CONTRIBUTI ALLA VERITÀ: contributo dell' Avv. Fausto Baldi

La sintesi delle ragioni nelle quali si sostanzierebbe l'accusa mossa nei confronti degli imputati Fioravanti e Mambro, contenuta nel documento "I tre punti dell'accusa"(1), è fortemente errata e sicuramente fuorviante.

Se il fine che si intendeva perseguire voleva essere quello di una informazione corretta, ancorché incompleta, l'obiettivo non è certo stato raggiunto; di straordinaria gravità appare, in tal senso, la serie di affermazioni non rispondenti ad alcuna verità processuale che vi compare e che, nel contempo, evidenze la possibile, effettiva origine dell'iniziativa.

La banalizzazione delle circostanze accusatorie, la mistificazione degli elementi di cui si compongono, l'omessa menzione di fatti di notevolissima importanza, che oltre ad avere di per sé indubbia valenza accusatoria, sono indispensabili per poter comprendere altri avvenimenti, appaiono singolarmente conformi ad alcune spettacolari defaiances in cui ebbe ad incorrere la difesa degli imputati, e stranamente in sintonia con alcune spericolate sue affermazioni, e persino con alcuni passi falsi che hanno contraddistinto i momenti "meno felici" della difesa medesima, risoltisi per la stessa in veri e propri autogol.

L'accusa "riepilogata" non corrisponde affatto a quella effettivamente mossa nei confronti di Fioravanti e Mambro; è però indubbio che gli imputati e la loro difesa preferirebbero misurarsi con le argomentazioni di minimo spessore, di basso profilo, e sostanzialmente inconsistenti riportate nella sintesi in questione, che pare fin troppo interessata.

L'opera di totale mistificazione delle carte processuali si presta ad essere utilizzata, al pari di tante altre che nel tempo l'hanno preceduta, quale ulteriore tentativo di inquinamento del processo, al fine di evitare che lo stesso approdi a quel risultato di verità che, quanto alla responsabilità di Fioravanti e Mambro, appare ormai saldamente ed utilmente acquisito.

L'accusa formulata a carico di questi ultimi si fonda su fatti tanto certi, quanto significativi, che non si riducono alle fuorvianti indicazioni contenute nel documento predisposto dal - ovvero per il - Comitato pro F. e M.(2).

Va in primo luogo fatto presente che in tale documento si ignorano completamente vicende che hanno rilevanza addirittura decisiva ai fini della affermazione di responsabilità degli imputati, quale, ad esempio, quella relativa all'omicidio di Francesco Mangiameli, leader del movimento Terza Posizione, improvvisamente ucciso dagli amici Fioravanti e Mambro il 9 settembre 1980 senza alcuna valida ragione (il vero movente di questo omicidio non è mai stato rivelato neppure agli altri complici del delitto). Le effettive circostanze in cui si è consumato l'omicidio, ad un certo punto, hanno anche gettato la Mambro nello sconforto più assoluto facendole balenare sospetti infamanti su Valerio Fioravanti, tanto gravi da farla ritrovare con "dubbi assillanti" sull'intera vicenda Mangiameli, così come la stessa si è espressa nella lettera a Mario Tuti del 16.11.1982, sequestrata nel corso delle indagini del cosiddetto Processo Quex - è lecito presumere che gli assillanti dubbi della Mambro riguardassero i rapporti collusivi tra il suo attuale marito ed i Servizi Segreti a vertice pidue, che, sotto un certo profilo, paiono aver "commissionato" la criminalizzazione del movimento politico Terza Posizione e addirittura la soppressione di Francesco Mangiameli, ritenuto orinai troppo pericoloso - .

Altre significative vicende si accompagnano, poi, all'omicidio di Francesco Mangiameli, venendo a delineare, nel loro insieme, un univoco quadro di grandissima rilevanza probatoria. Ci si intende riferire ai documenti provenienti da Amos Spiazzi, ai suoi rapporti del luglio 1980 incredibilmente occultati dal servizio di appartenenza, all'intervista resa il 5.8.1980 al settimanale l'Espresso, comparsa nel numero 24.8.1980, nel quale lo Spiazzi addossa, nella sostanza, la responsabilità della strage del due agosto a Terza Posizione, ed al suo dirigente "Ciccio", persona nella quale tutti, e per il primo il diretto interessato, riconobbero Ciccio Mangiameli. Ma ancora di indubbio rilievo appare la singolare iniziativa dell'autodenuncia assunta da Alberto Volo il 30.8.1980, alla vigilia della trasferta romana effettuata con l'amico Francesco Mangiameli, conclusasi con l'omicidio di quest'ultimo ad opera di Fioravanti e Mambro, che hanno così eseguito il messaggio di morte trasmesso dallo Spiazzi.

Straordinariamente importante è anche la vicenda della telefonata - avvertimento effettuata il 31.7.1980 da Luigi Ciavardini agli amici Pizzari e Loreti, nonché alla fidanzata Venditti, con la quale fece loro procrastinare di due giorni la partenza per il Veneto già programmata per il giorno successivo, in quanto vi erano dei "gravi problemi" per i quali non dovevano prendere il treno né l'1 né il 2 agosto, telefonata che, appena avvenne la strage, fece immediatamente temere alla Loreti che Ciavardini fosse in qualche modo implicato nell'attentato, insieme agli amici che in quel momento erano con lui a Treviso.

Le circostanze che caratterizzano queste ultime vicende sono, poi, assolutamente indispensabili per comprendere la vera accusa che è stata avanzata a proposito di quella che è stata impropriamente indicata quale la mancanza di alibi, come si accennerà in seguito.

Va qui ricordata l'importanza che ai fini dell'accusa riveste la protezione accordata a Valerio Fioravanti sia dal Sismi, che dal Sisde. Il coordinamento di questa attività di protezione - secondo l'effettivo assunto accusatorio - viene a riaddursi, in ultima istanza, alla figura di Licio Gelli, alla cui obbedienza, non solo massonica, erano posti sia il direttore del Sisde Gen. Grassini, che il vicedirettore Elio Cioppa (che, nella prima decade del mese di settembre 1980, quando Fioravanti uccideva Mangiameli, e coltivava analoghi intenti omicidi nei confronti di Ciavardini, De Angelis, Fiore e Adinolfi, per fare terra bruciata intorno a Terza Posizione, ricevette dalla viva voce del venerabile maestro l'ordine di battere una pista che portasse gli inquirenti bolognesi a rivolgere le loro attenzioni all'estero), che il direttore del Sismi, Gen. Santovito, che il suo braccio destro Gen. Musumeci, che il "consigliere" Pazienza, tutti responsabili, unicamente al Belmonte dell'operazione "terrore sui treni", con la quale si è depistata l'A.. G. di Bologna, al fine di favorire anche Valerio Fioravanti, come si accennerà in seguito. Questa protezione è continuata nel tempo, ed ha accompagnato l'intero processo, nel corso del quale sono stati riversati fiumi di nefandezze senza pari, con manovre tanto pericolose e gravi, quanto di altissimo livello organizzativo, a dimostrazione dell'elevato rango al quale appartengono coloro che hanno a cuore l'insuccesso della giustizia per la strage del 2 agosto e l'impunità di coloro che ne sono imputati.

Nulla può far presumere che al momento attuale questi personaggi abbiano abdicato il loro iruolo di sempre ed abbiano abbandonato Fioravanti e Mambro al loro destino di colpevoli, rassegnandosi alla loro definitiva consegna nelle mani di una giustizia finalmente libera da inquinamenti, intralci e condizionamenti; anzi la stessa iniziativa assunta dal Comitato promotore pro F. e M., fermo restando che è certamente fuori discussione la buonafede di tutti coloro che vi compaiono come promotori ed aderenti, le cui qualità morali e culturali sono indiscutibili (tanto da far ritenere che essi siano le prime inconsapevoli vittime di una manovra ordita per scongiurare il fine di verità che la giustizia sta per conseguire), fa seriamente dubitare del contrario, e lascia trasparire l'immutata preoccupazione di chi teme che il mancato adempimento all'obbligo di assicurare l'impunità agli autori dell'orrendo crimine potrebbe esporlo alla sua responsabilità di mandante.

L'inadeguatezza dei termini (minimi e volutamente banalizzanti) con i quali sono stati ingannevolmente esposti i pretesi caposaldi dell'accusa, e la consapevolezza delle possibili effettive finalità della manovra che parrebbe celarsi dietro al comitato pro F. e M. ci rendono particolarmente riluttanti ad un confronto con le affermazioni contenute nel documento in considerazione, cionondimeno, premettendo che i processi vanno condotti nella aule giudiziarie, e ribadendo l'importanza assolutamente decisiva delle circostanze sopra accennate, stranamente ignorate da un Comitato che si vanta di aver letto le 300.000 pagine del processo (ma in realtà gli atti processuali sono addirittura più cospicui), e segnalando che è sempre arbitrario estrapolare da un assai ricco materiale ciò che più pare comodo per i propri interessi, va osservato quanto segue.

1. La mancanza di un alibi.

Nel documento che si critica si afferma che il solo fatto che F. e M. sarebbero risultati privi di un alibi riscontrato, costituirebbe un elemento dell'accusa mossa nei loro confronti. Sempre secondo quanto si legge in detto documento, le versioni fornite dagli imputati, ferme nell'affermare che essi avrebbero trascorso la mattina del 2 agosto 1980 a Padova, sarebbero tra di loro coerenti, salvo sfumature su particolari di minimo rilievo, quali "il colore della macchina usata per la gita, la piazza di Padova in cui si trovava un mercatino, il luogo in cui avrebbero appreso della strage" (sic).

Nessuno ha però mai ritenuto, e men che mai sostenuto, che la mancanza di un alibi potesse costituire elemento accusatorio a carico di Fioravanti e Mambro.

Nessuno ha affermato che in discrepanze del tipo di quelle indicate, che sono per di più il frutto della pura invenzione del redattore del documento (il quale ha inteso confrontarsi con una accusa più agevolF. e comoda, che al meglio poteva prestarsi a carpire la buona fede di chi neppure sa quante stanze occupino le 300.000 pagine che afferma di aver letto in pochissimo tempo), si possano individuare elementi indizianti a carico di F. e M.

“La mancanza di un alibi è in realtà elemento assolutamente inutilizzabile per l'attribuzione della responsabilità penale; neppure il fatto che un imputato, privo di alibi, menta per costruirsene no, può di per sé essere indice di colpevolezza" (queste sono invero le testuali precisazioni contenute nell'accusa mossa a carico di F. e M. - cfr. motivi di ricorso dell'Avvocatura dello Stato -).

Fioravanti e Mambro non hanno però soltanto mentito per cercare di munirsi di un alibi di cui erano privi, ma, in maniera totalmente diversa, hanno profuso menzogne nel tempo sempre differenti, con aggiustamenti continui, che di volta in volta cercavano di tener conto degli accertamenti nel frattempo compiuti dagli inquirenti.

In via di estrema sintesi, si è accertato che le circostanze che marcano la progressività del mendacio degli imputati forniscono anche la prova dell'accordo collusivo da loro raggiunto, dopo circa quattro anni dalla strage con Luigi Ciavardini (a carico del quale pende davanti al Tribunale per i Minorenni di Bologna il processo per la sua corresponsabilità nel delitto di strage commesso il 2 agosto 1980, unicamente a Fioravanti e Mambro), quello stesso Ciavardini che F. e M., dopo aver ucciso Francesco Mangiameli, verso la metà del mese di settembre, ricercavano per sopprimerlo e farlo tacere per sempre, in quanto temevano che egli fosse per loro "una bomba vagante" (testuale espressione dello stesso Ciavardini).

Nell'ambito della propensione alla callida menzogna, di cui hanno dato ripetuto sfoggio F. e M., si colgono dati di grande significazione probatoria.

Di grandissima rilevanza è poi il fatto che gli ultimi aggiustamenti della versione concordata nel 1984 siano intervenuti dopo tredici anni, nel corso del giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione, allorché gli imputati hanno ulteriormente ritoccato le loro versioni.

È anche importante notare come le circostanze relative al mendacio speso per accampare falsi alibi, non si sono verificate solo nell'ambito processuale, dopo l'arresto degli imputati, i quali già da prima, subito dopo la consumazione del delitto, quando erano ancora latitanti, avevano avvertito l'esigenza di diffondere significative menzogne nel loro stesso ambiente, (e così Valerio Fioravanti aveva detto a Belsito e Vale che aveva trascorso la giornata del 2 agosto 1980 insieme a Gilberto Cavallini a Treviso, ma a quest'ultimo aveva dichiarato di essere stato quel giorno in Puglia insieme a Belsito e Vale - vedi dichiarazioni di Sordi del 15.12.1983, convalidate dallo stesso Cristiano Fioravanti, il quale attribuisce l'episodio al malanimo nutrito dal Cavallini nei confronti di suo fratello).

Il progressivo evolversi delle menzogne di F. e M. fa sinistramente emergere, come sopra accennato, l'accordo collusivo raggiunto con Ciavardini. Non è in tal senso importante rilevare come il preteso alibi non tanto non abbia trovato supporto nel Ciavardini, quanto il fatto che anche a carico di quest'ultimo viene ad evidenziarsi, con le sue plateali menzogne, l'assenza di un alibi per il 2 agosto 1980; il suo inserimento a pieno titolo nel gruppo terroristico del Fioravanti; la sua stessa grave compromissione nella strage, la sua esecuzione aveva tra l'altro preannunciato i giorni precedenti, con l'avvertimento telefonico alla Venditti e alla Loreti.

Senza dover ripercorrere la miriade di artificiose e false dichiarazioni rese di volta in volta da Fioravanti e Mambro, tra l'altro anche in insanabile contrasto tra di loro, si ritiene sufficiente segnalare come sulla stessa presenza o meno di Luigi Ciavardini con loro nel Veneto, in quel periodo e quello stesso 2 agosto 1980, si sono verificati i primi significativi contrasti, e sono state profuse le prime evidenti menzogne. Così, invero Valerio Fioravanti in tutti i suoi numerosi interrogatori resi sino al 1984 si è detto assolutamente sicuro che in quel periodo, e certamente il 2 agosto 1980 Ciavardini non era stato visto da nessuno di loro, e men che mai aveva passato la mattina di quel giorno in loro compagnia (vedi ad esempio int. del 2.6.1982, nel quale, dopo aver integralmente confermato le dichiarazioni rese il 25.5.1981, ribadiva di essere del tutto sicuro che Ciavardini, il 2.8.1980 non era con lui e la Mambro).

Valerio Fioravanti fino al 1984 è stato talmente preoccupato di negare di aver anche solo visto Ciavardini il giorno della strage, che indusse pure il fratello a rendere dichiarazioni del tutto conformi; così, infatti, Cristiano nell'interrogatorio reso il 6.5.1982 disse di aver appreso dai diretti interessati che essi avevano trascorso la giornata del 2.8.1980 insieme a Cavallini e Giorgio Vale, e che con loro non vi era certo Ciavardini (va fatto rilevare che il 6.5.1982 Giorgio Vale era stato appena ucciso dalle forze di polizia e che tutti i protagonisti del gruppo terroristico di Fioravanti hanno sempre mentito nell'indicare in Giorgio Vale il motociclista che il 23.6.1980 aveva condotto Cavallini sul luogo dell'attentato al Dott. Mario Amato, al fine di favorire il vero responsabile, Luigi Ciavardini). Palesi e significative sono le menzogne che sulla circostanza in questione hanno sempre caratterizzato le dichiarazioni di Valerio e Cristiano Fioravanti, di Gilberto Cavallini e di Francesca Mambro. Va aggiunto che ciononostante, talmente sicura è stata la prova conseguita sulla responsabilità del Ciavardini, quale effettivo conducente della motocicletta, che lo stesso è stato condannato per questo delitto con sentenza divenuta definitiva. E' anche importante segnalare quanto dichiarato da Sordi, Tisei, Izzo, Furiozzi e Ansaldi. Sordi - vedi int.(3) 15.12.83, nonché dep. (4), al dibattimento di I e II grado - ha riferito che Cristiano Fioravanti si era stranamente determinato a mentire agli inquirenti per assecondare una richiesta pervenutagli in tal senso dal fratello, accusando falsamente Vale per l'omicidio Amato, al fine di scagionare Ciavardini. Tisei nella deposizione resa al dibattimento di I grado relativo all'omicidio del Dott. Amato, ha fornito puntuale e precisa conferma di tutto ciò. Furiozzi - dep.(5) del 8.4.86 - ha dichiarato che Cristiano ebbe a riferirle che il fratello gli aveva raccomandato di coprire la responsabilità di Luigi Ciavardini per l'omicidio Amato, in quanto Ciavardini "sapeva cose inerenti alla strage di Bologna". Izzo - int. 25.3.86, 8.4.86 - ha ricordato che Valerio Fioravanti in carcere cercava di rendere particolari favori a Ciavardini e che Cristiano gli disse, poi, che il fratello lo aveva invitato a tener fuori Ciavardini dall'omicidio Amato, perché poteva incastrarlo per la strage di Bologna. Anche Ansaldi ha reso importanti dichiarazioni sull'atteggiamento di Cristiano nei riguardi del fratello Valerio, e, infine, lo stesso Cristiano Fioravanti il 4.3.1988 - dich. acquisite dalla Corte di Assise di Bologna con ordinanza 29.3.1990 - si è lasciato andare ad uno sfogo di sincerità rivelando particolari inediti di notevole importanza e riferendo anche sconcertanti circostanze su alcuni singolari comportamenti tenuti da avvocati prestigiosi; particolari che forniscono anche stupefacente riscontro ad altre dichiarazioni rese da Stefano Soderini, e da Massimo Sparti, le quali, in ultima analisi servono a far capire quali sconvolgenti interessi si agitino dietro la figura di Valerio Fioravanti e quanto serie possano essere le preoccupazioni di inquinare la giustizia alfine di celare i retroscena della strage del 2 agosto e di altri eclatanti delitti.

È solo nell'interrogatorio del 26.4.1984 che Valerio Fioravanti afferma di essersi sempre sbagliato in precedenza e riferisce che la mattina del 2 agosto 1980 vi era con lui e la Mambro Luigi Ciavardini. Ai limiti dell'incredibile è la - risibile - giustificazione che ha cercato di fornire circa la sicurezza no della strage alla stazione di Bologna; ha infatti sostenuto di essere rimasto vittima di un lapsus mnemonico dovuto al fatto che in quel periodo loro erano soliti tenere Ciavardini costantemente nascosto in una camera dell'appartamento della Sbroiavacca, per non farlo vedere alla madre di quest'ultima ed ai vicini di casa; era così successo che a furia di tenerlo sempre nascosto egli era finito con il cancellare nella sua memoria il ricordo di questa nascosta presenza.

Di straordinario interesse sono, poi, le menzogne con le quali tutti gli interessati hanno cercato di neutralizzare l'elemento indiziario proveniente dalla telefonata del Ciavardini. Le dichiarazioni tese a sopportare la versione in base alla quale sarebbe stata l'esigenza di reperire documenti falsi ad indurre Ciavardini a far spostare la partenza degli amici Loreti, Venditti e Pizzari, sono miseramente naufragate, lasciando allo scoperto la callidità degli infiniti tentativi di aggiustamento, l'ultimo dei quali è stato tentato persino nel corso del giudizio di rinvio dalla Corte di Cassazione. Lo stesso documento asseritamente bruciato dal Ciavardini è stato prima indicato in una patente falsa intestata a Flavio Caggiula (che, in ogni caso, non avrebbe potuto essere bruciata prima del 3.8.80) e, poi, visto l'esito degli accertamenti eseguiti, in una patente a nome Amedeo De Francisci. Di fronte alla contestazione che quel documento era già divenuto inservibile nel luglio 1980, gli imputati hanno affermato che proprio perché già bruciato era stato raccomandato a Ciavardini di fame un uso cauto, per situazioni di vera emergenza, tipo un controllo di polizia effettuato nella casa dove era nascosto. Di fronte all'ulteriore contestazione con la quale si faceva presente che appariva inverosimile che Cavallini, che ospitava il latitante Ciavardini nella stessa casa ove vivevano sua moglie e suo figlio, avesse ritenuto di far correre a costoro il grave rischio di venire ad essere coinvolti dall'uso da parte dell'ospite di un documento bruciato, si è disinvoltamente affermato (questa è l'ultima versione del 1993) che Ciavardini non era nascosto nella casa della Sbroiavacca, ma in un appartamento di altre persone di cui non si riteneva di fare il nome per non coinvolgerle, situato in tutt'altra zona - della città. Sarebbe troppo chiedere a questo punto a Valerlo Fioravanti e Francesca Mambro perché per 13 anni hanno, invece, affermato di aver nascosto Ciavardini in casa Sbroiavacca, spingendosi Valerio addirittura a rinvenire all'interno di una stanza di quell'appartamento la causa del suo precedente lapsus mnemonico.

Quanto finora accennato è una minima parte del vasto campionario di menzogne profuse dagli imputati a proposito del loro alibi per il giorno della strage; il compendio circostanziale posto a fondamento dell'accusa non concerne, com'è evidente, la mancanza di un alibi, ma le spettacolari invenzioni alle quali F. e M. hanno fatto nel tempo non (casuale) ricorso per rapportarsi al loro complice Luigi Ciavardini.

Un’iniziativa assunta a tal riguardo dal Comitato promotore pro F. e M. appare completamente scentrata rispetto all'accusa ed al materiale probatorio che la sorregge.

2) La testimonianza di Massimo Sparti.

La confessione stragiudiziale resa il 4.8.1980 da Valerio Fioravanti a Massimo Sparti viene criticata nel documento redatto dal Comitato promotore pro E e M. con una serie di considerazioni che non trovano alcun sostegno nelle carte processuali, e che sono però (singolarmente) in linea con alcune inesattezza della difesa degli imputati.

Massimo Sparti è certamente un perno dell'accusa mossa a E e M.; è testimone fondamentale dell'accusa; come tale è stato sottoposto ad una serie di attività di verifica e controllo particolarmente intense e penetranti, che hanno sortito effetti totalmente positivi, superiori addirittura ad ogni più ottimistica aspettativa. Tutte le circostanze riferite da Massimo Sparti sono state esplorate in ogni direzione.

Così, tra l'altro, la presenza a Roma dello Sparti il 4 agosto 1980; le modalità di richiesta dei documenti falsi per la Mambro; il loro procacciamento da parte di una terza persona; i termini concreti con i quali sono state effettuate le falsificazioni; le modalità con le quali i due documenti sono stati consegnati il 5.8, giorno successivo alla richiesta; il comportamento precedente e successivo ai giorni 4 e 5 di Massimo Sparti sono, tra le altre, circostanze che sono state esplorate in ogni possibile direzione.

Né sono mancati, com'era del resto prevedibile, tentativi di gravissima intimidazione e pesanti minacce al testimone ed alla sua famiglia; ulteriori e per così dire complementari, tentativi di intimidazione sono stati rivolti a coloro che potevano fornire riscontro alle dichiarazioni di Massimo Sparti; si è giunti ad indurre alcune testimonianze che, nella prospettazione della richiesta avanzata dalla difesa di E e M. (prontamente preannunciata e pubblicizzata con una vera e propria campagna stampa, quale asso nella manica degli imputati) avrebbero dovuto comprovare, smentendo Sparti, ciò che già prima dell'escussione dei testi indotti si era accertato, con indagini evidentemente sfuggite all'attenzione degli imputati, essere oggettivamente non rispondente a verità, e che si sono quindi risolte in acrobatiche e spericolate giustificazioni (vere e proprie contorsioni logiche di retromarcia) ed in penosi farfugliamenti di imbarazzatissimi testimoni; gli stessi che nel documento redatto dal Comitato promotore pro E e M. vengono sorprendentemente riproposti come demolitori dell'attendibilità di Sparti. Pare essere, poi, sfuggito al comitato promotore pro F. e M. che Sparti è stato riscontrato positivamente in senso addirittura totale, e come tale è stato ritenuto attendibile da tutti i giudici di questo processo, e persino da quella Corte d'Assise d'Appello che con la sconcertante sentenza 18.7.1990, poi giustamente annullata dalla Corte Suprema, aveva mandato assolti Fioravanti e Mambro. Anche quel giudice, che pure era alla ricerca di ogni possibile appiglio motivazionale per poter supportare una decisione che confliggeva con le risultanze processuali, è stato costretto ad ammettere che "Sparti ha detto il vero riferendo della visita del Fioravanti e della Mambro; egli ha pure riferito del contenuto del colloquio avuto con il giovane amico e della sua pressante richiesta di documenti freschi..... ha, infine, percepito e riferito il tremendo accenno del Fioravanti ad un coinvolgimento suo e della Mambro nella strage avvenuta a Bologna appena due giorni prima", Sparti è quindi pienamente attendibile (quel giudice, non potendo dubitare della attendibilità di Sparti, ritenne che era peraltro possibile che Valerio Fioravanti potesse essersi falsamente attribuita agli occhi dello Sparti la responsabilità della strage alla stazione di Bologna).

Il deposto di Sparti costituisce, all'evidenza, un elemento di prova insuperabile, perché ha superato tutti gli ostacoli possibili, perché ha costretto gli imputati Fioravanti e Mambro ad un significativo mendacio progressivo, fino al punto di farli cadere in contraddizioni così aperte da costituire esse stesse ulteriori elementi indizianti a loro carico; perché ha sortito riscontri assolutamente positivi, consentendo addirittura l'individuazione di uno dei documenti falsi (la carta di identità n. 43135714 intestata ad Irene De Angelis) consegnati il 5.8.1980 per le necessità della Mambro, tra quelli sequestratile all'atto dell'arresto nella primavera del 1982, in base alla descrizione fornita dal De Vecchi sulle irregolarità della falsificazione (v. (6) rapp. Ucigos Roma 25.5.1983).

Sparti è talmente attendibile dall'aver costretto Fioravanti e Mambro a dover fare sorprendenti ammissioni, ammissioni che oggi non si prestano più ad aggiustamenti credibili, dopo le precisazioni cui gli imputati ritennero all'epoca di dover fare ricorso per cercare di neutralizzare l'accusa loro proveniente da questo teste.

La Mambro, ad esempio, dopo aver più volte affermato che tutto ciò che aveva dichiarato costui era assolutamente falso, il 25.4.1984 finisce sorprendentemente con l'ammettere che era vero che il 4 agosto 1980 avevano richiesto due documenti falsi allo Sparti. Ha peraltro precisato l'imputata che questi documenti non servivano a lei ma ad Adinolfi e forse a Fiore, precisando, a conferma dell'esattezza della data del ricordo sulla data della richiesta "noi non chiedemmo questi documenti come facevamo di solito al Cavallini perché avevamo fretta e per una qualche ragione non potevamo andare a Treviso dove in quel momento era Cavallini, anzi la ragione era che in quei giorni dovevamo fare la rapina all'armeria di piazza Menenio Agrippa (ndr. avvenuta il 5.8.1980)". In conclusione l'urgente richiesta di documenti, così come riferita dallo Sparti finisce con l'essere stata pienamente ammessa dalla Mambro, ed anche da Valerio Fioravanti nell'interrogatorio del 24.4.1984, allorché dichiarò che era verosimile che la richiesta fosse stata avanzata nei giorni immediatamente successivi alla strage.

Con stupore si legge nel documento redatto dal Comitato promotore pro F. e M. che la moglie del testimone e la domestica di casa Sparti avrebbero dichiarato che costui il 4 agosto non era a Roma; queste testimoni, che giusta le dichiarazioni di Fioravanti e Mambro dovrebbero smentire quanto ammesso dagli stessi imputati, sono le stesse che erano già state indotte dalla difesa di F. e M. per rendere una testimonianza (che non sarebbe risultata rispondente a verità) circa la loro presenza in quegli stessi giorni, unicamente a Massimo Sparti, a Proto dello Stelvio (l'asso nella manica che avrebbe demolito il teste dell'accusa), allorché si fece presente che la circostanza era già stata oggetto di accertamenti da parte degli organi di polizia che avevano accertato l'artificiosità della manovra difensiva (v. anche test. del Sig. Tallarico).

Il documento redatto dal comitato promotore non finisce di stupire, in esso si afferma infatti che la versione ultima con la quale gli imputati avrebbero cercato di spostare a settembre la data della richiesta dei documenti per le esigenze di Fiore ed Adinolfi sarebbe stata confermata da Stefano Soderini e Fausto De Vecchi. Similiare affermazione, del tutto non rispondente al vero, venne fatta in maniera tanto disinvolta, quanto gravemente errata dalla difesa della Mambro nel corso dell'arringa del giudizio di rinvio. Contro questa errata affermazione l'accusa ha svolto una esauriente, compiuta e documentata replica, che è totalmente sfuggita all'attenzione del Comitato pro E e M. La singolare riedizione di questa stravagante inesattezza della difesa nel documento redatto da quest'ultimo, evidenze come in esso si sia voluto raccogliere soltanto ciò che proveniva dalla difesa degli imputati, e per primo lo sconcertante riassunto di un'accusa tanto banalizzata, quanto stravolta e manipolata a fini difensivi (che trovano giustificazione solo nell'ambito processuale in cui sono stati spesi a livello puramente assertivo, nel disperato tentativo di difendere posizioni insostenibili); non ci si è però accorti che così facendo si rischiava di raccogliere e veicolare, come pretesa verità processuale anche i più grossolani e marcati errori commessi dalla difesa degli imputati.

Soderini non può certo essere invocato a supporto della ennesima menzogna di Valerio Fioravanti.

Soderini ha infatti affermato (v. l'esame dibattimentale del 2.11.1987, pg. 50) "C'era l'esigenza da parte di Vale di fornire i dirigenti di Terza Posizione di documenti falsi. Ricordo che ci fu una discussione tra Vale e Fioravanti, perché Fioravanti non era assolutamente d'accordo che queste persone andassero aiutate..... mentre Vale voleva dargli la possibilità di espatriare con documenti falsi". Non solo Soderini non afferma affatto che venne avanzata alcuna richiesta a Massimo Sparti, ma riferisce che Fioravanti, che impedì a Vale di aiutare Fiore ed Adinolfi, non era certo disposto ad assecondare lui la richiesta di questi ultimi, ma ricorda come in quei giorni Fioravanti avesse addirittura maturato intenzioni omicide nei confronti dei medesimi Fiore ed Adinolfi, che ricercava non certo per munirli di documenti falsi ed aveva anzi allertato per questo delitto l'intero gruppo terroristico (sul punto Soderini è stato riscontrato anche da Cristiano Fioravanti). Così invero Soderini si è espresso il 4.2.1986 "Il tentativo di occultamento del cadavere (ndr. di Francesco Mangiameli, ucciso il 9.9.1980) derivava dalla necessità di non mettere in allarme Fiore ed Adinolfi nei confronti dei quali il nostro gruppo progettava l'eliminazione, accusandoli di pensare solo a salvare se stessi e non gli altri ragazzi di T P (7). Infatti Fiore ed Adinolfi già prima dell'emissione dell'ordine di cattura si preoccuparono di chiedere al Vale denaro e documenti falsi per poter espatriare".

Soderini ha, quindi, riferito che alla richiesta di denaro e documenti falsi rivolta da Fiore ed Adinolfi a Vale, Fioravanti rispose uccidendo Mangiameli e ordinando l'eliminazione dei richiedenti.

Come il dichiarato di Soderini possa smentire Massimo Sparti è noto solo alla difesa di Francesca Mambro, che ha però il torto di non essere riuscita a rendere comprensibile questa sua singolare affermazione.

Ma anche De Vecchi è stato invocato del tutto a sproposito; il teste, sebbene sia evidente il clima di paura nel quale è venuto a deporre (le minacce che hanno colpito Sparti non potevano del resto risparmiare gli altri personaggi di questa vicenda), dopo averlo dapprima negato ed aver poi adombrato dubbi al proposito, è finito con l'ammettere che le fotografie dei documenti richiestigli dallo Sparti ritraevano una donna. Di una cosa si è poi sempre dichiarato del tutto certo: della data di questa richiesta, resa singolare dall'estrema urgenza che la contraddistingueva e dal terrore che aveva pervaso lo Sparti.

Così invero:

- esame dell'8.12.1981 "Confermo le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio e a sue specifiche domande concernenti i miei rapporti con lo Sparti e la sua richiesta avvenuta nell'agosto 1980 di documenti contraffatti, preciso: ricordo di aver saputo della strage di Bologna mentre ero con i miei familiari nel campeggio libero situato tra Santa Marinella e Santa Severa. Era probabilmente un sabato, ed essendo uno dei primi giorni del mese di agosto, non avevo ancora sospeso per leferie la mia attività ed è quindi probabile che lo Sparti sia venuto nel mio laboratorio di via Tor de Schiavi a chiedenni di procurargli documenti contraffatti nei primi giorni di quel mese";

- esame 17.6.1983 "In sostanza io posso confermare di aver fornito una patente ed una carta di identità ai primi di agosto dell'80";

- dich. rese all'Ucigos (da rapp.25.5.1983) "De Vecchi ..... ha ammesso che nell'estate del 1980, non ricorda se di mattina o di pomeriggio, gli venne rivolta una richiesta di due documenti falsi da Massimo Sparti. In quell'occasione lo Sparti era terrorizzato ed aveva fretta di venire in possesso dei suddetti documenti, tant'è vero che se lo Sparti si recò da lui la mattina, i documenti vennero ritirati nel pomeriggio, se invece la richiesta venne fatta di pomeriggio i documenti furono consegnati allo Sparti il mattino successivo. De Vecchi ha precisato che la carta d'identità consegnata in quella occasione è facilmente riconoscibile per i seguenti particolari: il timbro della Circoscrizione del Comune di Roma reca il numero 2; la serie numerica apposta sul frontespizio presenta delle irregolarità; il colore del documento falso è più scuro, ossia più marcato di quello dei documenti autentici, e a differenza di questi sembra che i rilievi del frontespizio non si rilevano al tatto. Tutti questi particolari sono presenti nella carta d'identità n. 43135714 del Comune di Roma, intestata ad Irene De Angelis, con su applicata la fotografia di Francesca Mambro, trovata in suo possesso al momento dell'arresto".

Va anche tenuto presente quanto dichiarato da Soderini (v. int. al P. M.(8) D'Ambrosio del 15.4.1986) "Fioravanti e Mambro dormirono a casa mia all'epoca della rapina all'armeria del 5.8.1980. Ricordo però che restarono per una notte e poi si spostarono in albergo: pertanto l'incertezza verte sulla circostanza che abbiano dormito a via S. Godenzo nella notte sul 3 o sul 4 agosto 1980: do per certo che i due siano venuti a casa mia dopo il 2 agosto e prima della rapina"; nonché l'esito degli accertamenti di polizia (v. rapporto Ucigos 5.12.1983) che hanno appurato che Fioravanti risulta aver effettivamente preso una camera presso l'albergo Cicerone il 5 agosto 1980, per rendersi conto come il deposto di Sparti, Soderini e De Vecchi consenta una omogenea ricostruzione della vicenda: il pomeriggio del 4 agosto 1980 Fioravanti chiede a Sparti di procurargli i documenti che servono alla Mambro per darsi alla latitanza, segnala l'estrema urgenza della richiesta e minaccia lo Sparti fino a terrorizzarlo; in attesa dei documenti Fioravanti e Mambro passano la notte tra il 4 ed il 5 a casa di Stefano Soderini; il mattino del 5 agosto avviene la consegna dei documenti occorrenti alla Mambro, ed i due possono quindi abbandonare casa Soderini, per andare a soggiornare al Cicerone.

Solo per la singolare affermazione della difesa della Mambro, fatta propria dal Comitato promotore pro F. e M., il deposto di Soderini e De Vecchi smentirebbe Massimo Sparti. Così però non è, all'evidenza; alle persone che hanno ritenuto di poter emotivamente ed acriticamente aderire all'iniziativa pro F. e M., ci si permette di far presente che non è con disinvolte affermazioni non rispondenti a verità, né con la banalizzazione del processo e del lavoro compiuto dai magistrati e dai difensori di parte civile, né con la manipolazione delle carte processuali, né con la confusione di fatti e circostanze, né, infine, con l'omissione dei fatti più importanti - sistematicamente ignorati - che ci si può fondatamente presentare con asserita serietà di intenti.

Per chiudere sulla "testimonianza di Massimo Sparti", riteniamo opportuno rimandare chi fosse animato da effettivi intenti di conoscenza su uno dei momenti più rilevanti delle prove di responsabilità degli imputati Fioravanti e Mambro, alla diretta lettura del rapporto dei carabinieri di Bologna 22.1.1987, dell'allegata istanza di Massimo Sparti e dell'interrogatorio reso da costui il 31.1.1987, per potersi rendere conto di ciò che si è abbattuto sul testimone dopo le sue dichiarazioni accusatorie nei confronti di Fioravanti e Mambro (ma anche del compito assunto da alcuni avvocati, anche di chiara fama).

Val anche la pena di ricordare, poi, che pure nel momento in cui si sparse la voce di una possibile sorta di collaborazione di Valerio Fioravanti con la giustizia, arrivò al pentendo la subitanea, concitata promessa di aiuto e protezione, con la pressante raccomandazione di non parlare, in ogni caso, di un omicidio eclatante (v. concordi deposizioni di Sergio Calore e Stefano Soderini).

3) Il depistaggio della valigia sul treno Taranto-Milano.

Secondo il documento redatto dal Comitato pro F. e M., il Sismi, nel dar corso all'operazione deviante denominata "terrore sui treni", avrebbe inteso criminalizzare Fioravanti e Mambro.

L'affermazione è azzardata e si fonda, come sempre, sugli stessi accenni argomentativi già sviluppati dalla difesa degli imputati, contro logica e verità processuale, fin dal primo grado del giudizio, che sono stati demoliti dalla sentenza di primo grado con considerazioni di una tal forza, che si è certi siano state totalmente ignorate dagli aderenti al Comitato promotore pro F. e M..

Va in ogni caso premesso che anche ove fosse rispondente a verità che il Sismi deviato ritenne ad un certo punto di indicare agli inquirenti bolognesi la possibile responsabilità di F. e M., ciò non significherebbe affatto l'innocenza di costoro, ben essendo possibile simulare tracce di responsabilità anche a carico di persone effettivamente colpevoli.

Così però non è avvenuto.

In via di sintesi, devesi sottolineare che mai ed in nessun modo il Sismi abbia accusato F. e M.; in realtà con l'operazione che doveva servire a far indirizzare all'estero le attenzioni dei magistrati bolognesi, a livello indigeno, si è inteso criminalizzare l'intero movimento Terza Posizione e Giorgio Vale, che per l'appunto era un notorio aderente a detto movimento, ma non certo Valerio Fioravanti e neppure i N.A.R.(9).

Nonostante i rapporti operativi esistenti tra ValF. e Fioravanti è anzi singolare che, neppure a livello di mera ipotesi investigativa, i Servizi deviati abbiano ritenuto di segnalare il nome di Fioravanti. Vale viene criminalizzato quale esponente di T. P.. È del resto provato per tabulas che i legami operativi tra Vale e Fioravanti non sono stati mai presi in esame per l'emissione dei provvedimenti restrittivi emessi; né per le accuse mosse dall'A. G. nei confronti di Valerio Fioravanti, anche dopo che Vale era stato indicato come protagonista dell'operazione "terrore sui treni", che, indirettamente, lo ricollegava alla strage di Bologna. Proprio dopo che si era compiuta l'opera di intossicazione delle indagini, i magistrati bolognesi, anziché valorizzare le false piste su Vale contro Fioravanti e Mambro, ne disponevano la scarcerazione.

È solo nell'ordinanza della Sezione istruttoria del 22.4.1982 (con la quale si disponeva l'emissione del provvedimento di cattura a carico di Fioravanti e Mambro, motivandola con le dichiarazioni di Sparti, con i trascorsi dinamitardi di Fioravanti, con il ruolo da lui avuto nel tentativo di evasione di Concutelli, progetto per la cui realizzazione aveva predisposto il covo di Taranto) che si osserva come questa località sia da porsi in relazione con il rinvenimento della valigia sul treno Taranto - Milano. La coincidenza topografica è però un mero dato di fatto.

Di più ed in maniera decisiva vi è la prova oggettiva della protezione accordata dal Sismi a Valerio Fioravanti nel corso dell'intera operazione "terrore sui treni". Ed invero nella risposta ai quesiti formulati in maniera specifica dai magistrati bolognesi, il Sismi che aveva montato l'intera operazione intossicante a fine di depistaggio, così rispondeva (cfr. da vol. VIII - cart. 355 - cont. denominato "rapporti Panda"):

- l'idea criminale (ndr: strage alla stazione di Bologna) era maturata nell'ambiente del terrorismo europeo, insieme all'attentato di Monaco. L’esponente italiano (Bragaglia) incaricato dell'operazione aveva chiesto la collaborazione del gruppo Hoffman;

- " È stato escluso il legame con i NAR, come è stata esclusa la partecipazione alla strage dei nominativi segnalati (ndr. coloro che all'epoca erano già stati imputati). Se alcuno di essi poteva essere al corrente non è stato potuto chiarire, anche perché esistono legami tra NAR e Terza Posizione".

La risposta giunge quando i depistatori hanno già deciso di propinare ai giudici di Bologna il nome di Giorgio Vale. Si tratta di scagionare i NAR, perché va protetto Valerio Fioravanti, e di criminalizzare T. P., che si vuole sia una componente di una organizzazione internazionale. Poiché Vale è a mezzo servizio tra i NAR e T. P., fermo restando che i NAR non hanno nessuna responsabilità in ordine alla strage, si afferma che qualcuno degli imputati (Calore, Pedretti, Signorelli ..... ) potrebbe aver raccolto una qualche notizia sull'attentato, pur non avendo egli responsabilità alcuna. La macchinosità e l'artificiosità della risposta è evidente: nei quesiti dei magistrati bolognesi non vi era alcun riferimento a Terza Posizione, che, pertanto, si è inteso criminalizzare volutamente. L’opera di criminalizzazione è particolarmente grave; si ricollega in maniera anacronistica ed ingiustificato rispetto alle indagini in corso (operazione valigia) T. P. alla strage e per rafforzare l'attribuzione della responsabilità si giunge ad affermare che anche degli innocenti (Calore, Signorelli, Pedretti) potrebbero essere al corrente di notizie sull'attentato se hanno avuto rapporti con T. P..

Questa criminalizzazione è del tutto analoga a quella varata da Valerio Fioravanti subito dopo la pubblicazione dell'intervista di Amos Spiazzi, comparsa sul numero 24.8.1980 de L'Espresso, allorché, sembrando raccogliere nei fatti l'invito che pareva provenirgli da questo eccellente collaboratore del Sisde, che aveva affermato che la responsabilità per la strage commessa il 2 agosto doveva essere individuata a carico di T. P. e del suo dirigente Ciccio Mangiameli, uccideva quest'ultimo e ne occultava il cadavere per poter cogliere impreparato gli altri dirigenti del movimento, Fiore ed Adinolfi, e poterli così sopprimere; ma anche nei confronti di altri giovani che come Vale erano a mezzo servizio tra T. P. ed i NAR, quali Ciavardini e De Angelis, Fioravanti, nell'intento di far terreno bruciato intorno a T. P., nutrì analoghi intenti omicidi.

Va da ultimo osservato come poi non sia neppure vero che i Servizi deviati ebbero ad inserire ad arte tra i nominativi dei passeggeri di alcuni voli in partenza da Milano per Parigi e Monaco i nomi Fiorvanti (storpiatura di Fioravanti) e Bottacin (storpiatura di Bottagin, uno dei vari nomi di copertura usati dal latitante Cavallini), per poter far indirizzare su di loro i sospetti dei magistrati bolognesi.

Le liste passeggeri cui si intende far riferimento, che contengono centinaia e centinaia di nominativi, non sono state trasmesse dal Sismi, ma vennero materialmente prese, unicamente ad una cassa di altri documenti direttamente dai magistrati bolognesi presso la sede del servizio dove giacevano, una volta tanto giustamente, inutilizzate, perché inutilizzabili, e come tali mai utilizzate da nessuno, se non dalla difesa degli imputati nel momento della disperazione.

L'analisi approfondita della vicenda consente di bollare come assurde le argomentazioni di quest'ultima; è sufficiente peraltro osservare:

- che non vi è neppure rispondenza tra le liste dei passeggeri cui avrebbero dovuto accedere i fantomatici Legrand e Dimitrief e quelle in cui compaiono i nominativi Fiorvanti e Bottacin;

- che gli elenchi non sono risultati affatto artefatti, e si è accertato, al contrario che effettivamente tale Sig. Fiorvanti, che aveva acquistato il biglietto a Milano, ha utilizzato il volo Az 344, partito alle ore 20, 10 per Parigi;

- che nella miriade di nominativi delle liste compaiono nomi come Pedretti, Rossi, Orazi Frattini, Fabiani, Pinctus, Bellini..... tutti corrispondenti a possibili persone che avrebbero potuto essere coinvolte nelle indagini dei magistrati bolognesi (trattasi all'evidenza di omonimi);

- che le indicazioni desumibili dai nomi Fiorvanti e Bottagin sono all'evidenza ambigue, contraddittorie, vaghe, suscettibili di agevole smentita, ed in conclusione appaiono del tutto innocue da un punto di vista processuale.

Perché poi dover ricorrere a così contorte e ambigue indicazioni se si intendeva criminalizzare Fioravanti e Cavallini? I Servizi allorché intesero intossicare le indagini, inquinando il materiale probatorio, fornirono indicazioni chiare e precise: i nomi di Delle Chiaie, Bragaglia, Freda, Ventura, Affatigato, Vale, Durand..... sono stati utilmente indicati per quello che sono e non con enigmi o messaggi da settimana enigmistica.

Nulla delle indicazioni fornite dal Comitato pro F. e M. si fonda su fatti o circostanze di un qualche rilievo, molte e gravi sono, al contrario, le lacune.

Tra le tantissime va ricordata l'intera vicenda con la quale Fioravanti ha gestito il covo di Taranto fino al 13.1.1981, per avere la certezza di come lo stesso fosse consapevole della protezione accordatagli dai Servizi (emblematica è la situazione venutasi a creare dopo la cattura a Milano di Mauro Addis nel novembre 1980, con indosso lo stesso documento falso (Paggi Angelo) con il quale era stato preso in locazione il covo, e con il quale era stata effettuata la prescritta denuncia alla Questura di Taranto).

Di certa rilevanza è poi il callido comportamento, ispirato a marcato e sistematico mendacio, del tutto identico a quello assunto nel processo relativo alla strage del 2 agosto, tenuto da Valerio Fioravanti nel corso del processo a carico di Angelini Fulvia ed altri (conclusosi con sentenza 2.5.1985 della Corte di Assise di Roma) a proposito dell'attentato stragista consumato il 16.6.1979 ai danni della Sezione Esquilino del P.C.I. di Roma.

A quelle persone che hanno ritenuto di dover aderire all'iniziativa in favore di F. e M. chiedendosi, tra l'altro, perché mai costoro, che pure hanno reso confessione di molti orrendi crimini, dovrebbero negare, se colpevoli, con tanta tenacia ed ostinazione la loro responsabilità per la strage alla stazione di Bologna, raccomandiamo la diretta lettura delle pagine 382 e segg. della sentenza 2.5.1985 della Corte d'Assise di Roma, divenuta irrevocabile, che pure è contenuta nelle 300.000 pagine che si è affermato di aver letto.

Ci si limita qui a ricordare che il 16.6.1979 due giovani fecero irruzione nei locali della Sezione, quando era in corso una affollata riunione; lanciarono due bombe a mano contro le circa 50 persone ivi radunate, che pure fecero oggetto di una nutrita scarica di colpi di pistola.

Per mera fortuna rimasero ferite (taluna peraltro in maniera grave) solo 25 persone.

Della commissione di questo grave attentato vennero accusati alcuni giovani del FUAN (10) tra i quali anche Valerio Fioravanti; nel corso del processo è stata conseguita prova del tutto certa (tant'è che l'interessato è stato condannato con sentenza passata in giudicato) che il Fioravanti aveva progettato l'impresa criminale con finalità stragiste. Aveva in particolare messo a disposizione dei correi le armi e consegnato le bombe a mano; ad attentato eseguito, aveva, poi, duramente redarguito il complice Pedretti, che, a suo dire, aveva mostrato una straordinaria incapacità perché, nonostante l'armamentario di cui era stato dotato, non "c'era scappato il morto".

Fioravanti, pur di fronte all'evidenza delle prove a suo carico, ha sempre tenacemente negato ogni responsabilità per questo delitto, accampando anche un falso alibi.

Di più, non ha neppure mancato di proferire simulate, sdegnate valutazioni negative su questo episodio criminale (a suo dire estraneo al suo modo di agire), a ciò prontamente coadiuvato dalla Mambro e da altri coimputati.

Si legge al riguardo nella ricordata sentenza di condanna: "Interessa cogliere la ragione che ha spinto gli imputati anche non coinvolti personalmente dall'accusa specifica - a dissociarsi da questo episodio, dandone valutazione negativa. Ma appunto tale valutazione negativa da parte loro non regge, perché in questo fatto sono presenti elementi assai comuni e altri diverge ti da altri fatti - ad esempio l'assalto a radio "Città Futura ", che dimostrano come l'episodio si collochi coerentemente nella linea di lotta allo Stato e al "regime" che ha ispirato le condotte del gruppo eversivo del FUAN, e quello che lo ha preceduto..... Comune è anche il metodo di cercare vendetta, colpire indiscriminatamente chiunque appartenga al gruppo o all'area cui è ascritta l'offesa ricevuta. Insomma la barbarie della vendetta del clan".

Val la pena di ricordare che gli stessi aderenti al gruppo terroristico del Fioravanti ebbero modo di restare sbigottiti di fronte alla sempre più micidiale volontà criminale che pareva sorreggere il continuo crescendo delle sue azioni: inarrestabile sembrava anche ai loro occhi di consumati terroristi la spaventosa escalation di violenza di cui il Fioravanti dava entusiastico sfoggio.

Nella lotta contro il nemico mostrava, infatti, di voler continuamente alzare il tiro, colpendo bersagli sempre più importanti ed eclatanti.

Così, ad esempio, al simbolo del nemico (Stato) offerto da una divisa da poliziotto (v. omicidi Arnesano ed Evangelista), Fioravanti è passato a quello rappresentato dalla toga del magistrato Mario Amato.

Dagli attentati compiuti ai danni di persone che avevano il torto di stazionare davanti ad una Sezione del Partito Comunista, ovvero di ignari passanti che stavano attraversando un giardinetto usualmente frequentato da giovani di sinistra; dall'uccisione di chi aveva commesso lo sbaglio di fermarsi a leggere una locandina dell'Unità (pagina degli spettacoli), si è passati a colpire il nemico "rosso" anche in maniera indiscriminata, e dall'attentato consumato ai danni di singole persone, Fioravanti è passato a simboli sempre più eclatanti: un'intera Sezione del P.C.I.; la stazione ferroviaria della città italiana (per antonomasia) comunista, amministrata cioè da una giunta comunista; emblematica, pertanto, del pericolo concreto dell'ascesa al potere del nemico, da oltre un decennio diventata, in quanto tale, bersaglio privilegiato delle attenzioni dell'eversione neofascista.

Evidente appare, quindi, sia l'identico valore simbolico che accomuna l'attentato ai danni della Sezione Esquilino del RC.I. di Roma a quello compiuto il 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, sia la propensione criminale alla consumazione di siffatti attentati indiscriminati (in concreto) mostrata dal Fioravanti. Altamente significativo appare in tal senso il fatto che costui, che pure ha ammesso la propria responsabilità per una notevole serie di efferati delitti, abbia tenacemente negato, anche contro l'evidenza, la propria responsabilità per l'attentato ai danni della Sezione Esquilino.

Nell'ambito dei loschi rapporti che hanno legato Valerio Fioravanti - ed i NAR - ai Servizi Segreti deviati, va sottolineata l'importanza di una sorprendente circostanza accertata nel corso del giudizio di rinvio della Corte Suprema.

Il Sismi, nel montare l'operazione "terrore sui treni", fece collocare sul treno Taranto - Milano e ritrovare alla stazione di Bologna una valigia contenente otto barattoli di esplosivo, un mitra, un fucile cal. 12 a canne segate, due caricatori, capsule detonanti, micce a lenta combustione ed altri oggetti.

È stato possibile accertare che certamente quel mitra, con le sue particolari modifiche artigianali, ma assai verosimilmente anche l'intero contenuto della valigetta, proveniva da un deposito clandestino sito a Roma in via Liszt, gestito in comune dalla Banda della Magliana e dai NAR. In particolare proprio quel mitra è risultato essere stato prelevato, subito dopo che Santovito, Musumeci, Pazienza e Belmonte avevano varato la campagna volta al depistaggio delle indagini relative alla strage alla stazione di Bologna, e non più restituito, fino al momento del suo ritrovamento nella valigia collocata sul treno Ta - Mi, da un importante componente dei NAR, Massimo Carminati, stretto collaboratore di Valerio Fioravanti.

I NAR, anche sotto tale profilo, non risultano estranei all'operazione di depistaggio per la cui conduzione si è anche fatta attuare quella "benefica repressione" destinata, secondo la teorizzazione della destra terroristica (anche e soprattutto di quella ed. spontaneista) a conferire mordente all'ambiente, e si sono posti al centro della scure repressiva i giovani del movimento T. P., dopo che Valerio Fioravanti aveva colpito per primo, uccidendo e tentando di uccidere tutti i suoi dirigenti.

Val la pena di chiudere queste notazioni critiche sulla stravagante, preoccupante ed intempestiva iniziativa assunta dal Comitato promotore pro F. e M., senza neppure conoscere le motivazioni della sentenza con la quale gli imputati sono stati condannati, richiamando quel volantino redatto e diffuso dal medesimo ambiente del terrorismo di destra nel quale erano inseriti F. e M., all'indomani del ritrovamento del cadavere di Francesco Mangiameli, allorché i redattori erano venuti a conoscenza della responsabilità del Fioravanti per questo gravissimo delitto. In quel volantino non solo si ipotizza che Mangiameli sia stato ucciso per coprire le responsabilità della strage del 2 agosto (si afferma in tal senso che Mangiameli potrebbe essere la 85' vittima della strage di Bologna), ma si sottolinea come l'omicidio sia stato commesso su ordine dei Servizi Segreti da "sgherri della dittatura democratica".

Quello "sgherro" è per l'appunto Valerio Fioravanti che lo stesso ambiente terroristico nel quale aveva fin ad allora operato, stava cominciando a conoscere nei suoi aspetti più sordidi e inconfessabili.

Note

(1) Dal documento del Comitato pro Fioravanti Mambro

(2) F. ed M. indicano Fioravanti e Mambro

(3) int = interrogatorio

(4) dep. = deposizione

(5) dep. = deposizione

(6) v. = vedi

(7) T. P. = Terza Posizione

(8) P. M. = Pubblico Ministero

(9) N.A.R. = Nuclei Armati Rivoluzionari

(10) FUAN = Formazione universitaria del M.S.I.


Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980
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