Resoconti e testimonianze

Roberto Castaldo
Ho un ricordo fotografico di quel giorno. Ero conduttore del treno. Non macchinista come pensa qualcuno, ma bigliettaio. Dovevo essere di turno a Cremona ma all'ultimo momento, quella mattina, mi spostarono da Milano a Bologna. Arrivai in orario. Era previsto il cambio di un'ora. Dovetti aspettare il treno Andria-Express. Era in ritardo. Così, con altri colleghi, ci recammo al deposito del personale viaggiante. Un caffè, quattro chiacchiere con altri ferrovieri. L'altoparlante annunciò l'arrivo del treno sul primo binario. Quattro passi a piedi. Passammo davanti alla sala d'aspetto di seconda classe. C'era gente seduta sui marciapiedi, ovunque, il chiosco dei gelati affollato, come quello dei panini, ristoranti stracolmi di persone.
Le 10.10. Andammo in testa al treno. Il capo ci diede i compiti. Il primo conduttore andò in coda, uno rimase là, in testa, e io mi recai al centro.
Le 10.15. Diedi informazioni sugli orari ad alcuni signori che erano appoggiati ai finestrini. Le 10.24. A quel punto ero con la faccia rivolta verso la coda del treno, la sala d'aspetto l'avevo sulla mia destra. li capotreno fischiò d'improvviso, mi girai, vidi il segnale verde, alzai il braccio destro. Non feci in tempo a prendere il via libera dal conduttore di coda che scoppiò la bomba. Una fiammata enorme, un forte boato. Qualcuno usci dalla sala d'aspetto con gli indumenti bruciati. Intanto si sprigionò una coltre di fuliggine nera, era come se si camminasse dentro un tunnel, misi la mano sulla bocca per proteggermi, la polvere era dappertutto. In quell'esatto istante la sala d'aspetto crollò, anche la tettoia di lamiera e tutto quel fumo andò verso l'alto. E vuoto d'aria mi schiacciò contro la vettura, poi a terra. Sulla gamba mi cadde un pezzo di ferro. Non sentii alcun dolore, in quel momento. Ci fu un silenzio irreale, di due minuti, tremendo, la polvere scese e mi coprì il volto, le mani, tutto. Da quel torpore irreale, mi svegliò un urlo violento. Era qualcuno che si trovava sugli altri binari, vide la scena e urlò, così forte, così chiaro. Mi girai e vidi una persona che veniva verso di me. Mentre correva, gli cadde un masso sulla schiena. Rimase a terra a pochi centimetri. Aveva gli occhi sbarrati, ma forse voleva comunicare qualcosa, un segnale di aiuto. Da solo, cercai di togliere il masso dal suo corpo, ma era troppo pesante. Uscii dalla stazione e chiamai delle persone. Tornammo sul primo binario. Riuscimmo a spostare il blocco. Lui non gemeva. Se lo portarono via con l'autoambulanza. Solo allora mi accorsi che avevo un ginocchio gonfio, triplicato, e andai in ospedale. […]
A Capodanno, ora non vado più a Napoli, i botti, gli spari, mi mettono paura. Non posso più stappare una bottiglia di champagne, con una scusa mi assento. Quando scoppia il palloncino di un bambino, .mi fermo, non parlo, sudo freddo, tutto mi porta a quel giorno alla stazione di Bologna. Una volta, in corso Buenos Aires, a Milano, il colpo di una marmitta mi ha fatto saltare da terra. E ancora, sulla metropolitana, un ragazzo ha smarrito uno zainetto. Pensavo: 'E se .fosse una bomba?'. Come potevo rivolgermi al capotreno? Dirgli che avevo un sospetto'? Mi avrebbero preso per matto. Fobie, tensioni. Questo mi è rimasto dentro dal 2 agosto del 1980.
Daniele Biacchessi, Un attimo ...vent'anni, Bologna, Pendragon, 2001, pagg. 26 e 42

Ugo Natale
Eravamo nella sala d'aspetto di prima classe, proprio dove sono cadute più macerie, mi stavo allontanando quando ho sentito un boato. Sono stato il primo a correre dentro quel polverone in cui non si vedeva niente e ho scavato come un pazzo fino a quando ho trovato Roberto. Era incastrato di fianco, sulla sedia della sala d'aspetto. Mi ci è voluta un'ora per liberarlo.
Daniele Biacchessi, Un attimo... vent'anni, Bologna, Pendragon, 2001, pag. 26

Marina Gamberini
Lavoravo alla Cigar. Non ho un ricordo preciso dell'esplosione. Quei particolari h ho rimossi dalla mia mente e li sto ricostruendo attraverso un lungo e difficile lavoro di analisi.
I miei ricordi iniziano dal momento in cui mi svegliai. Ero sotto le macerie. C'era un gran buio, e urlavo, o almeno a me pareva di urlare forte. Sentivo le sirene delle ambulanze che giravano intorno, le mani che scavavano tra le pietre. Ho sentito che tutto si capovolgeva, non potevo muovermi. Era come se fossi in un incubo. Ero rimasta incastrata tra una grossa trave e la mia scrivania. Uno dei volontari mi è passato sopra e mi ha fatto male. Ho urlato più forte, lui ha ordinato agli altri di stare in silenzio. Hanno iniziato a scavare. Alla fine ho sentito una mano che mi prendeva e mi tirava fuori da quella posizione. Poi mi sono addormentata. Ho perso le mie colleghe. Stavamo compiendo il nostro dovere, non avevamo chiesto a nessuno di metterci una bomba sotto la scrivania. […]
La mia è veramente una vita sospesa. Dopo quella bomba, tutto è cambiato. Con le mie colleghe del ristorante c'era un'amicizia profonda, una complicità forte. Eravamo anche giovani, del resto. Non è facile dimenticarle.
Volevo fare le cose che loro non potevano più realizzare. Mi sentivo addosso la responsabilità di vivere al posto loro. E sono iniziati i sensi di colpa. Mi chiedevo. 'Perché loro e non io?". Sensi di colpa che ho risolto da pochi anni. Anche se non ho un ricordo diretto della bomba, mi prende il panico quando sento scoppiare i fuochi d'artificio o la sirena di un'autoambulanza. Sono cose irrazionali, meccanismi della mia mente. Soffro di crisi isteriche, non ho più sicurezze, ho paura, perdo il controllo di me stessa. Mi capita di avere le vertigini. Questo mi ha lasciato dentro la strage. Ho un figlio di 6 anni che amo tantissimo. Quel rapporto mi fa vivere davvero. Sono felice quando posso stare accanto a lui. Mi arrabbio invece quando avverto le ingiustizie della vita.
Lo sai che nessuno mi ha riconosciuto l'invalidità civile? Mi dicono: "Hai un marito. Un figlio. Conduci una vita normale". Ma quello che accade dentro di me non conta?
Daniele Biacchessi, Un attimo ...vent'anni, Bologna, Pendragon, 2001, pagg. 27, 42-43


Torquato Secci
impiegato alla Snia di Terni, venne allertato dalla telefonata di un amico del figlio Sergio, Ferruccio, che si trovava a Verona. Sergio lo aveva informato che a causa del ritardo del treno sul quale viaggiava, proveniente dalla Toscana, aveva perso una coincidenza a Bologna e aveva dovuto aspettare il treno successivo.
Poi non ne aveva più saputo nulla.
Solo il giorno successivo, telefonando all'Ufficio assistenza del Comune di Bologna, Secci scoprì che suo figlio era ricoverato al reparto Rianimazione dell'ospedale Maggiore.
"Mi venne incontro un giovane medico, che con molta calma cercò di prepararmi alla visione che da lì a poco mi avrebbe fatto inorridire", ha scritto Secci, "la visione era talmente brutale e agghiacciante che mi lasciò senza fiato. Solo dopo un po' mi ripresi e riuscii a dire solo poche e incoraggianti parole accolte da Sergio con l'evidente, espressa consapevolezza di chi, purtroppo teme di non poter subire le conseguenze di tutte le menomazioni e lacerazioni che tanto erano evidenti sul suo corpo".
Nel 1981 Torquato Secci diventò presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage.

Dai pompieri ci vengono alcune testimonianze su quei momenti. Un vigile del fuoco, Roberto Chinni, andò a cercare negli ospedali un bambino che aveva tirato fuori dalle macerie: 'L'ho tirato io fuori, scavando con le mani. Poveretto, aveva una gambina ingessata, chiamava il papà. Quando l'ho preso in braccio non mi lasciava più andare. Vicino a lui c'erano dei morti, forse il padre era uno di quelli. Era ferito, sì ma non mi sembrava grave. Non vorrei che fosse morto anche lui'.


Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980
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