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PARTE SECONDA


Necessità di un' azione concreta contro la penetrazione comunista

Intervento del 3 maggio dell'ingegnere VITTORIO DE BIASI

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Signor Presidente, signore e signori. lo devo confessare che io mi trovo qui come un pesce fuor d'acqua. Perché tutti i contributi che sono stati presentati questa mattina e nel pomeriggio riguardano precipuamente la parte militare del problema, parte nella quale io sono assolutamente sprovvisto di cognizioni, quindi non potrei criticare, portare un contributo critico a quanto è stato detto e mi limiterò unicamente ad alcune osservazioni che a me sembrano di particolare importanza, anzi, a me sembrano di importanza forse anche maggiore del fatto militare. Intanto ricorderò che Croce ha detto che le rivoluzioni le fanno i borghesi, non le fanno le masse, quindi noi abbiamo di fronte un problema di enorme vastità, che nessuno, fino a questo momento, ha curato di sviluppare e di risolvere, cioè quello di educare non le masse dei contadini e degli operai, ma quello di sottrarre le masse borghesi, i ceti medi, all'attrazione del mito marxista. Noi ci troviamo di fronte ad una situazione paradossale: sembra che la borghesia nutra un sentimento di inferiorità e di colpa, non attacca il nemico che l'attacca, ma si difende debolmente, quasi scusandosi di quello che sta facendo in difesa: questo è il dramma del nostro Paese e di tutto il mondo occidentale. Noi non abbiamo ancora sviluppato in noi stessi la convinzione che ci troviamo di fronte a qualcosa di 'mitico, quale è il mito marxista, il quale non ha nessuna relazione né con la logica, né con la realtà, ed allora, affascinati da questo mito, il quale pretende di risolvere tutti i problemi della vita sociale e della vita individuale, non studiando a fondo i problemi del comunismo, e, anzi, spesso ignorandoli ci attendiamo di risolvere questa lotta con mezzi non adatti. Noi siamo in uno stato di sottomissione: stiamo ritirandoci di fronte a coloro i quali svolgono una propaganda che va avvelenando non solamente il nostro popolo, il quale del problema del marxismo e del comunismo molto probabilmente non si cura, ma le nostre élites intellettuali, le quali sono state catturate dal P .C.. Ciò costituisce la debolezza maggiore di tutto il nostro schieramento. Noi vediamo degli uomini egregi i quali danno la loro adesione quando si tratta di manifestazioni culturali nelle quali noi vediamo apparire il comunismo. Questo è il problema che a me sembra di grande importanza. Tanto più che se volessimo studiare un po' più a fondo il problema, dobbiamo chiederci: È proprio vero che la Russia vuole la guerra? Evidentemente la Russia teme la guerra forse più di ogni altro Paese. La Russia minaccia la guerra, ma non ha nessun vantaggio, non ha nessuna intenzione di scatenarla, perché ha già degli eserciti in ogni nazione pronti ad occupare i posti di comando quando se ne presenti l'occasione, attraverso quell'opera di corruzione la quale non ha risparmiato nessuno dei ceti della popolazione: ha invaso la magistratura, ha invaso la chiesa, ha toccato la scuola nei suoi professori e nei suoi studenti, per non parlare di quell'enorme numero di maestri elementari i quali per lo meno per il 40% sono di fede comunista. Questo è uno dei problemi che dovrebbe essere posto in esame e che dovrebbe essere risolto.
Credo che il pericolo che rappresenta la Scuola infiltrata dal comunismo sia ancora più grave del pericolo rappresentato dalle bombe atomiche di cui dispone Mosca e, di conseguenza, mi sembra che sia più importante trovare una soluzione a questo problema che addestrare i nostri soldati alla guerriglia nel caso che essi fossero chiamati a combattere, come nel Vietnam, i guerriglieri comunisti. Se noi non prepariamo i nostri soldati fin dalla scuola elementare e non li seguiamo anche nello sviluppo successivo quando frequentano le scuole medie e superiori, se ci limitiamo a fare convegni dottissimi come questi, io credo che saremo molto soddisfatti di noi stessi, ma non avremo risolto alcun problema.
Quando mi è stato mandato l'invito di partecipare a questo Convegno ho cercato di documentarmi attraverso per lo meno una diecina di libri sulla posizione della Russia, della sua propaganda e dei metodi che essa adotta per minare il mondo occidentale. In tutti questi libri tutto ho trovato, salvo che il ricorso all'atomica o all'invasione. Infatti voi vedete che mentre cadono sul campo di battaglia gli americani, non cade nemmeno un russo e questo è un insegnamento che dovrebbe essere preso a nostra norma.
Si è anche parlato della grande influenza che può avere la televisione e la radio. lo ho cercato di documentarmi anche su questo argomento ed ho trovato un volume, di un autore americano, il Parker, il quale nega che la radio e la televisione abbiano una grande influenza nello spostare il modo di vedere delle masse. Tutt'al più la radio e la televisione non spostano che quel cinque per cento di incerti che esistono in ogni società. Quello che bisogna fare invece è quello di avere degli uomini che siano preparati a questo combattimento, che possano avvicinare la società nelle sue varie stratificazioni, dagli operai ai professori di università, ai magistrati, per cercare d'illuminarli sulla realtà del comunismo e del marxismo, perché la maggior parte di coloro che si dedicano a difendere il marxismo ed il comunismo dei medesimi non conoscono assolutamente niente.
Questa è la verità. Quelli che si sono approfonditi nello studio del mito del marxismo e del comunismo, hanno rapidamente voltato le spalle al mito stesso e si sono orientati verso una civiltà cristiana occidentale, perché come dice ancora Croce, permettetemi di ricordarlo ancora una volta, noi non possiamo essere che cristiani. Dunque, io ho preparato delle cartelle nelle quali ho riassunto i volumi che ho letto, ma mi parrebbe di attentare alla vostra pazienza se io aprissi le cartelle stesse e leggessi questi riassunti. Mi pare che una conversazione, viceversa, cosi informale, come si suoI dire, possa essere più efficace.
A quali mezzi ricorrono generalmente i comunisti e la Russia? Mai all'attacco frontale; vanno invece a cercare un elemento qualsiasi che interessi un determinato strato della popolazione, lo scontento, ad esempio, degli impiegati dello Stato, i quali ricevono dei compensi che non sono ritenuti sufficienti per vivere in un modo decente, ed allora, attraverso questo mezzo riescono ad influenzare gli impiegati dello stato; cosi i maestri di scuola, cosi i magistrati, cosi anche i soldati (riescono ad introdursi anche nell'ambiente militare); tralasciando quello che è avvenuto nell'ambiente della Chiesa, ricorderò, senza parlare dell'Italia, lo scandalo che si è verificato in Francia dove giovani dell' Azione cattolica, tinti di comunismo, si sono ribellati alle gerarchie ecclesiastiche insieme ad alcuni preti.
Un altro mezzo efficace in mano ai sovietici per combattere l'occidente è quello della coesistenza. Però, pur esaltando la coesistenza tra comunismo e mondo della libertà, Mosca non' ha mai abbandonato il suo scopo finale di sovvertire l'occidente, di dominare il mondo intero. Al punto che dobbiamo domandarci se esiste ancora in Russia una tesi comunista o se, invece, i sovietici ed i loro alleati non mirino ad altro che ad allargare sempre più la dominazione russa.
La mia esposizione è molto frammentaria, vorrei ricordare però due 'punti che mi sembrano di grande importanza. Pochi anni fa, quando è cominciato l'alluvione, se così si può dire, dei meridionali al nord, io ho avvertito chi di dovere che bisognava prepararsi ad accogliere questi meridionali affinché non cadessero preda del comunismo. Ma non è stato fatto 'assolutamente niente, o è stato fatto molto poco, e questo lo dico anche per la categoria industriale, che non ha preso, se non in ritardo, quei provvedimenti che dovevano essere presi. Ho constatato personalmente che questi meridionali, sono stati ricevuti al nord dagli agenti del partito comunista e sono stati aiutati nei primi passi: a sistemarsi, a trovare un' lavoro, a trovare la casa, ad essere inseriti nelle liste del Comune. Costoro votano comunista, non perché siano comunisti, ma perché il primo che si è presentato ad aiutarli non è stato il sacerdote, ma è stato l'agente comunista. Questo è uno dei fatti.
L'altro fatto è quello dei militari. I nostri egregi ufficiali, quando hanno i giovani che vengono sotto le armi li preparano (parlo delle armi più importanti, quelle che un tempo si chiamavano dotte) anche per la vita civile, però, una volta che sono congedati, vengono abbandonati a se stessi. Ora, se non si provvede anche a mantenere questi soldati in collegamento con i loro ufficiali, ed a fare in modo che non perdano quell'insegnamento che hanno appreso nella vita militare, cadranno sotto il dominio dei comunisti.
Vogliate scusare la brevità della mia esposizione ed anche la frammentarietà, ma ho voluto richiamare l'attenzione di quanti mi ascoltavano sulla necessità di esporre alcuni principi generali, i quali devono essere conosciuti; però è necessario passare anche ad un'opera pratica, alla quale io mi sono dedicato da vent'anni purtroppo con scarsissimi risultati, perché non sono stato capace di farmi intendere su quelli che erano i pericoli che si presentavano al mondo occidentale ed anche alla nostra Italia.

La tattica della penetrazione comunista in Italia

Intervento del 4 maggio del dottore PINO RAUTI


Cercherò di mantenere il mio intervento nei limiti concessi dal Convegno, limiti che potranno essere ritenuti più o meno stretti ma che vanno osservati se non si vuoI finire con il fare un convegno politico, con tutti i vantaggi, ma anche con tutti gli svantaggi che ne deriverebbero. Questo incontro ha, invece, un suo carattere specifico che consiste nell'analisi della tecnica, della metodologia della g.r., o guerra sovversiva che dir si voglia. Ora, sulla teoria di questa guerra sovversiva ci troviamo quasi tutti d'accordo. Ci sono delle sfumature interpretative, ma abbiamo appreso (ed è stata una piacevole scoperta) che in varie parti d'Italia, persone diverse, gruppi diversi, circoli ed ambienti diversi, di diversa estrazione politica, si sono posti questo stesso ordine di problemi. Dobbiamo tuttavia sgombrare il campo, a mio avviso, da alcune questioni preliminari, da alcuni quesiti pregiudiziali. Si è detto ad esempio: «Ma non basterebbe la semplice applicazione delle leggi? Non basterebbe la semplice applicazione del Codice Penale, per reprimere, nella fase iniziale, le manifestazioni aggressive del comunismo per la conquista del potere? Prima di tutto si deve osservare che la g.r. in sé e per sé, negli atti specifici nei quali essa si articola, e che spesso vengono affidati a particolari agenti di esecuzione, si estrinseca in atti che non sono direttamente perseguibili dal Codice Penale. Si tratta, cioè, come diceva uno studioso, uno studioso belga della g. r., di un delitto globale, che è difficilmente definibile e che quindi non è colpibile nella manifestazione con cui esso si presenta. È la somma, la globalità e soprattutto la continuità con la quale questi atti vengono compiuti, nel tessuto connettivo dello Stato, nel tessuto politico, nel tessuto costituzionale, economico e sociale, che configurano la g.r.
_Da qui la sensazione, quasi avvilente, di disarmo che una certa parte della classe dirigente politica contemporanea d'Italia, prova, indubbiamente, dinanzi alla situazione, dinanzi all'attivismo scatenato dei comunisti. Cioè la sensazione che gli strumenti giuridici, politici e costituzionali siano dati superati da questa nuova tecnica.
Quesito di ordine ancora più generale è quello sulla capacità obiettiva che possono avere o che non possono avere alcuni tipi di regimi politici nell'affrontare questa forma moderna di aggressione, di marcia verso il potere, di conquista. Indubbiamente, un conto era la lotta politica condotta nel diciannovesimo secolo, che ubbidiva a certe regole, che riguardava categorie molto ristrette di persone; un'altro è la lotta politica che si conduce oggi nelle grandi platee contemporanee, dove operano contemporaneamente decine di milioni di persone, le quali sono raggiunte quotidianamente, ora per ora, fino nell'intimità della casa, dallo sviluppo tecnologico contemporaneo e dallo sviluppo dei grandi mezzi di informazione"_cco quindi che, al di fuori del quadro strettamente penale, strettamente giuridico, nel quale sarebbe estremamente difficile situare il problema della repressione dell'attività sovversiva, al di fuori dello stesso quadro politico e costituzionale, che si trova ad essere superato dalla corsa dei tempi, si pone angoscioso e drammatico il problema che questo Convegno intende, appunto, sottolineare.
Ci troviamo di fronte ad una nuova tecnica per la conquista del potere. Qual'è, quali sono, in linea pratica, in linea concreta, le sue caratteristiche, le sue espressioni e manifestazioni principali, e quali sono i metodi con i quali a questa tecnica si può reagire? In linea teorica siamo tutti d'accordo; si chiami guerra sovversiva, guerra rivoluzionaria, guerra psicologica, noi ci troviamo di fronte ad un piano accuratamente elaborato, che si contraddistingue in pratica per due aspetti principali: il primo è che, con questa tecnica, il comunismo ha rinunciato all'attacco frontale condotto nei confronti dello Stato. I più anziani, fra di noi, presenti in questa sala, ricorderanno certo per esperienza diretta, i meno anziani lo sapranno per averlo letto, in quali forme si espresse, nell'altro dopoguerra il tentativo comunista per il potere: era la tecnica dell'assalto frontale; non c'era istituzione dello Stato che non venisse frontalmente aggredita, che non venisse, quasi ottusamente, presa d'assalto. Andavano a dar fastidio, andavano a sciogliere non solo le dimostrazioni patriottiche, ma perfino le manifestazioni religiose, le cerimonie più intime e più care alla psicologia collettiva; andavano a strappare dai petti dei combattenti le medaglie al valore, sputavano sulla bandiera, insultavano tutti coloro che osassero presentarsi in divisa in certi quartieri notoriamente sovversivi. Ovviamente, ci fu una reazione a tutto questo, e quello che successe lo sappiamo benissimo. In questo dopo guerra (non solo per la lezione che i comunisti ebbero allora, ma anche per una serie di altre considerazioni) hanno cambiato tattica. Oggi, la difficoltà di combat- il comunismo in Italia dipende quasi esclusivamente dal fatto che i comunisti non si vedono. Essi sono tanto onnipresenti, quanto invisibili. Voi potete andare nei quartieri più «rossi» di Roma; voi potete andare nelle zone più rosse e più sovversive della Toscana e dell'Emilia, dove i comunisti hanno già raggiunto da molto tempo e sotto molti aspetti hanno già superato la maggioranza assoluta (dal 60 al 70% di voti); voi potete andare nelle cosiddette "Stalingrado rosse", che non sono soltanto quelle di Sesto S. Giovanni, ma sono anche certe zone agricole pugliesi, sono nel triangolo rosso molisano, e via dicendo (zone nelle quali i comunisti, notoriamente, controllano la situazione); ebbene non vedrete mai un distintivo comunista all'occhiello. Questo per significare, per sottolineare, quasi, che i comunisti intendono conquistare lo Stato, attraverso una lenta opera di saturazione interna.
Questo è il primo aspetto che assume, in Italia, la guerra sovversiva per la conquista del potere. Quindi, da questo punto di vista, noi non dobbiamo credere che si ripeterà in Italia, meccanicamente, la trasposizione degli schemi organizzativi, degli schemi attivistici che contrassegnarono il periodo che va dal 1943 al 1945. Anzitutto, perché allora c'era una guerra, e c'era una guerra civile, e c'erano particolari emotività scatenate dagli avvenimenti del 25 luglio, dell'8 settembre, e via dicendo; e poi perché i comunisti si sono resi conto che qualsiasi tattica che li portasse a combattere allo scoperto, alla luce del sole, facendo proclamare gli obiettivi che intendono raggiungere, non potrebbe non, provocare un processo di reazione contraria. Ed è questa la cosa che evidentemente essi temono di più.
Quindi, io non porrei il problema del pensare a come difendersi dalle conseguenze ultime della g. r., pensando ai comunisti che, chiusi nel segret6 del loro apparato, si domandano: «chi dovremo uccidere per primo col colpo alla nuca, il prefetto, il questore, il parroco o il vescovo? ». I comunisti, oggi, nell'Italia 1965, non sono affatto in questo ordine di idee, per quanto si sappia tutti che esiste un apparato pronto a scattare alla prima occasione, per quanto serpeggi nelle masse comuniste un certo estremismo massimalistico che già esplose, per esempio dopo l'attentato a Togliatti. In quell'occasione, infatti, le masse comuniste, per conto loro, scesero nelle piazze ed andarono molto al di là di quanto non volessero i loro dirigenti. Il che sta a -dimostrare che spesso i dirigenti comunisti non riescono a padroneggiare il cosiddetto « estremismo di base ». Ma, fermandoci al vèrtice, alla sua visuale politica, alla organizzazione e alla propaganda da esso imposte, noi dobbiamo prevedere che il P.C. in Italia tenterà molto difficilmente il colpo della conquista violenta del potere, e continuerà a lavorare cosi come ha fatto fino ad oggi, cercando di riuscire nei suoi intenti attraverso la lenta saturazione degli organi dello Stato. Di conseguenza, mentre una volta si doveva parlare in termini esclusivamente anti-comunisti, ora ci si deve porre il nuovo problema che deriva dalla crescente strumentazione che dell'apparato dello Stato Stanno facendo i social-comunisti, lasciando alle altre forze, il compito, l'onore e il rischio, quindi, di una eventuale ribellione contro i poteri costituiti. Dunque non meccanica trasposizione dei tentativi prece. denti ma lenta conquista dall'interno dell'apparato dello Stato. Oggi, per il PCI (io l'ho detto diverse volte e lo ripeto anche in questa sede) è più importante, è infinitamente più importante disporre del posto di capo servizio alla radio e alla televisione, là dove si manipolano i programmi, che disporre di cinquecento attivisti in piazza, perché i cinquecento attivisti in piazza ne possono mobilitare altri
cinquemila avversi, contrari e decisi a menare le mani. Inoltre cinquecento attivisti comunisti non si fanno vivi che in determinate
-occasioni, mentre lo sconosciuto signore che, nel chiuso di una stanza, 'Sceglie un'opera teatrale invece di un'altra, mette in onda una certa commedia invece di un'altra, procede all'indottrinamento, al condizionamento psicologico, all'avvelenamento invisibile delle coscienze e delle volontà di centinaia di migliaia, di milioni di persone. Ecco la tecnica comunista per la conquista dello Stato. La quale tecnica, quindi, si contraddistingue per il tentativo di sfruttare per linee interne l'apparato dello Stato e, soprattutto, i suoi mezzi informativi, in attesa di poter conquistare ed utilizzare anche i mezzi repressivi dello Stato.
L'altra caratteristica della g. r. è la fredda, la scientifica, la razionale continuità alla quale ubbidisce l'azione comunista. Mentre nel campo anticomunista, in genere, si lotta soltanto nel periodo elettorale, i comunisti sono ogni giorno, ogni ora, presenti nel Paese essi lavorano sempre, perché essi sono, appunto, in guerra, mentre gli altri fanno, di tanto in tanto, delle azioni propagandistiche, che si I i esprimono, grosso modo, nella campagna elettorale, nell'affissione di I I manifesti, in una certa vita di partito, più o meno organizzata, generalmente discontinua. Al contrario, i comunisti, attraverso la loro massiccia organizzazione burocratica, sono in grado di mantenere permanentemente mobilitato un piccolo esercito, il quale, dalla mattina alla sera, senza alcuna interruzione, provvede all'inquadramento e allo 'Sfruttamento di tutti gli argomenti propagandistici che la situazione offre l_ Quindi, conquista dall'interno delle strutture dello Stato, la estrema continuità dell'azione. Ecco i problemi dinnanzi ai quali si trovano oggi tutti coloro che in Italia vogliono affrontare seriamente, in maniera approfondita, il tema della g. r. Queste persone (noi, in altri. termini) devono evitare, a mio avviso, un grave pericolo di impostazione in materia, che a me è sembrato di notare un po' in tutte le indagini condotte su questo argomento. Di solito, si tende a dlire che la g. r., come viene attuata in Italia, sia la trasposizione, -in termini appena appena adeguati, delle tecniche di g. r. che i comunisti hanno seguito e stanno seguendo per la conquista del potere nei Paesi afro-asiatici o, più in generale, nei Paesi sottosviluppati. A mio avviso, le citazioni di Mao Tzé Tung, le citazioni dei testi classici, in materia, debbono servire soltanto come riferimento culturale, informativo, perché la tecnica per la conquista del potere, in un , paese industrializzato, in un paese moderno, in un paese occidentale, l ubbidisce a regole e necessità diverse. Regole che io ho creduto appunto di riassumere prima nelle due considerazioni principali ovvero : I nella infiltrazione nei gangli dello Stato con il divieto, direi quasi assoluto, per i propri attivisti di ricorrere ad azioni di violenza, e nella continuità e nella capillarità dell'azione politica. Ecco quindi, che il fenomeno della guerra sovversiva pone alle nostre coscienze e alle nostre preoccupazioni una serie di problemi estremamente drammatici, ed estremamente urgenti, perché noi tutti sentiamo che l'apparato politico e costituzionale del quale le forze anti-comuniste si trovano a disporre non sembra molto adeguato alla lotta contro il comunismo. Questo spiega anche perché il comunismo in Italia stia guadagnando terreno, mentre le altre forze ne stanno, evidentemente, ogni giorno perdendo.
Quali sono, in concreto, le risposte che noi pensiamo di poter dare a questa tecnica? Anzitutto, la illustrazione (di cui questo convegno è soltanto un primo, ma efficacissimo passo) propagandistica dell'esistenza di queste! caratteristiche specifiche, attuali, moderne, dell'azione comunista per la conquista del potere. Non c'è nulla di peggio, per i comunisti, che presumono di poter lavorare ancora nell'ombra per sviluppare questo loro piano scientificamente ideato e scientificamente realizzato, non c'è nulla di peggio che l'illustrazione più vasta possibile del tipo particolare di aggressione che
essi pensano di poter effettuare in Italia. Quindi, anzitutto, non si pensi 'che questo convegno esaurisca la sua importanza nel dar vita al documento conclusivo. Ha, invece, una sua importanza agli effetti pratici: mettere in luce certi temi, puntualizzare esattamente le tecniche usate dall'avversario, diffondere questa nuova impostazione, questo nuovo angolo visuale dal quale riguardare l'azione comunista quotidiana. E ciò è quanto di più utile sul piano propagandistico si possa fare. Rappresenta, direi anzi, una novità assoluta nel quadro piuttosto deprimente delle attività attuali dell'anticomunismo italiano.
Bisogna puntare sull'opinione pubblica al di fuori degli schemi di partito e dei riferimenti politici. Non bisogna continuare a considerare la lotta politica basata esclusivamente sugli schemi ottocenteschi dei partiti. Occorre considerare anche !'importanza che hanno le iniziative settoriali, le organizzazioni parallele, lo studio approfondito di queste nuove tecniche di indottrinamento e di condizionamento delle masse: ecco l'importanza del convegno, ecco l'importanza dei risultati ai quali mi sembra che esso indubbiamente sia pervenuto, se non altro per la messe di considerazioni e per l'abbondanza di documentazioni che esso ha messo a disposizione. Se un numero crescente
. di italiani sarà indotto a riguardare il comunismo, non secondo lo schema ormai non più valido e sorpassato di un partito che conquista o cerca di conquistare il potere attraverso il ricorso alle elezioni e lo sfruttamento, più o meno estremista, più o meno provocatorio delle sue organizzazioni sindacali, ma sarà indotto a riguardare il comunismo in Italia, come un male che contrasta la nostra civiltà di italiani, di europei, di occidentali; se sarà indotto a riguardare alle tecniche comuniste freddamente elaborate per la conquista del potere in un Paese moderno, in una situazione storico-politica completamente diversa da quelle che ci hanno precedute, noi avremo compiuto un'opera utilissima. Spetterà poi ad altri organi, in senso militare, in senso politico generale, trarre da tutto questo le conseguenze concrete, e far s1 che alla scoperta della guerra sovversiva e dalla g. r. segua l'elaborazione completa della tattica contro-rivoluzionaria e della difesa.

 



L'insidia psicologica della g.r. in Italia

Intervento del giorno 4 maggio del dottore RENATO MIELI

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Ero piuttosto riluttante a prendere la parola, dopo avere ascoltato interventi per me particolarmente dotti ed avrei voluto astenermi; tuttavia dopo aver inteso la relazione di Vanni Angeli, mi sono convinto che anche un mio contributo poteva essere utile in questa sede, benché, ripeto, io mi senta impreparato sia su questo specifico tema, sia sugli aspetti tipicamente militari di esso. La mia attività è di studio, ma non su questi argomenti.
Tuttavia dirò che vi è un assunto sul quale concordo, ossia sulla esistenza nel mondo moderno di un tentativo permanente di sopraffazione, contro il quale non si trova sempre un'adeguata risposta. Ciò malgrado ho qualche dubbio sulla bontà della definizione di « guerra rivoluzionaria» e sull'effetto che tale definizione può produrre in molte persone. Ma, come dicevo, resto fermo nel riconoscere che esiste una unità nell'aggressione dalla quale ci sentiamo colpiti. Ed a questo proposito voglio riferire un episodio, non noto, ma reale.
Nella primavera del 1949 il P.C.I. inviò un suo rappresentante per prendere contatto con la Repubblica Popolare Cinese, allora non ancora costituita, ma che stava ultimando le operazioni militari. 11 rappresentante del P.C.I., incontratosi con Mao-Tze-Tung e felicitandosi con lui delle sue vittorie, gli disse anche che i comunisti italiani riconoscevano che il loro contributo all' espansione del comunismo mondiale era veramente esiguo paragonato a quello cinese. Mao-Tze-Tung rispose: no, noi cinesi e voi italiani ci troviamo di fronte alla stessa tigre e la dobbiamo affrontare insieme; noi l'aggrediamo di petto cercando di spezzarle i denti e voi comunisti italiani intanto le pestate la coda. I dirigenti del P.C.I., quando il loro delegato tornò in Italia, riconobbero la validità del giudizio di Mao-Tze-tung, perché la tigre poteva comunque venire distratta. da un piccolo fastidio e consentire così a chi le voleva spezzare i denti di operare con maggiore facilità.
Ciò significa che in realtà la guerra rivoluzionaria non deve essere necessariamente condotta ovunque nello stesso modo e che perciò ai comunisti italiani tocca un compito diverso da quello dei cinesi. Il comunismo nella sua manifestazione cinese si presenta come un comunismo impegnato in una azione militare, ma ciò non vuoI dire che il comunismo in tutto il mondo debba svolgere una azione analoga. La ripartizione dei compiti non è basata sul fatto che prima o poi tutti dovranno passare dalla fase della propaganda e dell'infiltrazione all'azione militare; le fasi sono regolate dalle condizioni delle possibilità esistenti nelle varie zone del mondo e dalla possibilità di operare in una specie di armonia concertata, per cui ad ognuno tocca un mondo specifico. In occidente la guerra guerreggiata, la guerra che qui si è voluto chiamare rivoluzionaria, si presenta sotto forme completamente diverse, particolarmente in Italia. Sicché la teoria di Mao-Tze-tung, certamente molto interessante, non soltanto non è nota alla maggior parte dei comunisti italiani, ma non ha una grande importanza agli effetti delle azioni che si svolgono in Italia. Perciò mi trovo d'accordo con il relatore che mi ha preceduto circa gli elementi fondamentali con i quali il comunismo conduce la sua azione in Italia. Si tratta di una guerra prevalentemente psicologica, il cui obbiettivo non è quello di occupare il territorio o di distruggere un esercito, ma è la conquista di un avversario, ossia la conquista dell'uomo.
Evidentemente parlare di guerra rivoluzionaria, quando la si concepisce in termini di conquista di uomini, può sembrare un eccesso di linguaggio, perché in realtà non è che un'azione politica. La politica ha sempre tentato di conquistare adepti, simpatizzanti e di convertire gli uomini ad una determinata causa e ad una determinata idea. Però vi è un elemento fondamentale che la politica comunista è coordinata in modo organico, anche se non del tutto chiaro, anche se non privo di contrasti sul piano mondiale. Ossia l'azione politica non va intesa nel senso tradizionale perché si svolge sul piano di una conquista legata ad un coordinamento mondiale con la finalità di privare noi tutti di vivere come liberi cittadini. Esiste dunque un legame invisibile per cui la conquista di un voto in più in Italia o la conquista di un'adesione a determinate manifestazioni si collegano con la guerriglia nel Vietnam.
Venendo al problema italiano, è giusto quanto diceva l'oratore che mi ha preceduto che la principale arma dei comunisti è quella d'individuare le contraddizioni o addirittura di farle nascere e poi di sfruttarle in modo da provocare un fatto disgregatore nella società che il comunismo vuole conquistare. L'esempio italiano in materia è di una tale ricchezza che non finiremo mai di parlarne se volessimo portarla come prova per dimostrare questo assunto.
Se questa è l'effettiva linea condotta dal P.C.I., noi dovremmo adottare due contromisure: la prima è quella di preoccuparci di individuare per prime le nostre contraddizioni e di tentare di risolverle, perché questa è l'essenza della democrazia. Ma nel tempo stesso dobbiamo tentare di individuare le contraddizioni dell'avversario per denunciarle a lui stesso, il quale non le conosce o non vorrebbe conoscerle. Non mancano gli elementi per mettere i comunisti di fronte alla constatazione delle loro contraddizioni sul piano internazionale, sul piano interno e, direi, perfino sul piano individuale. lo credo che non dobbiamo sottovalutare l'importanza del contrasto che oggi divide l'Unione Sovietica dalla Cina; esso non può costituire un motivo automatico di controllo del mondo comunista, anzi il comunismo potrebbe trarne vantaggio, perché la presenza di un bicentrismo nel mondo comunista è suscettibile di attirare maggiori consensi al comunismo stesso. Ma questa contraddizione diventa inveçe un motivo di debolezza se si è capaci di denunciarla e di strumentalizzarla. l fatti, di per sé, non sono mai né positivi né negativi: il comunismo non è invincibile, il comunismo non è così perfetto come si vuoI descrivere. Imperfetta è la: risposta. La debolezza delle nostre posizioni, delle nostre repliche, delle nostre iniziative fa sì che questa divisione tra Mosca e Pechino risulti, a conti fatti, più vantaggiosa che svantaggiosa per i comunisti, almeno in Italia.
La seconda contraddizione è quella che riguarda il comunismo italiano all'interno. Quando si manifesta un dissenso nelle file del P.C.I., la voce dissenziente viene soffocata e sommersa dalla forza dell'apparato comunista, perché noi non la raccogliamo. Mentre, qualora vi siano segni anche minimi di dissenso in seno ai comunisti, in seno ai loro alleati o ,in seno ai loro ausiliari, noi dobbiamo agire con la stessa prontezza, intelligenza, sensibilità ed efficacia con cui agiscono i comunisti. Siamo estremamente severi anche con coloro che creano gravi difficoltà al movimento comunista soltanto perché costoro dichiarano di essere comunisti o socialisti. Dobbiamo andare più a fondo delle cose. Non è sufficiente fermarsi alla superficie e considerare in blocco chiunque si dichiari di sinistra come una persona ormai perduta e, viceversa, accettare senza nessuna verifica chi dichiara di essere anti-comunista. Se taluni dicono di essere anti-comunisti e giovano ai comunisti noi dobbiamo ugualmente combatterli, indipendentemente da quanto essi affermano.
Vi è infine la questione delle contraddizioni nei singoli individui. Direi che è una questione psicologica. Badate che il comunista riesce a pensare contemporaneamente due cose contraddittorie con la massima tranquillità. E voi non lo troverete mai in imbarazzo, perché, in fondo, la coerenza non è una regola: siamo noi od alcuni austeri e severi intellettuali che pretendono che la coerenza sia un patrimonio di tutti. In generale non è così. Noi dobbiamo dimostrare a queste persone che la loro incoerenza è una manifestazione di contraddizione ed è distruttiva; che essi non hanno nulla da insegnare perché là dove esercitano il potere questa incoerenza si traduce in risultati disastrosi. .
Infine vorrei dire che noi dovremmo adoperarci perché i comunisti conoscano sé stessi. L'esperienza del comunismo porterà il comunismo al suo dissolvimento e possiamo trovare il punto debole del comunismo proprio all'interno del comunismo stesso.
Dobbiamo contrapporre una nostra strategia più efficace alla strategia comunista se vogliamo dissolvere il mondo comunista che si presenta compatto e minaccioso, ma che in verità non è così compatto come si crede, anche se è molto minaccioso.
Noi conosciamo poco il mondo comunista e ci comportiamo come se quel mondo dovesse essere respinto in blocco, eppure la debolezza di quel mondo sta in se stesso. I comunisti sono deboli per quello che dentro essi stessi hanno e se la nostra azione non ci sembra dare risultati cospicui in breve termine, col tempo lo sforzo di persuasione finisce d'indebolire la fibra di quei comunisti che oggi sembrano temibili, impenetrabili a qualsiasi critica ed a qualsiasi processo di revisione.
Il comunismo e la sua guerra non sono tutti di tipo cinese, e per quel che ci riguarda, l'aggressione comunista è molto più sottile articolata e differenziata. Noi qui ci troviamo di fronte alla forma più insidiosa che si manifesta in occidente di questa articolazione, di fronte alla forma più acuta, la quale ha una fisionomia quasi inafferrabile. Dobbiamo essere altrettanto ferrati, altrettanto abili ed altrettanto impegnati, se vogliamo combattere i comunisti con efficacia.

 


L'aggressione comunista all' economia italiana

Intervento del 4 maggio del professore MARINO BON VALSASSINA

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Il tema di cui mi accingo a parlare, quello cioè dell'aggressione rivoluzionaria comunista all'economia italiana, s'inquadra egregiamente, a parer mio, in quello generale del nostro convegno. Sebbene si tratti di una lotta che non sembra avere alcunché di comune con il classico scontro di due forze armate sul campo di battaglia, non vi è dubbio che di guerra si tratti ed anzi di una delle manifestazioni più importanti e più insidiose di quella guerra rivoluzionaria, ecumenica e proteiforme, che è stata oggetto delle interessanti relazioni ascoltate sin qui. Il ridurre alla guerra, il concepire sub specie bellica la lotta politica, è del resto una vecchia caratteristica del socialismo marxista, anche di quello precomunista od acomunista, poiché per una di quelle strane contraddizioni (e lasciatemi usare questo vocabolo squisitamente marxista in un senso più legittimo di quelli in cui i marxisti sono soliti adoperarlo) per una delle tante contraddizioni che si ravvisano negli atteggiamenti ideali e pratici dei socialisti; infatti all'antimilitarismo, al pacifismo professati da costoro allorché si tratta di privare il loro paese e la nazione cui appartengono dei necessari strumenti di difesa, fa riscontro una proterva bellicosità, un'inclinazione ai metodi violenti, sol che si tratti di perseguire obiettivi diversi da quelli nazionali, di propugnare i loro valori di parte anziché quelli della tradizione spirituale ed etica del loro paese.
lo penso che, a proposito dello specifico tema del mio intervento come di qualunque analisi dell'atteggiamento comunista in un campo qualsiasi, occorra prendere le mosse dalle impostazioni filosofiche che stanno alla base del comportamento esaminato. E questo, non soltanto per la ragion pratica che, confutando le idee dalle quali deriva e su cui poggia un certo comportamento, un certo atteggiamento pratico, lo si priva dello humus sul quale solo può prosperare, se ne recidono le stesse radici, -ma perché anche sul piano teoretico, anche sul piano dottrinale, non è seriamente comprensibile né tanto meno criticabile una data morale - ed anche quella comunista è una morale, per quanto eticamente repulsiva essa possa apparirci - se non la si riaggancia, se non la si riannoda alla metafisica od antimetafisica, da cui deriva ed in connessione con la quale soltanto essa acquista un rigoroso significato. Tanto più necessario è rifarsi alle impostazioni filosofiche del marxismo-leninismo, ogni qual volta si vuole realmente comprendere il senso di un atteggiamento comunista, e quindi anche mettersi in grado di fronteggiarlo, adeguatamente in quanto, per una delle tante e strane contraddizioni in cui il comunismo, più ancora che il socialismo s'involge, quei materialisti sono persone che sulla forza delle idee, sull'efficacia rivoluzionaria delle idee, continuamente insistono e basano in larghissima misura la loro azione eversiva. Solo muovendo dai punti di partenza speculativi ed etici del marxismo-leninismo nella sua lotta rivoluzionaria, si può intenderne la profonda sostanza interiore e ci si può mettere in grado, fra l'altro, di predisporre i sistemi indispensabili per contenere l'aggressione che a quelle idee s'ispira e che ne viene orientata.
Ora, se si prende in considerazione il fenomeno dell'aggressione comunista al sistema produttivo ed economico esistente in Occidente ed in genere nei paesi nei quali vige un'economia di mercato, ed in particolare nel nostro, noi vediamo che una lotta di questo tipo non è suscitata a caso, o a capriccio, ma che vi sono motivi fondamentali della visione marxista-leninista della società e del divenire storico, i quali impongono inderogabilmente di assumere questo atteggiamento aggressivo e ne spiegano le ragioni, ragioni indefettibili finché il comunismo rimanga sé stesso, finché esso continui a' richiamarsi alla ideologia marxista-leninista.
Ha scritto un autore tedesco, del quale mi sfugge il nome, che non è stato cercando i mezzi per sanare le miserie del proletariato che Marx ha scoperto la rivoluzione, bensì cercando i mezzi per fare la rivoluzione che egli si è imbattuto nel proletariato, classe sradicata e perciò disponibile per eccellenza. Lenin. stesso ha affermato che
. Marx ed Engels, a differenza degli altri socialisti loro contemporanei, avevano collocato tutte le loro speranze nella crescita continua del proletariato (nel senso di un allargamento progressivo dell'aréa proletaria nella società). Vero è che sradicamento e proletarizzazione sono la sostanza stessa della «disalienazione» dell'uomo, marxisticamente intesa, condizione a sua volta della sua disponibilità per essere docilmente inserito nel processo dialettico e rivoluzionario. Perciò i marxisti-leninisti hanno bisogno di aumentare il numero dei proletari, quanto di deprimere le condizioni di vita per aumentare la loro disaffezione ed il loro senso di rivolta contro l'ordine sociale esistente; perciò il benessere delle masse è per essi un incubo e una minaccia. All'economia del benessere, ad un sistema produttivo generatore di ricchezza, i comunisti debbono opporsi per imprescindibili esigenze di coerenza rivoluzionaria.
Ancora, come potrebbero essi, nella loro frenesia e smania di cogliere, e all'occorrenza di creare la «contraddizione» ovunque, come potrebbero rinunciare a suscitarne ed a coltivarne in quel mondo dell'economia capitalistica, i cui prodigiosi successi costituiscono la bruciante smentita delle sinistre profezie di sventura di'
Carlo Marx, nonché una sicura premessa di delusione delle aspettazioni rivoluzionarie? Del resto, l'atteggiamento quasi costante della controparte, incline a credere che le concessioni ed i compromessi possano appagare, o almeno ammollire i rivoluzionari, e pertanto a transigere e a «mollare », li indurrebbe a tanto quand'anche essi non vi tendessero spontaneamente. Con la bonomia di chi crede che gli uomini possano e debbano intendersi fra loro, non s'induce davvero a disarmare chi ritiene essere la rivoluzione una lotta permanente, ed ogni conquista il punto di partenza per ulteriori pretese e rivendicazioni. Non rendersene conto, vuoI dire non avere capito nulla della mentalità «dialettica» e della sua esigenza di esasperare sempre nuove «contraddizioni» (senza peraltro possedere alcuna seria nozione di ciò che è l'essenza logica della contraddizione, e senza avvedersi delle autentiche ed insanabili contraddizioni che stanno, invece, alla base dell'inconsistente sistema di pensiero marxista-leninista).
Poiché le misure repressive che dovevano essere prese contro l'organizzazione sovversiva comunista non sono state prese né accennano ad esserlo, basterà che qualche depressione economica più accentuata e durevole determini uno status d'insoddisfa-zione, di frustrazione collettiva, perché. venga artificiosamente indotta quella « radicalizzazione delle masse» da cui il fatto rivoluzionario germina spontaneamente. Inoltre, come lo stato totalitario ha bisogno di una politica esterna d'iniziativa ad ogni costo, cosi ne ha bisogno il partito totalitario, e per ragioni non dissimili: oltre a demoralizzare e a disorientare l'avversario, una politica siffatta giova a rinsaldare il vincolo interno, a giustificare la tirannia. Accanto ed oltre gli inconcussi dogmi del movimento, esistono anche ragioni pratiche"cogenti ed ineluttabili, per cui l'aggressione al sistema economico del mondo libero, ad opera dei comunisti, non può subire soste né -registrare armistizi, là dove non sono praticabili le insurrezioni militari e di civili, armati, che vanno tanto bene a Santo Domingo, o la guerriglia che si addice al Vietnam. Dove, insomma, il costante ed universale obiettivo strategico dev'essere perseguito in forme adeguate alla cornice socio-economica di un paese culturalmente evoluto e di avanzata civiltà industriale.

È negli stessi indirizzi di politica economica propugnati dai comunisti - direttamente o per il tramite di figuranti di docilità illimitata - che si debbono ravvisare le grandi linee strategiche dell'aggressione comunista contro l'economia italiana. La verità dell'insegnamento di Lenin, il quale capovolgendo un noto aforisma di Clausewitz affermò non essere la politica altro che il proseguimento della guerra con altri mezzi, trova clamorosa conferma nelle impostazioni politico-economiche dell'estrema sinistra italiana. Valga g titolo di esempio - recente e rilevantissimo - l'atteggiamento assunto dalla centrale sindacale comunista in tema di programmazione.
Ho sott'occhio una raccolta di documenti che s'intitola «CGIL e programmazione economica », edita a cura dell'Ufficio studi economici di quella organizzazione, e spigolo da esso.
Secondo l'onorevole Novella (pag. 37 del cito volume) va detto a tutte lettere « che non sarà lo strumento tecnico della pro-grammazione che porterà a quei risultati (di espansione economica, di assorbimento della disoccupazione, di incremento del reddito, di riduzione degli squilibri, ecc. ecc.) ma il suo contenuto politico, l'identificazione di obiettivi precisi e degli strumenti economici necessari g tradurli in realtà; la mobilitazione di uno schieramento di forze sociali in grado d'imporne la realizzazione. Solo una programmazione antimonopolistica, cui siano interessati i più vasti strati della popolazione lavoratrice e impegnata direttamente nella produzione, che individui chiaramente nel monopolio l'ostacolo da superare, l'avversario da battere, potrà determinare entro un lasso relativamente breve di tempo la soluzione dei problemi della nostra società ». Ed asserisce ancora il presidente di quella Confederazione: «noi pensiamo che la libertà di scelta negli investimenti e quindi la possibilità di orientare lo sviluppo economico appartenga oggi solo a poche grandi società ad alto potere di monopolio e che trasferire questo potere di decisione e di programmazione in mani di uno Stato democraticamente organizzato debba costituire il risultato fondamentale di una politica di piano ». Inoltre, secondo l'autorevole esponente comunista, «funzione del sindacato è... quella di partecipare attivamente e di collaborare sia alla formulazione dei programmi che alla loro esecuzione nel mantenimento della più completa autonomia di rivendicazione e di azione sindacale. Il. principio della libera contrattazione del salario e in genere delle condizioni di lavoro non solo non è in contrasto con la politica di piano ... ma anzi ne costituisce la condizione indispensabile, in quanto è diretta a limitare e contenere il potere economico e politico di quelle stesse forze che la programmazione è chiamata a contrastare».
In una relazione del dotto Spesso alla Commissione economica nazionale della CGIL, è detto testualmente (p. 44): «una programmazione democratica non dovrà prefiggersi una mera razionalizzazione del sistema... ma essere sostenuta... da una astensione dell'intervento dello Stato e dell'area economica da esso controllata, favorendo contemporaneamente le determinazioni di nuovi contenuti di quell'intervento e di quel controllo. Tali contenuti debbono favorire anche la partecipazione sempre più organica ed immediata delle grandi masse lavoratrici alle decisioni economiche fondamentali del paese... ». E più in là: «...non accedendo a nessuna condizione impostagli da qualsiasi «parametro» programmatorio, il sindacato può considerare le sue rivendicazioni la agevolazione dei fini generali della programmazione stessa, intensificando ... con diversi ritmi le sue rivendicazioni a tutti i livelli, proprio perché la programmazione economica possa realizzare l'obiettivo di delineare una espressione dell'accumulazione (capitalistica) che si basi su una distribuzione del reddito nazionale del tutto nuova ».
Negli «Orientamenti della CGIL per la programmazione economica» del marzo 1963, si legge (p. 58): «... il fine della programmazione stessa va ricollegato alla necessità di modificare il tipo di espansione in atto e non soltanto a correggere le sperequazioni che ne conseguono. Ma cambiare il tipo di sviluppo in atto non è possibile senza una decisa azione antimonopolistica che modifichi profondamente le strutture economiche e sociali del nostro paese. Le riforme strutturali proposte dalla CGIL costituiscono gli strumenti indispensabili a cui bisognerà ricorrere affinché la politica di piano abbia come risultato di modificare la natura del processo di accumulazione, modificando le condizioni basilari di sviluppo dell'attività economica ». Infatti, come il citato documento chiarisce più in là (p. 60) quelli che debbono essere mutati sono gli stessi presupposti attuali
del mercato, attraverso la nazionalizzazione di sempre nuovi settori produttivi.
Perfino il settore pubblico dell'economia, come risulta dalle «osservazioni della CGIL al rapporto del prof. Saraceno (p. 275) non viene lasciato in pace, essendogli imputato di «continuare a muoversi in una struttura privatistica che trae prevalentemente dal mercato sia gli approvvigionamenti di capitale che gli stimoli produttivi, in vista soprattutto della realizzazione di massimi obiettivi di profitto in termini aziendalistici ». Occorre dunque, non soltanto allargare l'area d'intervento delle aziende pubbliche, ma modificare l'attuale struttura delle partecipazioni statali accentrata sull'IRI e sull'ENI, impedire che le loro politiche d'investimento siano tali da agevolare l'economia privata e che esse continuino a manifestarsi sensibili agli stimoli provenienti dalla domanda di mercato, anziché condizionare esse stesse la struttura e la direzione dei consumi. Il sistema delle partecipazioni statali deve essere pertanto riordinato, trasferendo a gestioni speciali dei ministeri competenti vari servizi svolti da aziende che oggi s'inquadrano nel sistema delle partecipazioni statali, smembrare gli enti di gestione esistenti e liquidare la struttura privatistica di tali aziende e con essa la loro autonomia.


Appare superfluo proseguire nelle citazioni. È abbastanza chiaro che la c.d. programmazione antimonopolistica, propugnata dai comunisti attraverso i loro sindacati - come, del resto, con ogni altro mezzo ed in ogni altra sede - si propone obiettivi eversivi del sistema economico vigente, da conseguirsi attraverso adeguati strumenti coercitivi, e che essa non ha di mira il conseguimento di determinati traguardi comuni all'intera collettività nazionale, bensì la sconfitta di un avversario: quello di sempre, ossia la libera iniziativa economica. Attraverso l'enunciazione di risibili pretesti, come quello di far partecipare le grandi masse lavoratrici alle decisioni economiche, è la distruzione di ogni centro indipendente- di decisione economica e l'annichilimento dell'economia di mercato che i comunisti perseguono: veri scopi di guerra, la cui ipotetica realizzazione nulla avrebbe in comune con il raggiungimento degli obiettivi programmatici, mentre s'identificherebbe con il trionfo della strategia rivoluzionaria comunista.
Le manifestazioni più caratterizzate, più aggressive e fornite di maggior efficacia immediata, della lotta rivoluzionaria comunista, contro il sistema economico del mondo libero, sono peraltro quelle che si presentano quali espressioni della lotta sindacale e che utilizzano ogni possibile stratagemma o pretesto per volgere lo sciopero ed altri istituti affini a scopi sovversivi. In tale azione i comunisti sono confortati da un preciso insegnamento di Lenin, il quale scrisse che «l'operaio arretrato si attiene alla lotta economica; l'operaio rivoluzionario (il cui numero non cessa di accrescersi) respingerà con indignazione tutti i ragionamenti sulla lotta per le rivendicazioni che lasciano sperare in risultati tangibili... perché egli comprenderà che non si tratta d'altro che di variazioni della vecchia canzone sull'aumento di un copeco per rublo ».
Il nostro paese, come ognuno sa, occupa un posto distinto nella graduatoria delle nazioni travagliate dalla scioperomania; le agitazioni il cui pretesto economico-contrattuale non riesce a mascherare il perseguimento di ben diverse finalità - da quella d'intimidazione dei pubblici poteri a quella, appunto, di prostrazione dell'impresa privata - si fanno sempre più frequenti e più dure. La concezione leninista della funzione del sindacato, che si manifesta appieno dopo l'instaurazione della dittatura proletaria con la riduzione dei sindacati stessi a strumenti dello Stato datore di lavoro e col privarli d'una qualsiasi indipendenza dall'autorità governante, si realizza già in quei paesi nei quali il partito comunista è riuscito ad egemonizzare le associazioni operaie, le forze organizzate del lavoro. Se vogliamo una conferma, possiamo fare un elenco piuttosto lungo ed oltremodo eloquente di caratteristici comportamenti ed operazioni aggressive cui suole ricorrere il sindacalismo d'ispirazione comunista, che la dice lunga in proposito.
Dallo sciopero di protesta o di rappresaglia, per definizione originato da motivi affatto estranei alla contrattazione collettiva, a quello di solidarietà che si esercita per una causale sémpre estranea al rapporto di lavoro degli scioperanti, a quello diretto ad esercitare una coazione sulla pubblica autorità affinché emetta o si astenga dall'emettere determinati provvedimenti, a quello oltranzistico o a tempo indeterminato, alle varie specie dello sciopero politico, culminanti nell'espressione massima di codesto tipo di sciopero, che è quello generale: una fenomenologia ricca e varia, che la carenza di una legislazione regolativa e limitativa del diritto di sciopero ha consentito allignasse, malgrado l'evidente aberrazione ed illegittimità di certe forme di lotta sindacale. Alle quali, peraltro, vanno aggiunte quelle diverse dallo sciopero comunque qualificato: l'astensione dal lavoro « a scacchiera» o « a singhiozzo », la cui struttura alternativa nello spazio o nel tempo è preordinata a scompaginare, con danno maggiore che nello sciopero comune, l'attività produttiva; la «non collaborazione », che direttamente viola il principio stesso su cui si regge una comunità di lavoro ed infrange gli elementari doveri di lealtà del prestatore d'opera; le criminose esplosioni di furore classista che si chiamano boicottaggio, sabotaggio, occupazione di fabbriche, di terre o di edifici. L'estro inventivo dagli agitatori sindacali nostrani escogiterà, senza dubbio, ancora nuove forme di aggressione su scala locale o nazionale, di carattere subdolo o apertamente ribellistiche, miranti a disorientare la produzione ed a rallentarne il ritmo. Gli espedienti e stratagemmi già consolidati nella prassi, come risulta dal sommario elenco tracciatone, sono però bastevoli, e largamente, a fornire agli strateghi della sovversione comunista tutti i mezzi d'azione loro occorrenti.
L'esame della casistica agitatoria collaudata nell'esperienza sindacale italiana conferma dunque, in maniera inequivoca, il carattere rivoluzionario di una lotta sindacale che non ha come scopo l'accrescimento della quota spettante ai lavoratori nella ripartizione della ricchezza prodotta, ossia una modificazione ad essi favorevole nell'ambito del sistema, bensì l'indebolimento progressivo del sistema stesso, fino a provocarne il finale collasso. Né è difficile intendere, dati gli stretti vincoli di dipendenza dei nostri sindacati d'estrema dal partito comunista, in quale strategia globale s'inquadrino le loro lotte eversive, a quale disegno operativo esse siano funzionalmente ordinate. Se il legislatore italiano troverà un giorno il coraggio di adempiere il precetto che gli rivolge l'art. 40 della Costituzione e di sottoporre finalmente ad una organica disciplina l'esercizio del diritto di sciopero, esso dovrà tener conto della vera natura di certe forme abnormi di lotta sindacale, non potrà non considerarle quelle che sono: manifestazioni intrinsecamente illegali di una complessa azione mirante a distruggere la costituzione economica vigente.


Prima di concludere il mio intervento, non posso non soffermarmi brevemente sul problema dei rimedi contro il pericolo descritto, sul problema cioè degli strumenti di difesa contro l'aggressione comunista all'economia nazionale. Strumenti di difesa, rimedi, i quali non possono essere cercati nello stesso ordine economico - una battaglia avente obiettivi economici può essere diretta contro gli Stati comunisti, non contro i comunisti nostrani - ma che debbono piuttosto essere individuati in quello giuridico-politico. Evidente, ad esempio, che a certe forme illegittime di lotta sindacale, a certi abusi dello sciopero, una legge che finalmente ne disciplinasse, in ossequio al dettato dell'art. 40 della Costituzione, l'esercizio, rappresenterebbe senza dubbio (purché poi la legge la si facesse rispettare ed applicare con un minimo di fermezza e di coraggio) un'efficace risposta ed un buono strumento di difesa. Uno strumento, oltretutto, conforme ad una precisa indicazione della stessa nostra legge fondamentale, della quale io non sono certo un ammiratore né tanto meno un paladino, ma che è, piaccia o non piaccia, il fondamento dell'ordine giuridico vigente nel nostro Paese ed alla quale conviene dunque, de jure condito, rifarsi. È chiaro altresì che, se l'atteggiamento politico delle maggioranze parlamentari e del potere esecutivo in Italia mutasse finalmente, e si conformasse alle esigenze d'una consapevole e ferma politica anticomunista, anche le possibilità che certe eversive impostazioni di politica economica e programmatoria oggi possiedono, di ottenere credito ed almeno parziale SUC7 cesso, sarebbero eliminate, ed esse non avrebbero maggior interesse che quello di una curiosità, ascrivibile alla irresponsabile presa di posizione di qualche capopopolo privo d'influenza sulle pubbliche decisioni.
Ma, prima ancora dei rimedi d'ordine politico e di ordine giuridico, io credo che sia nel settore psicologico che si debba mettere in opera il complesso degli stimoli e delle risorse necessari per arrestare l'offensiva comunista, ed anche il tipo di aggressione in discorso. lo non so se taluno di voi abbia mai veduto (a me è capitato, tanti anni fa, passeggiando lungo un fosso) in che modo una biscia inghiotta una rana; ho assistito a quello straordinario spettacolo; durato più di un'ora. Voi vedete il rettile, lontano ancora venti o trenta centimetri dal batrace, muoversi appena, di tanto in tanto, pigramente, scuotere talora la coda e dondolare leggermente la testa, senza nessuna fretta, mentre di fronte a lui la timida preda, immobile, lo guarda affascinata, non pare in grado di staccare gli occhi da quelle testa tanto più piccola del suo proprio corpo, che oscilla e or, si avvicina or si allontana, finché, giunto il momento in cui il lungo pregustamento della fagogitazione si è compiuto, quelle fauci si spalancano e la rana (il cui miserabile corpo di vertebrato inferiore, io penso sia stato durante la lunghissima agonia, pervaso dai fremiti di una sensualità di tipo masochistico) non soltanto si lascia inghiottire senza alcun moto o tentativo di ribellione o di fuga, ma addirittura si protende volonterosamente dentro la gola del rettile, al fine che sia più rapida ed agevole la deglutizione. Ebbene, io credo che il comportamento di certe categorie sociali, cerchie intellettuali e forze politiche di fronte al comunismo, categorie cerchie e forze nel cui seno vi san pure parecchi individui dotati d'un qualche valore intellettuale, culturale, professionale, ma sprovveduti di un minimo di coraggio civile, di civile moralità, i6 credo che il comportamento di quei gruppi di fronte all'aggressione comunista possa venire paragonato a quello della rana che si fa inghiottire a quel modo dalla biscia.
Una volta, qualcuno cui facevo la descrizione della scena che vi ho testé riferita mi ha chiesto: ma lei perché non ha preso un
bastone? Ed io gli risposi: perché, in verità, la rana non mi ispirava nessuna simpatia, nessuna compassione. Anche coloro, uomini in carne ed ossa ma privi di virili virtù, che si comportano di fronte all'insidia comunista all'incirca a quel modo, non destano nell'animo mio alcun sentimento di compassione o di pietà. Solo se si ripudia il fatalismo stolto e suicida, che induce tante vittime designate a collaborare con la forza perversa che persegue il loro annientamento, solo se ci si libera di certi stolti pregiudizi che il moralismo democratico diffonde e inculca in tema di rapporti col comunismo, sarà possibile opporsi con successo all'azione disgregatrice ed eversiva degli agenti della rivoluzione proletaria.

 

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