PARTE SECONDA
Necessità di un' azione concreta contro la penetrazione
comunista
Intervento del 3 maggio dell'ingegnere VITTORIO DE BIASI
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Signor Presidente, signore e signori. lo devo confessare che io mi trovo qui
come un pesce fuor d'acqua. Perché tutti i contributi che sono stati
presentati questa mattina e nel pomeriggio riguardano precipuamente la parte
militare del problema, parte nella quale io sono assolutamente sprovvisto di
cognizioni, quindi non potrei criticare, portare un contributo critico a
quanto è stato detto e mi limiterò unicamente ad alcune osservazioni che a
me sembrano di particolare importanza, anzi, a me sembrano di importanza
forse anche maggiore del fatto militare. Intanto ricorderò che Croce ha
detto che le rivoluzioni le fanno i borghesi, non le fanno le masse, quindi
noi abbiamo di fronte un problema di enorme vastità, che nessuno, fino a
questo momento, ha curato di sviluppare e di risolvere, cioè quello di
educare non le masse dei contadini e degli operai, ma quello di sottrarre le
masse borghesi, i ceti medi, all'attrazione del mito marxista. Noi ci
troviamo di fronte ad una situazione paradossale: sembra che la borghesia
nutra un sentimento di inferiorità e di colpa, non attacca il nemico che
l'attacca, ma si difende debolmente, quasi scusandosi di quello che sta
facendo in difesa: questo è il dramma del nostro Paese e di tutto il mondo
occidentale. Noi non abbiamo ancora sviluppato in noi stessi la convinzione
che ci troviamo di fronte a qualcosa di 'mitico, quale è il mito marxista,
il quale non ha nessuna relazione né con la logica, né con la realtà, ed
allora, affascinati da questo mito, il quale pretende di risolvere tutti i
problemi della vita sociale e della vita individuale, non studiando a fondo
i problemi del comunismo, e, anzi, spesso ignorandoli ci attendiamo di
risolvere questa lotta con mezzi non adatti. Noi siamo in uno stato di
sottomissione: stiamo ritirandoci di fronte a coloro i quali svolgono una
propaganda che va avvelenando non solamente il nostro popolo, il quale del
problema del marxismo e del comunismo molto probabilmente non si cura, ma le
nostre élites intellettuali, le quali sono state catturate dal P .C.. Ciò
costituisce la debolezza maggiore di tutto il nostro schieramento. Noi
vediamo degli uomini egregi i quali danno la loro adesione quando si tratta
di manifestazioni culturali nelle quali noi vediamo apparire il comunismo.
Questo è il problema che a me sembra di grande importanza. Tanto più che se
volessimo studiare un po' più a fondo il problema, dobbiamo chiederci: È
proprio vero che la Russia vuole la guerra? Evidentemente la Russia teme la
guerra forse più di ogni altro Paese. La Russia minaccia la guerra, ma non
ha nessun vantaggio, non ha nessuna intenzione di scatenarla, perché ha già
degli eserciti in ogni nazione pronti ad occupare i posti di comando quando
se ne presenti l'occasione, attraverso quell'opera di corruzione la quale
non ha risparmiato nessuno dei ceti della popolazione: ha invaso la
magistratura, ha invaso la chiesa, ha toccato la scuola nei suoi professori
e nei suoi studenti, per non parlare di quell'enorme numero di maestri
elementari i quali per lo meno per il 40% sono di fede comunista. Questo è
uno dei problemi che dovrebbe essere posto in esame e che dovrebbe essere
risolto.
Credo che il pericolo che rappresenta la Scuola infiltrata dal comunismo sia
ancora più grave del pericolo rappresentato dalle bombe atomiche di cui
dispone Mosca e, di conseguenza, mi sembra che sia più importante trovare
una soluzione a questo problema che addestrare i nostri soldati alla
guerriglia nel caso che essi fossero chiamati a combattere, come nel
Vietnam, i guerriglieri comunisti. Se noi non prepariamo i nostri soldati
fin dalla scuola elementare e non li seguiamo anche nello sviluppo
successivo quando frequentano le scuole medie e superiori, se ci limitiamo a
fare convegni dottissimi come questi, io credo che saremo molto soddisfatti
di noi stessi, ma non avremo risolto alcun problema.
Quando mi è stato mandato l'invito di partecipare a questo Convegno ho
cercato di documentarmi attraverso per lo meno una diecina di libri sulla
posizione della Russia, della sua propaganda e dei metodi che essa adotta
per minare il mondo occidentale. In tutti questi libri tutto ho trovato,
salvo che il ricorso all'atomica o all'invasione. Infatti voi vedete che
mentre cadono sul campo di battaglia gli americani, non cade nemmeno un
russo e questo è un insegnamento che dovrebbe essere preso a nostra norma.
Si è anche parlato della grande influenza che può avere la televisione e la
radio. lo ho cercato di documentarmi anche su questo argomento ed ho trovato
un volume, di un autore americano, il Parker, il quale nega che la radio e
la televisione abbiano una grande influenza nello spostare il modo di vedere
delle masse. Tutt'al più la radio e la televisione non spostano che quel
cinque per cento di incerti che esistono in ogni società. Quello che bisogna
fare invece è quello di avere degli uomini che siano preparati a questo
combattimento, che possano avvicinare la società nelle sue varie
stratificazioni, dagli operai ai professori di università, ai magistrati,
per cercare d'illuminarli sulla realtà del comunismo e del marxismo, perché
la maggior parte di coloro che si dedicano a difendere il marxismo ed il
comunismo dei medesimi non conoscono assolutamente niente.
Questa è la verità. Quelli che si sono approfonditi nello studio del mito
del marxismo e del comunismo, hanno rapidamente voltato le spalle al mito
stesso e si sono orientati verso una civiltà cristiana occidentale, perché
come dice ancora Croce, permettetemi di ricordarlo ancora una volta, noi non
possiamo essere che cristiani. Dunque, io ho preparato delle cartelle nelle
quali ho riassunto i volumi che ho letto, ma mi parrebbe di attentare alla
vostra pazienza se io aprissi le cartelle stesse e leggessi questi
riassunti. Mi pare che una conversazione, viceversa, cosi informale, come si
suoI dire, possa essere più efficace.
A quali mezzi ricorrono generalmente i comunisti e la Russia? Mai
all'attacco frontale; vanno invece a cercare un elemento qualsiasi che
interessi un determinato strato della popolazione, lo scontento, ad esempio,
degli impiegati dello Stato, i quali ricevono dei compensi che non sono
ritenuti sufficienti per vivere in un modo decente, ed allora, attraverso
questo mezzo riescono ad influenzare gli impiegati dello stato; cosi i
maestri di scuola, cosi i magistrati, cosi anche i soldati (riescono ad
introdursi anche nell'ambiente militare); tralasciando quello che è avvenuto
nell'ambiente della Chiesa, ricorderò, senza parlare dell'Italia, lo
scandalo che si è verificato in Francia dove giovani dell' Azione cattolica,
tinti di comunismo, si sono ribellati alle gerarchie ecclesiastiche insieme
ad alcuni preti.
Un altro mezzo efficace in mano ai sovietici per combattere l'occidente è
quello della coesistenza. Però, pur esaltando la coesistenza tra comunismo e
mondo della libertà, Mosca non' ha mai abbandonato il suo scopo finale di
sovvertire l'occidente, di dominare il mondo intero. Al punto che dobbiamo
domandarci se esiste ancora in Russia una tesi comunista o se, invece, i
sovietici ed i loro alleati non mirino ad altro che ad allargare sempre più
la dominazione russa.
La mia esposizione è molto frammentaria, vorrei ricordare però due 'punti
che mi sembrano di grande importanza. Pochi anni fa, quando è cominciato
l'alluvione, se così si può dire, dei meridionali al nord, io ho avvertito
chi di dovere che bisognava prepararsi ad accogliere questi meridionali
affinché non cadessero preda del comunismo. Ma non è stato fatto
'assolutamente niente, o è stato fatto molto poco, e questo lo dico anche
per la categoria industriale, che non ha preso, se non in ritardo, quei
provvedimenti che dovevano essere presi. Ho constatato personalmente che
questi meridionali, sono stati ricevuti al nord dagli agenti del partito
comunista e sono stati aiutati nei primi passi: a sistemarsi, a trovare un'
lavoro, a trovare la casa, ad essere inseriti nelle liste del Comune.
Costoro votano comunista, non perché siano comunisti, ma perché il primo che
si è presentato ad aiutarli non è stato il sacerdote, ma è stato l'agente
comunista. Questo è uno dei fatti.
L'altro fatto è quello dei militari. I nostri egregi ufficiali, quando hanno
i giovani che vengono sotto le armi li preparano (parlo delle armi più
importanti, quelle che un tempo si chiamavano dotte) anche per la vita
civile, però, una volta che sono congedati, vengono abbandonati a se stessi.
Ora, se non si provvede anche a mantenere questi soldati in collegamento con
i loro ufficiali, ed a fare in modo che non perdano quell'insegnamento che
hanno appreso nella vita militare, cadranno sotto il dominio dei comunisti.
Vogliate scusare la brevità della mia esposizione ed anche la
frammentarietà, ma ho voluto richiamare l'attenzione di quanti mi
ascoltavano sulla necessità di esporre alcuni principi generali, i quali
devono essere conosciuti; però è necessario passare anche ad un'opera
pratica, alla quale io mi sono dedicato da vent'anni purtroppo con
scarsissimi risultati, perché non sono stato capace di farmi intendere su
quelli che erano i pericoli che si presentavano al mondo occidentale ed
anche alla nostra Italia.
La tattica
della penetrazione comunista in Italia
Intervento del 4 maggio del dottore PINO RAUTI
Cercherò di mantenere il mio intervento nei limiti concessi dal Convegno,
limiti che potranno essere ritenuti più o meno stretti ma che vanno
osservati se non si vuoI finire con il fare un convegno politico, con tutti
i vantaggi, ma anche con tutti gli svantaggi che ne deriverebbero. Questo
incontro ha, invece, un suo carattere specifico che consiste nell'analisi
della tecnica, della metodologia della g.r., o guerra sovversiva che dir si
voglia. Ora, sulla teoria di questa guerra sovversiva ci troviamo quasi
tutti d'accordo. Ci sono delle sfumature interpretative, ma abbiamo appreso
(ed è stata una piacevole scoperta) che in varie parti d'Italia, persone
diverse, gruppi diversi, circoli ed ambienti diversi, di diversa estrazione
politica, si sono posti questo stesso ordine di problemi. Dobbiamo tuttavia
sgombrare il campo, a mio avviso, da alcune questioni preliminari, da alcuni
quesiti pregiudiziali. Si è detto ad esempio: «Ma non basterebbe la semplice
applicazione delle leggi? Non basterebbe la semplice applicazione del Codice
Penale, per reprimere, nella fase iniziale, le manifestazioni aggressive del
comunismo per la conquista del potere? Prima di tutto si deve osservare che
la g.r. in sé e per sé, negli atti specifici nei quali essa si articola, e
che spesso vengono affidati a particolari agenti di esecuzione, si
estrinseca in atti che non sono direttamente perseguibili dal Codice Penale.
Si tratta, cioè, come diceva uno studioso, uno studioso belga della g. r.,
di un delitto globale, che è difficilmente definibile e che quindi non è
colpibile nella manifestazione con cui esso si presenta. È la somma, la
globalità e soprattutto la continuità con la quale questi atti vengono
compiuti, nel tessuto connettivo dello Stato, nel tessuto politico, nel
tessuto costituzionale, economico e sociale, che configurano la g.r.
_Da qui la sensazione, quasi avvilente, di disarmo che una certa parte della
classe dirigente politica contemporanea d'Italia, prova, indubbiamente,
dinanzi alla situazione, dinanzi all'attivismo scatenato dei comunisti. Cioè
la sensazione che gli strumenti giuridici, politici e costituzionali siano
dati superati da questa nuova tecnica.
Quesito di ordine ancora più generale è quello sulla capacità obiettiva che
possono avere o che non possono avere alcuni tipi di regimi politici
nell'affrontare questa forma moderna di aggressione, di marcia verso il
potere, di conquista. Indubbiamente, un conto era la lotta politica condotta
nel diciannovesimo secolo, che ubbidiva a certe regole, che riguardava
categorie molto ristrette di persone; un'altro è la lotta politica che si
conduce oggi nelle grandi platee contemporanee, dove operano
contemporaneamente decine di milioni di persone, le quali sono raggiunte
quotidianamente, ora per ora, fino nell'intimità della casa, dallo sviluppo
tecnologico contemporaneo e dallo sviluppo dei grandi mezzi di
informazione"_cco quindi che, al di fuori del quadro strettamente penale,
strettamente giuridico, nel quale sarebbe estremamente difficile situare il
problema della repressione dell'attività sovversiva, al di fuori dello
stesso quadro politico e costituzionale, che si trova ad essere superato
dalla corsa dei tempi, si pone angoscioso e drammatico il problema che
questo Convegno intende, appunto, sottolineare.
Ci troviamo di fronte ad una nuova tecnica per la conquista del potere.
Qual'è, quali sono, in linea pratica, in linea concreta, le sue
caratteristiche, le sue espressioni e manifestazioni principali, e quali
sono i metodi con i quali a questa tecnica si può reagire? In linea teorica
siamo tutti d'accordo; si chiami guerra sovversiva, guerra rivoluzionaria,
guerra psicologica, noi ci troviamo di fronte ad un piano accuratamente
elaborato, che si contraddistingue in pratica per due aspetti principali: il
primo è che, con questa tecnica, il comunismo ha rinunciato all'attacco
frontale condotto nei confronti dello Stato. I più anziani, fra di noi,
presenti in questa sala, ricorderanno certo per esperienza diretta, i meno
anziani lo sapranno per averlo letto, in quali forme si espresse, nell'altro
dopoguerra il tentativo comunista per il potere: era la tecnica dell'assalto
frontale; non c'era istituzione dello Stato che non venisse frontalmente
aggredita, che non venisse, quasi ottusamente, presa d'assalto. Andavano a
dar fastidio, andavano a sciogliere non solo le dimostrazioni patriottiche,
ma perfino le manifestazioni religiose, le cerimonie più intime e più care
alla psicologia collettiva; andavano a strappare dai petti dei combattenti
le medaglie al valore, sputavano sulla bandiera, insultavano tutti coloro
che osassero presentarsi in divisa in certi quartieri notoriamente
sovversivi. Ovviamente, ci fu una reazione a tutto questo, e quello che
successe lo sappiamo benissimo. In questo dopo guerra (non solo per la
lezione che i comunisti ebbero allora, ma anche per una serie di altre
considerazioni) hanno cambiato tattica. Oggi, la difficoltà di combat- il
comunismo in Italia dipende quasi esclusivamente dal fatto che i comunisti
non si vedono. Essi sono tanto onnipresenti, quanto invisibili. Voi potete
andare nei quartieri più «rossi» di Roma; voi potete andare nelle zone più
rosse e più sovversive della Toscana e dell'Emilia, dove i comunisti hanno
già raggiunto da molto tempo e sotto molti aspetti hanno già superato la
maggioranza assoluta (dal 60 al 70% di voti); voi potete andare nelle
cosiddette "Stalingrado rosse", che non sono soltanto quelle di Sesto S.
Giovanni, ma sono anche certe zone agricole pugliesi, sono nel triangolo
rosso molisano, e via dicendo (zone nelle quali i comunisti, notoriamente,
controllano la situazione); ebbene non vedrete mai un distintivo comunista
all'occhiello. Questo per significare, per sottolineare, quasi, che i
comunisti intendono conquistare lo Stato, attraverso una lenta opera di
saturazione interna.
Questo è il primo aspetto che assume, in Italia, la guerra sovversiva per la
conquista del potere. Quindi, da questo punto di vista, noi non dobbiamo
credere che si ripeterà in Italia, meccanicamente, la trasposizione degli
schemi organizzativi, degli schemi attivistici che contrassegnarono il
periodo che va dal 1943 al 1945. Anzitutto, perché allora c'era una guerra,
e c'era una guerra civile, e c'erano particolari emotività scatenate dagli
avvenimenti del 25 luglio, dell'8 settembre, e via dicendo; e poi perché i
comunisti si sono resi conto che qualsiasi tattica che li portasse a
combattere allo scoperto, alla luce del sole, facendo proclamare gli
obiettivi che intendono raggiungere, non potrebbe non, provocare un processo
di reazione contraria. Ed è questa la cosa che evidentemente essi temono di
più.
Quindi, io non porrei il problema del pensare a come difendersi dalle
conseguenze ultime della g. r., pensando ai comunisti che, chiusi nel
segret6 del loro apparato, si domandano: «chi dovremo uccidere per primo col
colpo alla nuca, il prefetto, il questore, il parroco o il vescovo? ». I
comunisti, oggi, nell'Italia 1965, non sono affatto in questo ordine di
idee, per quanto si sappia tutti che esiste un apparato pronto a scattare
alla prima occasione, per quanto serpeggi nelle masse comuniste un certo
estremismo massimalistico che già esplose, per esempio dopo l'attentato a
Togliatti. In quell'occasione, infatti, le masse comuniste, per conto loro,
scesero nelle piazze ed andarono molto al di là di quanto non volessero i
loro dirigenti. Il che sta a -dimostrare che spesso i dirigenti comunisti
non riescono a padroneggiare il cosiddetto « estremismo di base ». Ma,
fermandoci al vèrtice, alla sua visuale politica, alla organizzazione e alla
propaganda da esso imposte, noi dobbiamo prevedere che il P.C. in Italia
tenterà molto difficilmente il colpo della conquista violenta del potere, e
continuerà a lavorare cosi come ha fatto fino ad oggi, cercando di riuscire
nei suoi intenti attraverso la lenta saturazione degli organi dello Stato.
Di conseguenza, mentre una volta si doveva parlare in termini esclusivamente
anti-comunisti, ora ci si deve porre il nuovo problema che deriva dalla
crescente strumentazione che dell'apparato dello Stato Stanno facendo i
social-comunisti, lasciando alle altre forze, il compito, l'onore e il
rischio, quindi, di una eventuale ribellione contro i poteri costituiti.
Dunque non meccanica trasposizione dei tentativi prece. denti ma lenta
conquista dall'interno dell'apparato dello Stato. Oggi, per il PCI (io l'ho
detto diverse volte e lo ripeto anche in questa sede) è più importante, è
infinitamente più importante disporre del posto di capo servizio alla radio
e alla televisione, là dove si manipolano i programmi, che disporre di
cinquecento attivisti in piazza, perché i cinquecento attivisti in piazza ne
possono mobilitare altri
cinquemila avversi, contrari e decisi a menare le mani. Inoltre cinquecento
attivisti comunisti non si fanno vivi che in determinate
-occasioni, mentre lo sconosciuto signore che, nel chiuso di una stanza,
'Sceglie un'opera teatrale invece di un'altra, mette in onda una certa
commedia invece di un'altra, procede all'indottrinamento, al condizionamento
psicologico, all'avvelenamento invisibile delle coscienze e delle volontà di
centinaia di migliaia, di milioni di persone. Ecco la tecnica comunista per
la conquista dello Stato. La quale tecnica, quindi, si contraddistingue per
il tentativo di sfruttare per linee interne l'apparato dello Stato e,
soprattutto, i suoi mezzi informativi, in attesa di poter conquistare ed
utilizzare anche i mezzi repressivi dello Stato.
L'altra caratteristica della g. r. è la fredda, la scientifica, la razionale
continuità alla quale ubbidisce l'azione comunista. Mentre nel campo
anticomunista, in genere, si lotta soltanto nel periodo elettorale, i
comunisti sono ogni giorno, ogni ora, presenti nel Paese essi lavorano
sempre, perché essi sono, appunto, in guerra, mentre gli altri fanno, di
tanto in tanto, delle azioni propagandistiche, che si I i esprimono, grosso
modo, nella campagna elettorale, nell'affissione di I I manifesti, in una
certa vita di partito, più o meno organizzata, generalmente discontinua. Al
contrario, i comunisti, attraverso la loro massiccia organizzazione
burocratica, sono in grado di mantenere permanentemente mobilitato un
piccolo esercito, il quale, dalla mattina alla sera, senza alcuna
interruzione, provvede all'inquadramento e allo 'Sfruttamento di tutti gli
argomenti propagandistici che la situazione offre l_ Quindi, conquista
dall'interno delle strutture dello Stato, la estrema continuità dell'azione.
Ecco i problemi dinnanzi ai quali si trovano oggi tutti coloro che in Italia
vogliono affrontare seriamente, in maniera approfondita, il tema della g. r.
Queste persone (noi, in altri. termini) devono evitare, a mio avviso, un
grave pericolo di impostazione in materia, che a me è sembrato di notare un
po' in tutte le indagini condotte su questo argomento. Di solito, si tende a
dlire che la g. r., come viene attuata in Italia, sia la trasposizione, -in
termini appena appena adeguati, delle tecniche di g. r. che i comunisti
hanno seguito e stanno seguendo per la conquista del potere nei Paesi
afro-asiatici o, più in generale, nei Paesi sottosviluppati. A mio avviso,
le citazioni di Mao Tzé Tung, le citazioni dei testi classici, in materia,
debbono servire soltanto come riferimento culturale, informativo, perché la
tecnica per la conquista del potere, in un , paese industrializzato, in un
paese moderno, in un paese occidentale, l ubbidisce a regole e necessità
diverse. Regole che io ho creduto appunto di riassumere prima nelle due
considerazioni principali ovvero : I nella infiltrazione nei gangli dello
Stato con il divieto, direi quasi assoluto, per i propri attivisti di
ricorrere ad azioni di violenza, e nella continuità e nella capillarità
dell'azione politica. Ecco quindi, che il fenomeno della guerra sovversiva
pone alle nostre coscienze e alle nostre preoccupazioni una serie di
problemi estremamente drammatici, ed estremamente urgenti, perché noi tutti
sentiamo che l'apparato politico e costituzionale del quale le forze
anti-comuniste si trovano a disporre non sembra molto adeguato alla lotta
contro il comunismo. Questo spiega anche perché il comunismo in Italia stia
guadagnando terreno, mentre le altre forze ne stanno, evidentemente, ogni
giorno perdendo.
Quali sono, in concreto, le risposte che noi pensiamo di poter dare a questa
tecnica? Anzitutto, la illustrazione (di cui questo convegno è soltanto un
primo, ma efficacissimo passo) propagandistica dell'esistenza di queste!
caratteristiche specifiche, attuali, moderne, dell'azione comunista per la
conquista del potere. Non c'è nulla di peggio, per i comunisti, che
presumono di poter lavorare ancora nell'ombra per sviluppare questo loro
piano scientificamente ideato e scientificamente realizzato, non c'è nulla
di peggio che l'illustrazione più vasta possibile del tipo particolare di
aggressione che
essi pensano di poter effettuare in Italia. Quindi, anzitutto, non si pensi
'che questo convegno esaurisca la sua importanza nel dar vita al documento
conclusivo. Ha, invece, una sua importanza agli effetti pratici: mettere in
luce certi temi, puntualizzare esattamente le tecniche usate
dall'avversario, diffondere questa nuova impostazione, questo nuovo angolo
visuale dal quale riguardare l'azione comunista quotidiana. E ciò è quanto
di più utile sul piano propagandistico si possa fare. Rappresenta, direi
anzi, una novità assoluta nel quadro piuttosto deprimente delle attività
attuali dell'anticomunismo italiano.
Bisogna puntare sull'opinione pubblica al di fuori degli schemi di partito e
dei riferimenti politici. Non bisogna continuare a considerare la lotta
politica basata esclusivamente sugli schemi ottocenteschi dei partiti.
Occorre considerare anche !'importanza che hanno le iniziative settoriali,
le organizzazioni parallele, lo studio approfondito di queste nuove tecniche
di indottrinamento e di condizionamento delle masse: ecco l'importanza del
convegno, ecco l'importanza dei risultati ai quali mi sembra che esso
indubbiamente sia pervenuto, se non altro per la messe di considerazioni e
per l'abbondanza di documentazioni che esso ha messo a disposizione. Se un
numero crescente
. di italiani sarà indotto a riguardare il comunismo, non secondo lo schema
ormai non più valido e sorpassato di un partito che conquista o cerca di
conquistare il potere attraverso il ricorso alle elezioni e lo sfruttamento,
più o meno estremista, più o meno provocatorio delle sue organizzazioni
sindacali, ma sarà indotto a riguardare il comunismo in Italia, come un male
che contrasta la nostra civiltà di italiani, di europei, di occidentali; se
sarà indotto a riguardare alle tecniche comuniste freddamente elaborate per
la conquista del potere in un Paese moderno, in una situazione
storico-politica completamente diversa da quelle che ci hanno precedute, noi
avremo compiuto un'opera utilissima. Spetterà poi ad altri organi, in senso
militare, in senso politico generale, trarre da tutto questo le conseguenze
concrete, e far s1 che alla scoperta della guerra sovversiva e dalla g. r.
segua l'elaborazione completa della tattica contro-rivoluzionaria e della
difesa.
L'insidia psicologica
della g.r. in Italia
Intervento del giorno 4 maggio del dottore RENATO MIELI
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Ero piuttosto riluttante a prendere la parola, dopo avere ascoltato
interventi per me particolarmente dotti ed avrei voluto astenermi; tuttavia
dopo aver inteso la relazione di Vanni Angeli, mi sono convinto che anche un
mio contributo poteva essere utile in questa sede, benché, ripeto, io mi
senta impreparato sia su questo specifico tema, sia sugli aspetti
tipicamente militari di esso. La mia attività è di studio, ma non su questi
argomenti.
Tuttavia dirò che vi è un assunto sul quale concordo, ossia sulla esistenza
nel mondo moderno di un tentativo permanente di sopraffazione, contro il
quale non si trova sempre un'adeguata risposta. Ciò malgrado ho qualche
dubbio sulla bontà della definizione di « guerra rivoluzionaria» e
sull'effetto che tale definizione può produrre in molte persone. Ma, come
dicevo, resto fermo nel riconoscere che esiste una unità nell'aggressione
dalla quale ci sentiamo colpiti. Ed a questo proposito voglio riferire un
episodio, non noto, ma reale.
Nella primavera del 1949 il P.C.I. inviò un suo rappresentante per prendere
contatto con la Repubblica Popolare Cinese, allora non ancora costituita, ma
che stava ultimando le operazioni militari. 11 rappresentante del P.C.I.,
incontratosi con Mao-Tze-Tung e felicitandosi con lui delle sue vittorie,
gli disse anche che i comunisti italiani riconoscevano che il loro
contributo all' espansione del comunismo mondiale era veramente esiguo
paragonato a quello cinese. Mao-Tze-Tung rispose: no, noi cinesi e voi
italiani ci troviamo di fronte alla stessa tigre e la dobbiamo affrontare
insieme; noi l'aggrediamo di petto cercando di spezzarle i denti e voi
comunisti italiani intanto le pestate la coda. I dirigenti del P.C.I.,
quando il loro delegato tornò in Italia, riconobbero la validità del
giudizio di Mao-Tze-tung, perché la tigre poteva comunque venire distratta.
da un piccolo fastidio e consentire così a chi le voleva spezzare i denti di
operare con maggiore facilità.
Ciò significa che in realtà la guerra rivoluzionaria non deve essere
necessariamente condotta ovunque nello stesso modo e che perciò ai comunisti
italiani tocca un compito diverso da quello dei cinesi. Il comunismo nella
sua manifestazione cinese si presenta come un comunismo impegnato in una
azione militare, ma ciò non vuoI dire che il comunismo in tutto il mondo
debba svolgere una azione analoga. La ripartizione dei compiti non è basata
sul fatto che prima o poi tutti dovranno passare dalla fase della propaganda
e dell'infiltrazione all'azione militare; le fasi sono regolate dalle
condizioni delle possibilità esistenti nelle varie zone del mondo e dalla
possibilità di operare in una specie di armonia concertata, per cui ad
ognuno tocca un mondo specifico. In occidente la guerra guerreggiata, la
guerra che qui si è voluto chiamare rivoluzionaria, si presenta sotto forme
completamente diverse, particolarmente in Italia. Sicché la teoria di
Mao-Tze-tung, certamente molto interessante, non soltanto non è nota alla
maggior parte dei comunisti italiani, ma non ha una grande importanza agli
effetti delle azioni che si svolgono in Italia. Perciò mi trovo d'accordo
con il relatore che mi ha preceduto circa gli elementi fondamentali con i
quali il comunismo conduce la sua azione in Italia. Si tratta di una guerra
prevalentemente psicologica, il cui obbiettivo non è quello di occupare il
territorio o di distruggere un esercito, ma è la conquista di un avversario,
ossia la conquista dell'uomo.
Evidentemente parlare di guerra rivoluzionaria, quando la si concepisce in
termini di conquista di uomini, può sembrare un eccesso di linguaggio,
perché in realtà non è che un'azione politica. La politica ha sempre tentato
di conquistare adepti, simpatizzanti e di convertire gli uomini ad una
determinata causa e ad una determinata idea. Però vi è un elemento
fondamentale che la politica comunista è coordinata in modo organico, anche
se non del tutto chiaro, anche se non privo di contrasti sul piano mondiale.
Ossia l'azione politica non va intesa nel senso tradizionale perché si
svolge sul piano di una conquista legata ad un coordinamento mondiale con la
finalità di privare noi tutti di vivere come liberi cittadini. Esiste dunque
un legame invisibile per cui la conquista di un voto in più in Italia o la
conquista di un'adesione a determinate manifestazioni si collegano con la
guerriglia nel Vietnam.
Venendo al problema italiano, è giusto quanto diceva l'oratore che mi ha
preceduto che la principale arma dei comunisti è quella d'individuare le
contraddizioni o addirittura di farle nascere e poi di sfruttarle in modo da
provocare un fatto disgregatore nella società che il comunismo vuole
conquistare. L'esempio italiano in materia è di una tale ricchezza che non
finiremo mai di parlarne se volessimo portarla come prova per dimostrare
questo assunto.
Se questa è l'effettiva linea condotta dal P.C.I., noi dovremmo adottare due
contromisure: la prima è quella di preoccuparci di individuare per prime le
nostre contraddizioni e di tentare di risolverle, perché questa è l'essenza
della democrazia. Ma nel tempo stesso dobbiamo tentare di individuare le
contraddizioni dell'avversario per denunciarle a lui stesso, il quale non le
conosce o non vorrebbe conoscerle. Non mancano gli elementi per mettere i
comunisti di fronte alla constatazione delle loro contraddizioni sul piano
internazionale, sul piano interno e, direi, perfino sul piano individuale.
lo credo che non dobbiamo sottovalutare l'importanza del contrasto che oggi
divide l'Unione Sovietica dalla Cina; esso non può costituire un motivo
automatico di controllo del mondo comunista, anzi il comunismo potrebbe
trarne vantaggio, perché la presenza di un bicentrismo nel mondo comunista è
suscettibile di attirare maggiori consensi al comunismo stesso. Ma questa
contraddizione diventa inveçe un motivo di debolezza se si è capaci di
denunciarla e di strumentalizzarla. l fatti, di per sé, non sono mai né
positivi né negativi: il comunismo non è invincibile, il comunismo non è
così perfetto come si vuoI descrivere. Imperfetta è la: risposta. La
debolezza delle nostre posizioni, delle nostre repliche, delle nostre
iniziative fa sì che questa divisione tra Mosca e Pechino risulti, a conti
fatti, più vantaggiosa che svantaggiosa per i comunisti, almeno in Italia.
La seconda contraddizione è quella che riguarda il comunismo italiano
all'interno. Quando si manifesta un dissenso nelle file del P.C.I., la voce
dissenziente viene soffocata e sommersa dalla forza dell'apparato comunista,
perché noi non la raccogliamo. Mentre, qualora vi siano segni anche minimi
di dissenso in seno ai comunisti, in seno ai loro alleati o ,in seno ai loro
ausiliari, noi dobbiamo agire con la stessa prontezza, intelligenza,
sensibilità ed efficacia con cui agiscono i comunisti. Siamo estremamente
severi anche con coloro che creano gravi difficoltà al movimento comunista
soltanto perché costoro dichiarano di essere comunisti o socialisti.
Dobbiamo andare più a fondo delle cose. Non è sufficiente fermarsi alla
superficie e considerare in blocco chiunque si dichiari di sinistra come una
persona ormai perduta e, viceversa, accettare senza nessuna verifica chi
dichiara di essere anti-comunista. Se taluni dicono di essere anti-comunisti
e giovano ai comunisti noi dobbiamo ugualmente combatterli,
indipendentemente da quanto essi affermano.
Vi è infine la questione delle contraddizioni nei singoli individui. Direi
che è una questione psicologica. Badate che il comunista riesce a pensare
contemporaneamente due cose contraddittorie con la massima tranquillità. E
voi non lo troverete mai in imbarazzo, perché, in fondo, la coerenza non è
una regola: siamo noi od alcuni austeri e severi intellettuali che
pretendono che la coerenza sia un patrimonio di tutti. In generale non è
così. Noi dobbiamo dimostrare a queste persone che la loro incoerenza è una
manifestazione di contraddizione ed è distruttiva; che essi non hanno nulla
da insegnare perché là dove esercitano il potere questa incoerenza si
traduce in risultati disastrosi. .
Infine vorrei dire che noi dovremmo adoperarci perché i comunisti conoscano
sé stessi. L'esperienza del comunismo porterà il comunismo al suo
dissolvimento e possiamo trovare il punto debole del comunismo proprio
all'interno del comunismo stesso.
Dobbiamo contrapporre una nostra strategia più efficace alla strategia
comunista se vogliamo dissolvere il mondo comunista che si presenta compatto
e minaccioso, ma che in verità non è così compatto come si crede, anche se è
molto minaccioso.
Noi conosciamo poco il mondo comunista e ci comportiamo come se quel mondo
dovesse essere respinto in blocco, eppure la debolezza di quel mondo sta in
se stesso. I comunisti sono deboli per quello che dentro essi stessi hanno e
se la nostra azione non ci sembra dare risultati cospicui in breve termine,
col tempo lo sforzo di persuasione finisce d'indebolire la fibra di quei
comunisti che oggi sembrano temibili, impenetrabili a qualsiasi critica ed a
qualsiasi processo di revisione.
Il comunismo e la sua guerra non sono tutti di tipo cinese, e per quel che
ci riguarda, l'aggressione comunista è molto più sottile articolata e
differenziata. Noi qui ci troviamo di fronte alla forma più insidiosa che si
manifesta in occidente di questa articolazione, di fronte alla forma più
acuta, la quale ha una fisionomia quasi inafferrabile. Dobbiamo essere
altrettanto ferrati, altrettanto abili ed altrettanto impegnati, se vogliamo
combattere i comunisti con efficacia.
L'aggressione
comunista all' economia italiana
Intervento del 4 maggio del professore MARINO BON VALSASSINA
__________________________________________________________
Il tema di cui mi accingo a parlare, quello cioè dell'aggressione
rivoluzionaria comunista all'economia italiana, s'inquadra egregiamente, a
parer mio, in quello generale del nostro convegno. Sebbene si tratti di una
lotta che non sembra avere alcunché di comune con il classico scontro di due
forze armate sul campo di battaglia, non vi è dubbio che di guerra si tratti
ed anzi di una delle manifestazioni più importanti e più insidiose di quella
guerra rivoluzionaria, ecumenica e proteiforme, che è stata oggetto delle
interessanti relazioni ascoltate sin qui. Il ridurre alla guerra, il
concepire sub specie bellica la lotta politica, è del resto una vecchia
caratteristica del socialismo marxista, anche di quello precomunista od
acomunista, poiché per una di quelle strane contraddizioni (e lasciatemi
usare questo vocabolo squisitamente marxista in un senso più legittimo di
quelli in cui i marxisti sono soliti adoperarlo) per una delle tante
contraddizioni che si ravvisano negli atteggiamenti ideali e pratici dei
socialisti; infatti all'antimilitarismo, al pacifismo professati da costoro
allorché si tratta di privare il loro paese e la nazione cui appartengono
dei necessari strumenti di difesa, fa riscontro una proterva bellicosità,
un'inclinazione ai metodi violenti, sol che si tratti di perseguire
obiettivi diversi da quelli nazionali, di propugnare i loro valori di parte
anziché quelli della tradizione spirituale ed etica del loro paese.
lo penso che, a proposito dello specifico tema del mio intervento come di
qualunque analisi dell'atteggiamento comunista in un campo qualsiasi,
occorra prendere le mosse dalle impostazioni filosofiche che stanno alla
base del comportamento esaminato. E questo, non soltanto per la ragion
pratica che, confutando le idee dalle quali deriva e su cui poggia un certo
comportamento, un certo atteggiamento pratico, lo si priva dello humus sul
quale solo può prosperare, se ne recidono le stesse radici, -ma perché anche
sul piano teoretico, anche sul piano dottrinale, non è seriamente
comprensibile né tanto meno criticabile una data morale - ed anche quella
comunista è una morale, per quanto eticamente repulsiva essa possa apparirci
- se non la si riaggancia, se non la si riannoda alla metafisica od
antimetafisica, da cui deriva ed in connessione con la quale soltanto essa
acquista un rigoroso significato. Tanto più necessario è rifarsi alle
impostazioni filosofiche del marxismo-leninismo, ogni qual volta si vuole
realmente comprendere il senso di un atteggiamento comunista, e quindi anche
mettersi in grado di fronteggiarlo, adeguatamente in quanto, per una delle
tante e strane contraddizioni in cui il comunismo, più ancora che il
socialismo s'involge, quei materialisti sono persone che sulla forza delle
idee, sull'efficacia rivoluzionaria delle idee, continuamente insistono e
basano in larghissima misura la loro azione eversiva. Solo muovendo dai
punti di partenza speculativi ed etici del marxismo-leninismo nella sua
lotta rivoluzionaria, si può intenderne la profonda sostanza interiore e ci
si può mettere in grado, fra l'altro, di predisporre i sistemi
indispensabili per contenere l'aggressione che a quelle idee s'ispira e che
ne viene orientata.
Ora, se si prende in considerazione il fenomeno dell'aggressione comunista
al sistema produttivo ed economico esistente in Occidente ed in genere nei
paesi nei quali vige un'economia di mercato, ed in particolare nel nostro,
noi vediamo che una lotta di questo tipo non è suscitata a caso, o a
capriccio, ma che vi sono motivi fondamentali della visione
marxista-leninista della società e del divenire storico, i quali impongono
inderogabilmente di assumere questo atteggiamento aggressivo e ne spiegano
le ragioni, ragioni indefettibili finché il comunismo rimanga sé stesso,
finché esso continui a' richiamarsi alla ideologia marxista-leninista.
Ha scritto un autore tedesco, del quale mi sfugge il nome, che non è stato
cercando i mezzi per sanare le miserie del proletariato che Marx ha scoperto
la rivoluzione, bensì cercando i mezzi per fare la rivoluzione che egli si è
imbattuto nel proletariato, classe sradicata e perciò disponibile per
eccellenza. Lenin. stesso ha affermato che
. Marx ed Engels, a differenza degli altri socialisti loro contemporanei,
avevano collocato tutte le loro speranze nella crescita continua del
proletariato (nel senso di un allargamento progressivo dell'aréa proletaria
nella società). Vero è che sradicamento e proletarizzazione sono la sostanza
stessa della «disalienazione» dell'uomo, marxisticamente intesa, condizione
a sua volta della sua disponibilità per essere docilmente inserito nel
processo dialettico e rivoluzionario. Perciò i marxisti-leninisti hanno
bisogno di aumentare il numero dei proletari, quanto di deprimere le
condizioni di vita per aumentare la loro disaffezione ed il loro senso di
rivolta contro l'ordine sociale esistente; perciò il benessere delle masse è
per essi un incubo e una minaccia. All'economia del benessere, ad un sistema
produttivo generatore di ricchezza, i comunisti debbono opporsi per
imprescindibili esigenze di coerenza rivoluzionaria.
Ancora, come potrebbero essi, nella loro frenesia e smania di cogliere, e
all'occorrenza di creare la «contraddizione» ovunque, come potrebbero
rinunciare a suscitarne ed a coltivarne in quel mondo dell'economia
capitalistica, i cui prodigiosi successi costituiscono la bruciante smentita
delle sinistre profezie di sventura di'
Carlo Marx, nonché una sicura premessa di delusione delle aspettazioni
rivoluzionarie? Del resto, l'atteggiamento quasi costante della controparte,
incline a credere che le concessioni ed i compromessi possano appagare, o
almeno ammollire i rivoluzionari, e pertanto a transigere e a «mollare », li
indurrebbe a tanto quand'anche essi non vi tendessero spontaneamente. Con la
bonomia di chi crede che gli uomini possano e debbano intendersi fra loro,
non s'induce davvero a disarmare chi ritiene essere la rivoluzione una lotta
permanente, ed ogni conquista il punto di partenza per ulteriori pretese e
rivendicazioni. Non rendersene conto, vuoI dire non avere capito nulla della
mentalità «dialettica» e della sua esigenza di esasperare sempre nuove
«contraddizioni» (senza peraltro possedere alcuna seria nozione di ciò che è
l'essenza logica della contraddizione, e senza avvedersi delle autentiche ed
insanabili contraddizioni che stanno, invece, alla base dell'inconsistente
sistema di pensiero marxista-leninista).
Poiché le misure repressive che dovevano essere prese contro
l'organizzazione sovversiva comunista non sono state prese né accennano ad
esserlo, basterà che qualche depressione economica più accentuata e durevole
determini uno status d'insoddisfa-zione, di frustrazione collettiva, perché.
venga artificiosamente indotta quella « radicalizzazione delle masse» da cui
il fatto rivoluzionario germina spontaneamente. Inoltre, come lo stato
totalitario ha bisogno di una politica esterna d'iniziativa ad ogni costo,
cosi ne ha bisogno il partito totalitario, e per ragioni non dissimili:
oltre a demoralizzare e a disorientare l'avversario, una politica siffatta
giova a rinsaldare il vincolo interno, a giustificare la tirannia. Accanto
ed oltre gli inconcussi dogmi del movimento, esistono anche ragioni
pratiche"cogenti ed ineluttabili, per cui l'aggressione al sistema economico
del mondo libero, ad opera dei comunisti, non può subire soste né
-registrare armistizi, là dove non sono praticabili le insurrezioni militari
e di civili, armati, che vanno tanto bene a Santo Domingo, o la guerriglia
che si addice al Vietnam. Dove, insomma, il costante ed universale obiettivo
strategico dev'essere perseguito in forme adeguate alla cornice
socio-economica di un paese culturalmente evoluto e di avanzata civiltà
industriale.
È negli stessi indirizzi di politica economica propugnati dai comunisti -
direttamente o per il tramite di figuranti di docilità illimitata - che si
debbono ravvisare le grandi linee strategiche dell'aggressione comunista
contro l'economia italiana. La verità dell'insegnamento di Lenin, il quale
capovolgendo un noto aforisma di Clausewitz affermò non essere la politica
altro che il proseguimento della guerra con altri mezzi, trova clamorosa
conferma nelle impostazioni politico-economiche dell'estrema sinistra
italiana. Valga g titolo di esempio - recente e rilevantissimo -
l'atteggiamento assunto dalla centrale sindacale comunista in tema di
programmazione.
Ho sott'occhio una raccolta di documenti che s'intitola «CGIL e
programmazione economica », edita a cura dell'Ufficio studi economici di
quella organizzazione, e spigolo da esso.
Secondo l'onorevole Novella (pag. 37 del cito volume) va detto a tutte
lettere « che non sarà lo strumento tecnico della pro-grammazione che
porterà a quei risultati (di espansione economica, di assorbimento della
disoccupazione, di incremento del reddito, di riduzione degli squilibri,
ecc. ecc.) ma il suo contenuto politico, l'identificazione di obiettivi
precisi e degli strumenti economici necessari g tradurli in realtà; la
mobilitazione di uno schieramento di forze sociali in grado d'imporne la
realizzazione. Solo una programmazione antimonopolistica, cui siano
interessati i più vasti strati della popolazione lavoratrice e impegnata
direttamente nella produzione, che individui chiaramente nel monopolio
l'ostacolo da superare, l'avversario da battere, potrà determinare entro un
lasso relativamente breve di tempo la soluzione dei problemi della nostra
società ». Ed asserisce ancora il presidente di quella Confederazione: «noi
pensiamo che la libertà di scelta negli investimenti e quindi la possibilità
di orientare lo sviluppo economico appartenga oggi solo a poche grandi
società ad alto potere di monopolio e che trasferire questo potere di
decisione e di programmazione in mani di uno Stato democraticamente
organizzato debba costituire il risultato fondamentale di una politica di
piano ». Inoltre, secondo l'autorevole esponente comunista, «funzione del
sindacato è... quella di partecipare attivamente e di collaborare sia alla
formulazione dei programmi che alla loro esecuzione nel mantenimento della
più completa autonomia di rivendicazione e di azione sindacale. Il.
principio della libera contrattazione del salario e in genere delle
condizioni di lavoro non solo non è in contrasto con la politica di piano
... ma anzi ne costituisce la condizione indispensabile, in quanto è diretta
a limitare e contenere il potere economico e politico di quelle stesse forze
che la programmazione è chiamata a contrastare».
In una relazione del dotto Spesso alla Commissione economica nazionale della
CGIL, è detto testualmente (p. 44): «una programmazione democratica non
dovrà prefiggersi una mera razionalizzazione del sistema... ma essere
sostenuta... da una astensione dell'intervento dello Stato e dell'area
economica da esso controllata, favorendo contemporaneamente le
determinazioni di nuovi contenuti di quell'intervento e di quel controllo.
Tali contenuti debbono favorire anche la partecipazione sempre più organica
ed immediata delle grandi masse lavoratrici alle decisioni economiche
fondamentali del paese... ». E più in là: «...non accedendo a nessuna
condizione impostagli da qualsiasi «parametro» programmatorio, il sindacato
può considerare le sue rivendicazioni la agevolazione dei fini generali
della programmazione stessa, intensificando ... con diversi ritmi le sue
rivendicazioni a tutti i livelli, proprio perché la programmazione economica
possa realizzare l'obiettivo di delineare una espressione dell'accumulazione
(capitalistica) che si basi su una distribuzione del reddito nazionale del
tutto nuova ».
Negli «Orientamenti della CGIL per la programmazione economica» del marzo
1963, si legge (p. 58): «... il fine della programmazione stessa va
ricollegato alla necessità di modificare il tipo di espansione in atto e non
soltanto a correggere le sperequazioni che ne conseguono. Ma cambiare il
tipo di sviluppo in atto non è possibile senza una decisa azione
antimonopolistica che modifichi profondamente le strutture economiche e
sociali del nostro paese. Le riforme strutturali proposte dalla CGIL
costituiscono gli strumenti indispensabili a cui bisognerà ricorrere
affinché la politica di piano abbia come risultato di modificare la natura
del processo di accumulazione, modificando le condizioni basilari di
sviluppo dell'attività economica ». Infatti, come il citato documento
chiarisce più in là (p. 60) quelli che debbono essere mutati sono gli stessi
presupposti attuali
del mercato, attraverso la nazionalizzazione di sempre nuovi settori
produttivi.
Perfino il settore pubblico dell'economia, come risulta dalle «osservazioni
della CGIL al rapporto del prof. Saraceno (p. 275) non viene lasciato in
pace, essendogli imputato di «continuare a muoversi in una struttura
privatistica che trae prevalentemente dal mercato sia gli approvvigionamenti
di capitale che gli stimoli produttivi, in vista soprattutto della
realizzazione di massimi obiettivi di profitto in termini aziendalistici ».
Occorre dunque, non soltanto allargare l'area d'intervento delle aziende
pubbliche, ma modificare l'attuale struttura delle partecipazioni statali
accentrata sull'IRI e sull'ENI, impedire che le loro politiche
d'investimento siano tali da agevolare l'economia privata e che esse
continuino a manifestarsi sensibili agli stimoli provenienti dalla domanda
di mercato, anziché condizionare esse stesse la struttura e la direzione dei
consumi. Il sistema delle partecipazioni statali deve essere pertanto
riordinato, trasferendo a gestioni speciali dei ministeri competenti vari
servizi svolti da aziende che oggi s'inquadrano nel sistema delle
partecipazioni statali, smembrare gli enti di gestione esistenti e liquidare
la struttura privatistica di tali aziende e con essa la loro autonomia.
Appare superfluo proseguire nelle citazioni. È abbastanza chiaro che la c.d.
programmazione antimonopolistica, propugnata dai comunisti attraverso i loro
sindacati - come, del resto, con ogni altro mezzo ed in ogni altra sede - si
propone obiettivi eversivi del sistema economico vigente, da conseguirsi
attraverso adeguati strumenti coercitivi, e che essa non ha di mira il
conseguimento di determinati traguardi comuni all'intera collettività
nazionale, bensì la sconfitta di un avversario: quello di sempre, ossia la
libera iniziativa economica. Attraverso l'enunciazione di risibili pretesti,
come quello di far partecipare le grandi masse lavoratrici alle decisioni
economiche, è la distruzione di ogni centro indipendente- di decisione
economica e l'annichilimento dell'economia di mercato che i comunisti
perseguono: veri scopi di guerra, la cui ipotetica realizzazione nulla
avrebbe in comune con il raggiungimento degli obiettivi programmatici,
mentre s'identificherebbe con il trionfo della strategia rivoluzionaria
comunista.
Le manifestazioni più caratterizzate, più aggressive e fornite di maggior
efficacia immediata, della lotta rivoluzionaria comunista, contro il sistema
economico del mondo libero, sono peraltro quelle che si presentano quali
espressioni della lotta sindacale e che utilizzano ogni possibile
stratagemma o pretesto per volgere lo sciopero ed altri istituti affini a
scopi sovversivi. In tale azione i comunisti sono confortati da un preciso
insegnamento di Lenin, il quale scrisse che «l'operaio arretrato si attiene
alla lotta economica; l'operaio rivoluzionario (il cui numero non cessa di
accrescersi) respingerà con indignazione tutti i ragionamenti sulla lotta
per le rivendicazioni che lasciano sperare in risultati tangibili... perché
egli comprenderà che non si tratta d'altro che di variazioni della vecchia
canzone sull'aumento di un copeco per rublo ».
Il nostro paese, come ognuno sa, occupa un posto distinto nella graduatoria
delle nazioni travagliate dalla scioperomania; le agitazioni il cui pretesto
economico-contrattuale non riesce a mascherare il perseguimento di ben
diverse finalità - da quella d'intimidazione dei pubblici poteri a quella,
appunto, di prostrazione dell'impresa privata - si fanno sempre più
frequenti e più dure. La concezione leninista della funzione del sindacato,
che si manifesta appieno dopo l'instaurazione della dittatura proletaria con
la riduzione dei sindacati stessi a strumenti dello Stato datore di lavoro e
col privarli d'una qualsiasi indipendenza dall'autorità governante, si
realizza già in quei paesi nei quali il partito comunista è riuscito ad
egemonizzare le associazioni operaie, le forze organizzate del lavoro. Se
vogliamo una conferma, possiamo fare un elenco piuttosto lungo ed oltremodo
eloquente di caratteristici comportamenti ed operazioni aggressive cui suole
ricorrere il sindacalismo d'ispirazione comunista, che la dice lunga in
proposito.
Dallo sciopero di protesta o di rappresaglia, per definizione originato da
motivi affatto estranei alla contrattazione collettiva, a quello di
solidarietà che si esercita per una causale sémpre estranea al rapporto di
lavoro degli scioperanti, a quello diretto ad esercitare una coazione sulla
pubblica autorità affinché emetta o si astenga dall'emettere determinati
provvedimenti, a quello oltranzistico o a tempo indeterminato, alle varie
specie dello sciopero politico, culminanti nell'espressione massima di
codesto tipo di sciopero, che è quello generale: una fenomenologia ricca e
varia, che la carenza di una legislazione regolativa e limitativa del
diritto di sciopero ha consentito allignasse, malgrado l'evidente
aberrazione ed illegittimità di certe forme di lotta sindacale. Alle quali,
peraltro, vanno aggiunte quelle diverse dallo sciopero comunque qualificato:
l'astensione dal lavoro « a scacchiera» o « a singhiozzo », la cui struttura
alternativa nello spazio o nel tempo è preordinata a scompaginare, con danno
maggiore che nello sciopero comune, l'attività produttiva; la «non
collaborazione », che direttamente viola il principio stesso su cui si regge
una comunità di lavoro ed infrange gli elementari doveri di lealtà del
prestatore d'opera; le criminose esplosioni di furore classista che si
chiamano boicottaggio, sabotaggio, occupazione di fabbriche, di terre o di
edifici. L'estro inventivo dagli agitatori sindacali nostrani escogiterà,
senza dubbio, ancora nuove forme di aggressione su scala locale o nazionale,
di carattere subdolo o apertamente ribellistiche, miranti a disorientare la
produzione ed a rallentarne il ritmo. Gli espedienti e stratagemmi già
consolidati nella prassi, come risulta dal sommario elenco tracciatone, sono
però bastevoli, e largamente, a fornire agli strateghi della sovversione
comunista tutti i mezzi d'azione loro occorrenti.
L'esame della casistica agitatoria collaudata nell'esperienza sindacale
italiana conferma dunque, in maniera inequivoca, il carattere rivoluzionario
di una lotta sindacale che non ha come scopo l'accrescimento della quota
spettante ai lavoratori nella ripartizione della ricchezza prodotta, ossia
una modificazione ad essi favorevole nell'ambito del sistema, bensì
l'indebolimento progressivo del sistema stesso, fino a provocarne il finale
collasso. Né è difficile intendere, dati gli stretti vincoli di dipendenza
dei nostri sindacati d'estrema dal partito comunista, in quale strategia
globale s'inquadrino le loro lotte eversive, a quale disegno operativo esse
siano funzionalmente ordinate. Se il legislatore italiano troverà un giorno
il coraggio di adempiere il precetto che gli rivolge l'art. 40 della
Costituzione e di sottoporre finalmente ad una organica disciplina
l'esercizio del diritto di sciopero, esso dovrà tener conto della vera
natura di certe forme abnormi di lotta sindacale, non potrà non considerarle
quelle che sono: manifestazioni intrinsecamente illegali di una complessa
azione mirante a distruggere la costituzione economica vigente.
Prima di concludere il mio intervento, non posso non soffermarmi brevemente
sul problema dei rimedi contro il pericolo descritto, sul problema cioè
degli strumenti di difesa contro l'aggressione comunista all'economia
nazionale. Strumenti di difesa, rimedi, i quali non possono essere cercati
nello stesso ordine economico - una battaglia avente obiettivi economici può
essere diretta contro gli Stati comunisti, non contro i comunisti nostrani -
ma che debbono piuttosto essere individuati in quello giuridico-politico.
Evidente, ad esempio, che a certe forme illegittime di lotta sindacale, a
certi abusi dello sciopero, una legge che finalmente ne disciplinasse, in
ossequio al dettato dell'art. 40 della Costituzione, l'esercizio,
rappresenterebbe senza dubbio (purché poi la legge la si facesse rispettare
ed applicare con un minimo di fermezza e di coraggio) un'efficace risposta
ed un buono strumento di difesa. Uno strumento, oltretutto, conforme ad una
precisa indicazione della stessa nostra legge fondamentale, della quale io
non sono certo un ammiratore né tanto meno un paladino, ma che è, piaccia o
non piaccia, il fondamento dell'ordine giuridico vigente nel nostro Paese ed
alla quale conviene dunque, de jure condito, rifarsi. È chiaro altresì che,
se l'atteggiamento politico delle maggioranze parlamentari e del potere
esecutivo in Italia mutasse finalmente, e si conformasse alle esigenze d'una
consapevole e ferma politica anticomunista, anche le possibilità che certe
eversive impostazioni di politica economica e programmatoria oggi
possiedono, di ottenere credito ed almeno parziale SUC7 cesso, sarebbero
eliminate, ed esse non avrebbero maggior interesse che quello di una
curiosità, ascrivibile alla irresponsabile presa di posizione di qualche
capopopolo privo d'influenza sulle pubbliche decisioni.
Ma, prima ancora dei rimedi d'ordine politico e di ordine giuridico, io
credo che sia nel settore psicologico che si debba mettere in opera il
complesso degli stimoli e delle risorse necessari per arrestare l'offensiva
comunista, ed anche il tipo di aggressione in discorso. lo non so se taluno
di voi abbia mai veduto (a me è capitato, tanti anni fa, passeggiando lungo
un fosso) in che modo una biscia inghiotta una rana; ho assistito a quello
straordinario spettacolo; durato più di un'ora. Voi vedete il rettile,
lontano ancora venti o trenta centimetri dal batrace, muoversi appena, di
tanto in tanto, pigramente, scuotere talora la coda e dondolare leggermente
la testa, senza nessuna fretta, mentre di fronte a lui la timida preda,
immobile, lo guarda affascinata, non pare in grado di staccare gli occhi da
quelle testa tanto più piccola del suo proprio corpo, che oscilla e or, si
avvicina or si allontana, finché, giunto il momento in cui il lungo
pregustamento della fagogitazione si è compiuto, quelle fauci si spalancano
e la rana (il cui miserabile corpo di vertebrato inferiore, io penso sia
stato durante la lunghissima agonia, pervaso dai fremiti di una sensualità
di tipo masochistico) non soltanto si lascia inghiottire senza alcun moto o
tentativo di ribellione o di fuga, ma addirittura si protende
volonterosamente dentro la gola del rettile, al fine che sia più rapida ed
agevole la deglutizione. Ebbene, io credo che il comportamento di certe
categorie sociali, cerchie intellettuali e forze politiche di fronte al
comunismo, categorie cerchie e forze nel cui seno vi san pure parecchi
individui dotati d'un qualche valore intellettuale, culturale,
professionale, ma sprovveduti di un minimo di coraggio civile, di civile
moralità, i6 credo che il comportamento di quei gruppi di fronte
all'aggressione comunista possa venire paragonato a quello della rana che si
fa inghiottire a quel modo dalla biscia.
Una volta, qualcuno cui facevo la descrizione della scena che vi ho testé
riferita mi ha chiesto: ma lei perché non ha preso un
bastone? Ed io gli risposi: perché, in verità, la rana non mi ispirava
nessuna simpatia, nessuna compassione. Anche coloro, uomini in carne ed ossa
ma privi di virili virtù, che si comportano di fronte all'insidia comunista
all'incirca a quel modo, non destano nell'animo mio alcun sentimento di
compassione o di pietà. Solo se si ripudia il fatalismo stolto e suicida,
che induce tante vittime designate a collaborare con la forza perversa che
persegue il loro annientamento, solo se ci si libera di certi stolti
pregiudizi che il moralismo democratico diffonde e inculca in tema di
rapporti col comunismo, sarà possibile opporsi con successo all'azione
disgregatrice ed eversiva degli agenti della rivoluzione proletaria.
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