sua vocazione mondiale, corrisponde una valutazione errata del vero significato della g.r. Quando si afferma che i regimi passano e le nazioni restano, si dimentica che le nazioni possono. morire ed anche le civiltà, come diceva Paul Valéry, possono. scomparire; e nel contempo si sottovaluta l'obbiettivo della g.r. che è di distruggere i nostri valori umani. Non vado lontano dal vero affermando che la maggioranza dei francesi respinge l'idea di rimanere una grande nazione diventando comunista, sempre che si ammetta che nazione e comunismo possano conciliarsi.

Ma, a parte questa riserva fondamentale, aggiungiamo che la forza di dissuasione francese va collocata in un impreciso futuro, che l'apparato. convenzionale d'intervento è stato sacrificato alla creazione della forza di dissuasione e che l'organizzazione territoriale è sinora soltanto attuata sulla carta.

. Vi faccio grazia di prendere in esame gli altri paesi europei. Diciamo soltanto che ognuno ha condizioni particolari, che l'unico. fatto che li accumuna sta nella dipendenza strategica dall' America, che l'unica speranza che hanno è quella dell'unione. Infatti solo, l'Unione europea potrebbe offrire le basi per una concreta risposta alla g.r., sempre che l'unione sia il frutto di un atto di coscienza dello stato di pericolo a cui siamo arrivati per effetto della g.r.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


 

PARTE TERZA

 

 

 

Siamo giunti alla terza parte di questo esame 'e vorrei vedere il problema della risposta alla g.r. in riferimento all'Italia. Non starò a dire né dei motivi né della gravità del pericolo che la g.r. rappresenta per noi, dato che non soltanto abbiamo il privilegio di avere il partito comunista più forte del mondo libero e di essere collocati ai confini di uno Stato d'ispirazione comunista, ma anche di constatare che i comunisti sono arrivati nell'anticamera del governo. Non ho intenzione di parlare, né della politica in generale, né della politica interna ed estera dell'Italia ad un uditorio cosi qualificato e più informato di me. Lasciamo dunque il dato politico italiano, il quale, da un certo punto di vista, non è molto differente, se non in peggio, da quello degli altri paesi europei alleati. Ciò equivale a dire che intendo far astrazione da quel contesto delle decisioni politiche che sono necessarie per porre la nazione all'ora della g.r. Ciò non è pertinenza di questo Convegno ed in materia noi dobbiamo solo prendere atto che l'Italia è una nazione ufficialmente schierata nel campo avverso al comunismo ed è parimenti uno degli obbiettivi, forse uno dei più deboli, della g.r. comunista.

Pertanto voglio vedere il problema esclusivamente sotto lo aspetto organizzativo; alla ricerca di un orientamento che nelle condizioni attuali sia il più efficace. In proposito notiamo subito che l'Italia rimane un paese atlantico, vale a dire che la sua volontà strategica si rispecchia in quella delle sue alleanze. A ciascuno il suo compito, ed a noi il nostro con i nostri limiti. Orbene in questa volontà strategica comune, esiste un compito. strategico che implicitamente l'alleanza ci conferisce ed è quello d'impedire che il comunismo in Italia avanzi, paralizzi questo scacchiere dell'alleanza ed alla fine possa cadere sotto i colpi della g.r. È amaro constatare che questo unico ed essenziale compito strategico a noi affidato non ha trovato riscontro adeguato. La situazione italiana, parlando in termini di responsabilità atlantica, dimostra chiari segni di sgretolamento sotto i colpi ,della g.r. ed ha oltrepassato i limiti di sicurezza strategica.

Sia ben chiaro che questo mio giudizio non ha un contenuto militare, perché, anzi, parlando in termini militari, il nostro apparato difensivo è in paragone ai mezzi ed alle opportunità offerti dalle decisioni politiche, solido, valido, ricco di spirito innovatore, ben oleato e convenientemente attrezzato.

Tale stato di fatto rappresenta una speranza concreta alla quale si aggrappano gli italiani affinché la Nazione non sia soffocata dai tentacoli della g.r.

Ma noi dobbiamo vedere il problema della nostra posizione di fronte all'avvolgente minaccia della g.r. da un altro punto di vista, cioè di quelle scelte e di quelle decisioni che possono alimentare la risposta alla g.r., tenendo conto delle nostre possibilità politiche, economiche, finanziarie.

La minaccia, come si è detto e ripetuto, è globale e totale. Schematicamente si può prevedere un attacco nucleare, un attacco tradizionale alla frontiera orientale con lo sbarco in profondità di truppe aviotrasportate, una guerra sovversiva. Consentitemi di ripetere che questa distinzione va vista nel quadro della g.r. e cioè che gli atti ostili possono essere anche contemporanei e che comunque si verificherebbero tentativi di sovversione. Insomma noi ci troviamo di fronte agli stessi problemi che ha tutto l'occidente con qualche preoccupazione di più all'interno. Alla domanda se noi siamo in condizioni di organizzarci su queste tre dimensioni, la risposta è no. Noi non abbiamo un armamento nucleare, ed infatti ci affidiamo al deterrente americano nel quadro della Alleanza Atlantica. Noi. abbiamo un apparato convenzionale per una guerra tradizionale, la quale è poco probabile. Per quanto si riferisce poi alla risposta alla guerra sovversiva, manifestazione caratteristica della g.r., il nostro apparato rappresenta indubbiamente un deterrente, ma non uno strumento ad boe. In linea di principio occorrerebbe crearlo, come è nei progetti francesi, onde affrontare la terza dimensione della g.r. Ma si tratta di un'organizzazione costosa, ci vorrebbero mezzi finanziari più ampi di quelli di cui l'Italia può disporre. Le autorità militari hanno dimostrato sensibilità di fronte a questo problema ed hanno conferito la massima importanza sia alla flessibilità del dispositivo, sia al fattore uomo, alla formazione del suo carattere, al suo addestramento, alla sua solidità morale, al suo spirito d'iniziativa individuale e di devozione al dovere. I risultati raggiunti appaiono eccellenti. Ma manca un organismo di fondo che abbracci la situazione e la ponga in termini realistici per affrontare la terza dimensione della g.r.

Allora dobbiamo chiederci se, mancando i mezzi per questo doppione dell'apparato bellico, si possa guardare in un'altra direzione. È inutile nasconderci che in Italia la guerra sovversiva rappresenta un pericolo maggiore di un conflitto tradizionale. Perché, allora, stando così le cose non si fa una scelta radicale orientando il nostro apparato bellico più in questo senso che in quello tradizionale? Non è qui mio proposito scendere ai dettagli, ma per far comprendere il mio pensiero vorrei accennare ad alcune conseguenze che deriverebbero da una simile trasformazione. Innanzi tutto un'organizzazione siffatta copre tutta la nazione in modo tale che tutti i cittadini sono nelle liste di mobilitazione e distinti per le loro attitudini non soltanto militari. È cosi possibile fare una scelta di coloro che debbono formare i gruppi di autodifesa. Gli Stati maggiori possono essere misti, cioè assistiti da civili. L'armamento tradizionale viene ridimensionato, sacrificando almeno una parte dei mezzi pesanti, per formare gruppi di commandos e gruppi di combattimento flessibili, celerissimi, dotati di mezzi di trasporto e di comunicazione abbondanti ed i più moderni.

Se il nemico attacca la frontiera, non si accetta la battaglia in senso tradizionale, lo si lascia avanzare per strozzarlo, scontando le perdite che si subirebbero in un urto frontale con le perdite che si avrebbero in un tempo più lungo nel corso della offensiva logorante di tipo della g.r. Con molta probabilità le nostre perdite sarebbero meno gravi in uomini ed in ricchezza distrutta. Nelle zone controllate dal nemico il nuovo apparato reagisce piombando nella clandestinità e si avvale delle basi rimaste sicure e delle basi logistiche clandestine predisposte, e si organizza per logorare moralmente e fisicamente il nemico. La marina trova in questo quadro una funzione insostituibile come strumento che sfugge all'insidia e che invece può portare l'insidia, collegando ed alimentando i vari fronti della lotta. Altrettanto si dica dell'aviazione che per queste missioni particolari potrebbe impiegare mezzi rustici poco costosi. Voglio accennare anche alle conseguenze di ordine morale di questa trasformazione, perché è evidente che il cittadino, ed intendo ovviamente il cittadino leale, troverebbe il clima adatto a fare il suo dovere ed a farlo nel campo che è più vicino alla sua professione ed alle sue attitudini. Cosicché. l'agente della g.r. può essere paralizzato, la popolazione rimane sotto il controllo morale delle forze della legge e le forze nemiche non alimentate e combattute sullo stesso loro terreno si ridurrebbero a quella minoranza che di fatto sono. Sono schematici suggerimenti che propongo alla vostra attenzione.

Io ho finito e vi chiedo scusa se ho abusato della vostra pazienza. Vorrei soltanto pregarvi di credere che ho cercato di far apparire la g.r. per quello che è, cioè un pericolo immanente ed immediato per tutto l'occidente e per noi in particolare. I concetti

che io ho esposto mi appartengono e vi prego di discuterli, di criticarli o di respingerli e, se alcuni tra essi vi paiono degni di

essere accettati, vi prego di svilupparli ed approfondirli. Noi siamo tra uomini liberi ed accettiamo tutte le opinioni, escluse quelle degli agenti della g.r. comunista. Tali opinioni si combattono, per difendere i valori ai quali crediamo, la nostra civiltà cristiana ed europea, la Patria, alla quale, malgrado tutto, continuiamo a credere.



PARTE SECONDA >>